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mercoledì 27 marzo 2024

Recensione "CHI HA PAURA DELL'UOMO NERO Il romanzo dell'esodo istriano" di Graziella Fiorentin - Ed. CORBACCIO -

 




CHI HA PAURA DELL'UOMO NERO

Il romanzo dell'esodo istriano


Autore Graziella Fiorentin

Ed. Corbaccio

Genere Romanzo storico

Collana Narratori Corbaccio

Formato Brossura

Pag 304

€ 18,90

Formato Ebook presente in tutti gli store digitali


CONOSCIAMO L'AUTRICE


Graziella Fiorentin è nata a Canfanaro d'Istria.

Nel 1943, a causa della persecuzione verso gli istriani, ha dovuto lasciare il suo paese natio per trovare rifugio come profuga prima a Chioggia, poi nelle campagne dei dintorni e, infine, a Padova, dove ancora risiede.

Grazie a questo libro, nel 2001 vince il Pemio del Presidente del concorso <<Firenze Europa>>; nel 2002 vince il Premio Nazionale <<Santa Margherita Ligure Delphino>>; nel 2002 le viene segnalata la finale a Premio Internazionale <<Città di Milano>>; nel 2007 riceve un premio al <<Trofeo Penna d'Autore>>; nel 2011, a Verona, vince il Premio <<Gen. Tanzella>>.

A questo romanzo è stato liberamente ispirato il Movie Rai, recentemente in onda su Rai 1 " La rosa dell'Istria".


TRAMA


8 settembre 1943, con un annuncio ufficiale alla radio, il Maresciallo Badoglio, dichiara la resa dell'Italia agli americani e agli inglesi, creando scompiglio, lasciando allo sbando l'Esercito  e il popolo istriano privo di ogni difesa.

Il Generale Tito, appoggiato dai suoi partigiani, procedeva la sua avanzata cercando di annettere l'Istria alla Jugoslavia, mentre le milizie della Repubblica Sociale stavano appoggiando la riorganizzazione dei tedeschi.

Già dal '43, ma in particolar modo con la fine della Guerra e il 1945, una barbara "pulizia etnica" costringe trecentomila italiani, dei quali settantamila bambini, a fuggire dall'Istria per cercare aiuto in altre regioni, spesso accolti in maniera ostile dagli abitanti.

La figlia del medico condotto, Maddalena e alter ego dell'autrice, ha soltanto 8 anni quando viene strappata con la forza alla sua terra, a quel suo piccolo mondo fatto di mare, sogni, colori e profumi.

Il tempo passa e la bambina racchiude ricordi della sua terra nel suo cuore. Vent'anni dopo, ormai adulta e madre, decide di fare ritorno in quel lembo di terra nel quale è nata, la culla della sua storia, per poter raccontare la storia di tutti quei bambini che, come lei, furono costretti a lasciare troppo presto le loro radici e la loro infanzia.


IMPRESSIONI


Amici della Valigia buongiorno.

Il libro di oggi mi è stato gentilmente offerto, in versione digitale, da Valentina di Corbaccio Editore che ringrazio di cuore per aver accontentato la mia richiesta.

Il suo titolo è "Chi ha paura dell'uomo nero" e racconta, in versione romanzata, la vera storia dell'autrice, istriana, e di tanti altri bambini, costretti all'esodo nel 1943.

Prima di parlarvi della storia di Maddalena-Graziella, credo ci sia bisogno di fare una premessa storica, giusto per comprendere meglio i fatti.

Si dice che a Roma abbiano fatto più danni i Barberini che i Barbari, io non sono d'accordo anzi,  sono più che sicura che, non solo a Roma ma in tutto il mondo, abbia fatto più danni la Seconda Guerra Mondiale coi suoi pazzi persecutori.

Nel '43 l'Italia era in uno stato di sbando totale. Al fallimento del regime fascista di Mussolini conseguì una catena di sfaceli devastanti: il crollo del partito fascista, lo scioglimento delle Forze Armate e la capitolazione dell'8 settembre. 

La disfatta dell'Esercito  finì per coinvolgere  gli stati di confine, maggiormente la Croazia con Zagabria e Lubiana, all'epoca provincia autonoma, con gravi ripercussioni anche in tutti i Balcani, dove Tito, forte della politica comunista, approfittando del caos venutosi a creare, prese il sopravvento. 

Fu l'8 settembre del '43 che i partigiani di Tito diedero il via a un'ondata di cruenta vendetta contro i fascisti che in quegli anni avevano dominato in maniera poco ortodossa Istria e Dalmazia, costringendo il popolo all'integrazione italiana forzata e a continue soppressioni.

La conseguenza terribile fu che l'8 marzo 1943, all'incirca mille persone, tra cui tutti i fascisti e tutti gli italiani non comunisti, furono prima perseguitati, poi torturati e infine trucidati e buttati nelle foibe come fossero immondizia.

I macabri "fatti delle foibe" diedero il via a un lungo e sanguinoso massacro e a una straziante fuga dalle proprie origini.

Le "foibe" delle doline carsiche sono delle cavità, delle fratture  anche dette inghiottitoi, presenti in grandi quantità anche nelle valli carsiche friulane, in particolar modo nella regione Giulia. La stima attuale degli inghiottitoi istriani è di circa 1700. 

All'interno di queste cavità, la milizia jugoslava, dopo atroci torture, gettò una parte dei corpi degli istriani, alcuni ancora in vita, anche se la maggior parte morì durante il trasferimento nei campi di concentramento, nei campi stessi, nelle prigioni o nelle miniere di bauxite.

La seconda ondata di eccidi, quella più cruenta e col maggior numero di vittime, arrivò a maggio del 1945. 

L'obiettivo fu quello di eliminare chiunque provasse a contrastare l'egemonia comunista di Tito, fosse anche solo idealmente, mettendoli a tacere per sempre nelle foibe.

Tragica conseguenza del macabro, enorme eccidio, fu l'esodo al quale gli italiani in Istria furono costretti repentinamente, trascinando con sé anche i dalmati, fiumani e tutti gli italiani residenti nei territori che l'Italia, col trattato di Parigi, cedette alla Jugoslavia. 

Solo il 10 febbraio 1947, col trattato di pace di Parigi, finalmente, finì la straziante ondata persecutoria delle Foibe, stabilendo che i confini tra Italia e Jugoslavia avrebbero seguito i parametri dettati dalla Francia.

Dal 2005, il 10 febbraio è stato istituito il "Giorno del Ricordo" per commemorare gli eccidi delle Foibe e il grande esodo degli italiani istriani e dalmati.

Questo, a grandi linee, è l'orrore al quale l'autrice ha dovuto assistere durante la sua infanzia.

Tramandare i ricordi più intimi, le paure, ma anche le piccole gioie fatte di colori, profumi e sapori, è un modo per non dimenticare quel periodo buio della storia italiana e mondiale, ma è anche un modo per cercare di non ripetere gli stessi errori. 

Purtroppo sembra che l'essere umano sia restio a trarre insegnamento dai propri errori, ma le nuove generazioni hanno diritto e soprattutto bisogno di conoscere la storia.


<< "Forse hai ragione. Sono passati tanti anni... Forse questa è gente estranea, che nulla sa di quello che avvenne qui. E poi nulla dura in eterno, nemmeno l'odio, spero! Ma aspetta a suonare, saliamo per il viottolo. Vorrei vedere la casa da vicino." Risalimmo il viottolo che, da bimba, percorrevo, saltando e cantando, tante volte al giorno. >>


Il romanzo inizia con la voce narrante di Maddalena, la protagonista ormai adulta, moglie e madre, che insieme alla sua famiglia, dopo venti lunghissimi anni dall'esodo al quale fu costretta, torna nella sua terra natia per far conoscere la storia del suo villaggio ai figli e mostrar loro la sua casa in cima alla collina.

Le emozioni, ancora fortemente contrastanti, provate dalla donna mentre ripercorre i luoghi della sua infanzia, sono un caleidoscopio di componenti che, tramite flashback temporali, la inducono a rivivere momenti atroci e particolari dell'infanzia vissuta nelle doline istriane prima, e nella laguna veneta poi, nel cuore pulsante della guerra.


<< "Arriva il dottore! Chi ha paura dell'Uomo nero?" Rispondevamo: "Nessuno". >>


Figlia del medico del villaggio, Maddalena cresce circondata dall'affetto di una famiglia benestante, dai saldi principi e libera di correre nei prati e nei boschi dietro la sua casa che sovrasta il mare delle coste istriane. 

Ha due fratelli, Nicolò, il maggiore che, seguendo le orme paterne, studia medicina a Padova e Saulo, fratellino minore, al quale vuole un bene immenso.

A Maddalena piace rotolarsi nell'erba fresca e verde, raccogliere frutti succosi dagli alberi del suo giardino e giocare a piedi nudi col piccolo Saulo e con gli amici del villaggio, senza pensieri e senza nubi cupe in quel cielo così blu che sembra tuffarsi nel mare laggiù, oltre la collina e la ferrovia.

Il mantra preferito dei ragazzini è quello di ripetere una cantilena per sconfiggere con coraggio la paura dell'Uomo nero, simbolo della paura stessa, che li vedeva rincorrersi felici e ansiosi di dimostrare il proprio valore e coraggio. 


<< Quando entro nelle case di certi slavi non sono accolto cordialmente  come in passato. Sta bollendo qualcosa in pentola... Ma se ce l'hanno coi tedeschi invasori, perché mai dovrebbero prendersela con gli italiani? Noi qui esistiamo da sempre... Però le minoranze slave si stanno facendo turbolente! Cosa vogliono? >>


Il destino infame sembra però avere altri progetti per il popolo Istriano.

Sulla scia degli orrori seminati in Italia e in Europa, l'ombra nera della guerra comincia a soffiare il suo gelido fiato anche sul collo dell'Istria, creando scompiglio e facendo crollare tutte le certezze di una vita.

Il panico, l'insicurezza, la carestia e la morte, travestiti da tedeschi nazisti e partigiani di Tito, prendono prepotentemente il sopravvento sulla placida quotidianità di Canfanaro d'Istria, lasciando dietro di sé una scia di dolore inconcepibile e straziante per chiunque.

Si comincia a vociferare che i tedeschi facessero sparire, molti dei quali ancora vivi, i ribelli, i partigiani di Tito sconfitti, gli abitanti indesiderati dei villaggi e i prigionieri catturati durante le guerriglie,  nelle foibe, profonde e buie voragini nascoste nelle rocce dei colli. 

Per gli italiani d'Istria, perseguitati in patria, si sta mettendo male. Cominciano gli avvertimenti sibillini, seguiti da minacce e persecuzioni crudeli. 

Gli slavi non li vedono più di buon occhio e l'Italia, Ponzio Pilato della situazione, se ne lava beatamente le mani, non  riconoscendoli più come italiani in patria,  cercando in tutti i modi di cacciarli dalla loro terra. 

I nazisti, sempre contrastati dai sanguinari partigiani di Tito, stanno facendo pulizia etnica, seguendo gli ordini dettati dall'infame pensiero di un despota tiranno e folle, forte dell'alleanza con Mussolini, che aveva  venduto i propri conterranei, le proprie radici, per 30 denari.

La famiglia di Maddalena cerca di fare il possibile per aiutare amici e vicini, spesso mettendo in pericolo la propria incolumità e spesso è costretta a piegarsi al volere dei nazisti per qualche momento di "pace". 

Tutto, per cercare di salvare la pelle e le loro radici.

Un medico e la moglie che sanno parlare tedesco sono un bene prezioso per i nazisti, nessuno oserà torcere un capello alla famiglia. 

Questa è la convinzione di Maddalena e dei genitori.

Ma la guerra non guarda in faccia nessuno, è opportunista e, in guerra, tutto è permesso per vincere o salvare la pelle, anche quando sembrano giungere voci di un sicuro cessate il fuoco.


<< "Hanno annunciato che è stato firmato l'armistizio."

" Che cosa vuol dire armistizio? "

" Armistizio vuol dire che..."

Bang! Uno sparo secco, vicinissimo.  >>


Le sicurezze cominciano a crollare coi primi proiettili scagliati a tradimento contro la sua casa, contro la sua famiglia, nella quiete di un caldo pomeriggio autunnale.

È giunta l'ora di pensare a mettersi al sicuro, lo scantinato ricavato sotto il pavimento di casa non basta per tutti e non è più sicuro. 

Bisogna partire, con la speranza di poter tornare, un giorno.

Lacrime, lo stomaco stretto in una morsa mortale, il terrore negli occhi e nei pensieri. 

Fame, sete, stanchezza fisica, stanchezza morale mescolata al terrore negli occhi e nel cuore, non solo dei protagonisti ma anche in quelli del lettore. 

Non si può restare impassibili verso una così immensa atrocità.

Impotenza, rabbia, rassegnazione.

Lacrime salate e amare che svuotano di ogni emozione che non sia dolore.

Sono i sentimenti e le sensazioni che, pagina dopo pagina, accompagnano Maddalena e chi legge, in un crescendo di ansia plasmata dai quei brividi freddi sottopelle che la paura innesca quando sei impotente davanti alla bestia umana. Quello di paragonare l'essere umano all'istinto  primordiale delle bestie è un pensiero e una presa di coscienza col quale Maddalena si trova a riflettere sin da bambina.


<< Io mi guardo intorno e non so più  chi ci vuole bene e chi ci odia... Come si fa a riconoscere chi è cattivo e chi è buono? >>


I perché girano e rigirano nella mente, proprio come in quella della piccola Maddalena che, cercando di superare i propri limiti, prova a dare una spiegazione plausibile a tutto quell'odio gratuito che sta gravando pesantemente sul capo degli istriani. Loro non hanno fatto nulla di male, hanno sempre lavorato duramente quella terra fatta di rocce e radici, così aspra e spesso ostile, ricavando quel che bastava per vivere dignitosamente. 

Perché ora volevano cacciarli? Perché non si poteva trovare un accordo per continuare a vivere nel proprio nido, senza dar fastidio a nessuno?

Perché destinati a infrangersi sotto le bombe, sotto al fuoco di tutti contro tutti, in un macabro gioco al potere dove non si sa più chi è vittima o carnefice.


<< Volevo andarmene ora. Volevo trovare un posto nel mondo dove gli uomini non si odiassero... Ma dove? >>


Raccolti sogni e speranze di una vita, misti al minimo indispensabile per poter un giorno ricominciare in una terra libera, la famiglia di Maddalena, accompagnata da una reticente e rassegnata nonna, partono furtivamente col treno per cercare rifugio a Chioggia, dallo zio.

Non ho potuto fare a meno di pensare che, all'epoca dei fatti, tra i tanti vagoni che percorrevano i binari senza ritorno, la famiglia di Maddalena era riuscita miracolosamente a imbarcarsi su quello della speranza. 

Uno squallido vagone che, nonostante tutto, li avrebbe condotti verso la libertà. Ma a quale prezzo?

Certo, la salvezza, la certezza di poter ricominciare una nuova vita ma senza più quel sentimento forte e radicato di appartenenza a una terra che non li ha mai voluti e non li vuole.

Più i capitoli mi scorrevano sotto gli occhi, più il dolore si faceva strada nella mia anima. 

Come è possibile che la propria terra rinneghi i suoi figli?

Da quale fonte attinge linfa vitale l'odio razziale?

Domande che non avevano una risposta all'epoca e continuano a non avere una risposta oggi se non, forse, riconducibili alla follia umana. 


<< Iniziò allora per me un periodo strano, confuso, un altalenare di apatia e desiderio di conoscere il nuovo paese in cui fortunosamente ero capitata. >>


La convivenza con gli zii di Chioggia non è facile, bisogna scendere a compromessi con la quotidianità, la fame e con l'avanzata dei nazisti.

Maddalena però non perde mai il coraggio, ogni volta che si sente persa, ripudiata, sa di non aver paura dell'uomo nero, di avere la forza per andare avanti ogni giorno, nell'attesa di tempi migliori e, col sostegno del cugino Matteo, in mezzo a raid aerei, incursioni nazifasciste e pericolose avventure, nascosti in anfratti marini durante i bombardamenti, riesce a superare tutte le prove che la vita le mette sul percorso. 

Anche quella più dura, il distacco dal compagno di avventure, il ragazzo che l'ha sempre protetta, il cugino Matteo.


<< Mi sentivo infelice e sola. Il mio orgoglio mi impediva di darlo a vedere, ma dentro di me soffrivo. A differenza di quanto avveniva nel mio paese, avevo la convinzione di essere disprezzata, derisa, trascurata. >>


La resilienza di Maddalena e della sua famiglia è il motore trainante di tutta la storia.

Messi costantemente in ginocchio di fronte alle disgrazie, la voglia di rialzarsi li sprona a reagire, a mantenersi profondamente radicati alla vita, alle proprie origini.

Mille difficoltà, prima della tranquillità economica, li attendono in quella nuova terra che sì è italiana, ma non è la loro.

Maddalena è stanca, ha quasi perso la fiducia nei genitori e arriva a credere di aver perso la loro protezione, sentendosi perennemente troppo esposta alle mercé di un popolo che non gradiva la loro presenza. 

Supplicandoli chiede soltanto di essere lasciata tranquilla, tra quelle quattro mura estranee che la sua famiglia chiama casa. Si ribella, si dispera ma capisce che se veramente vuole un futuro di pace e serenità, ancora una volta, deve piegarsi al volere della famiglia. 

Non è sola, non lo sarà mai.


<< Piccola Maddalena, credevi di essere immune dal male? Conosci forse qualcuno che lo sia? >>


<< Chi ha paura dell'Uomo nero?" Rispondevamo: "Nessuno". >>


A grandi linee questa è la storia di Maddalena/Graziella e di tutte quelle famiglie che, grazie all'amore, alla pietà e a un po' di fortuna, sono riuscite a sopravvivere all'odio di massa che voleva annientarle.

Da questa storia è stato (molto, molto, molto liberamente) tratto il commovente film "La rosa d'Istria". 

Per chi, ovviamente dopo aver letto il libro, volesse vederlo, lo può trovare in chiaro e gratuitamente su Raiplay.

No!

So a cosa state pensando: "Se c'è il film, perché perdere tempo a leggere 300 pagine?". 

Sono proprio quelle 300 pagine che fanno la differenza, che vi permettono di entrare nel cuore dei fatti. Di percepire la puzza della paura durante le sirene antiaeree, di avvertire il brivido gelido lungo la schiena nel bel mezzo di un'incursione dei tedeschi o dei partigiani di Tito, di muovere i vostri passi con cautela, cercando di evitare le mine anti uomo o le mine trappola che, se andava bene, in certi casi, potevano uccidere invece di condannare a rivivere ogni istante, fino alla fine dei propri giorni, l'orrore di farsi scoppiare in mano o sotto ai piedi un ordigno.

Il film, se pur molto toccante e veramente ben fatto, racconta una storia un po' diversa, a mio parere un po' troppo diversa, ma non sono qui per recensirlo.

Se invece doveste già aver visto il film, tra le pagine di "Chi ha paura dell'uomo nero?", può trovare approfondimenti, vivere nuove emozioni e conoscere la storia, fatta di sentimenti e memorie, che i testi scolastici purtroppo non raccontano.

Lo scopo dell'autrice è quello di non permettere che la storia venga dimenticata, che la memoria e il sacrificio dei nostri conterranei venga "infoibato" una seconda volta.

Abbiamo il diritto di sapere, di conoscere e, soprattutto, abbiamo il dovere di non dimenticare e, con questo romanzo biografico, Graziella Fiorentin è riuscita a dare voce anche a chi è stata tolta per sempre nel profondo della terra.

Per come la vedo io, il sacrificio di tutti i caduti delle foibe non è stato invano, andando a consacrare quel territorio come loro terra, senza che nessuno possa più dire o fare nulla per cacciarli. Non apparterranno più fisicamente e politicamente a quei luoghi, ma il sangue che ha impregnato prati, case, foibe, li rende parte del territorio. Lì sono nati e in quelle terre affondano le loro radici. Per sempre.

Adesso sta a noi non dimenticare e divulgare.

Cari lettori, cari insegnanti, il mio consiglio è quello di regalarvi questo libro e immergervi nella lettura e portarla nelle vostre classi. 

L'autrice ha curato ogni capitolo con dovizia di particolari, fatti storici e usando un linguaggio ricco, a volte desueto, che arricchisce il racconto incuriosendo il lettore più pignolo.

Sono sicura che ne rimarrete soddisfatti, anche se consumerete tanti fazzolettini.

Alla fine di questa mia recensione vi chiedo in anticipo scusa se, durante la lettura, doveste aver riscontrato errori storici. Non sono una storica, mi documento su testi e siti storici ufficiali ma sono un essere umano e, come tale, faccio errori, ho delle sviste e dimenticanze. Non vogliatemene e segnalatemi l'errore in modo da poterlo correggere.

Scrivere questa recensione mi è costata tanta fatica, fisica, ma soprattutto morale, sentendomi impotente e disorientata dalle atrocità apprese. 

Ho impiegato un po' di giorni, spesso rileggendo alcuni capitoli di Chi ha paura dell'uomo nero?, a documentarmi, a cercare di sintetizzare al meglio, a trovare le parole giuste, per cercare di essere in grado di raccontarvi ciò che il testo mi ha lasciato. 

Non è stato facile, scrivere comporta sacrifici, notti di sonno perse, giornate di sole davanti a un monitor per evitare di dimenticare un pensiero, un aneddoto o una data storica particolare.

Sintetizzare la storia non si può. È un'immensa matrioska della quale non vedremo mai la fine, e da scoprire c'è ancora tanto, troppo.

Qualche anno fa, nel Campo di smistamento e concentramento,  di Fossoli, ho potuto vedere le abitazioni che, nel 1954, furono  concesse a 250 famiglie istriane e dalmate che vi soggiornarono per circa 16 anni.

All'epoca il campo, forse per dimenticare l'orrore dei campi di sterminio, fu convertito in Villaggio San Marco, le casette usate per stipare gli ebrei furono restaurate e trasformate in  abitazioni per accogliere i profughi d'Istria e Dalmazia. 

Queste casette, ormai fatiscenti e rovinate su sé stesse,  ancora oggi, strato su strato, raccontano, ancora una volta, una storia fatta di odio e sangue nel nome della follia umana. 

È stata un'esperienza molto forte ma costruttiva, che mi sento di consigliarvi per integrare maggiormente questa lettura. 

Buona lettura,

Tania C.























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