giovedì 30 gennaio 2020

Recensione di BACI AMARI E MUSICA D'AUTORE di Martina Attili - Ed- Longanesi -




BACI AMARI E MUSICA D'AUTORE

Martina Attili
Ed. Longanesi 
Pubblicazione: gennaio 2020
Pag. 223
Collana La Gaja Scienza
Brossura
€ 16,00
Ebook disponibile
Questo libro è stampato col sole. Azienda carboon-free

CONOSCIAMO L'AUTRICE


Martina Attili - foto dal web -






Nata a Roma nel 2001, Martina Attili a sei anni comincia a prendere lezioni di musica e a quattordici scrive le sue prime canzoni. Il 2017 la vede classificarsi tra gli otto finalisti di Area Sanremo. Nel 2018 col brano inedito scritto e arrangiato da lei, Cherofobia, si presenta a X Factor ipnotizzando la giuria. Il brano diventa virale prima della messa in onda dello show vincendo il disco di platino e ottenendo milioni di visualizzazione su You Tube e streaming Spotify, dando il nome all'ep e il via al tour di concerti nel 2019.
Martina è attivista testimonial del Centro Nazionale Contro il Bullismo/Bulli Stop.
Attualmente è impegnata con nuovi progetti musicali per Sony Music.
Questo è il suo primo romanzo.


TRAMA

Sara ha sedici anni e grandi sogni. Gareggia nella Nazionale di pattinaggio su ghiaccio, ma un brutto incidente le ruba i sogni e il futuro. 
Soffre, vive, combatte la paura che la attanaglia, grande quanto il vuoto che c'è nel mondo. 
Sara ha un'amica, la sua migliore amica che è la metà della sua anima, la sua famiglia e che, come tutte le famiglie, la fa sentire in gabbia e libera allo stesso tempo.
Ha un ragazzo. Quello sbagliato. Ma si innamora di quello giusto nel momento sbagliato. Fa un gran casino, si reinventa, rifiutandosi di credere a chi le dice <<è impossibile>>. Sbaglia e cade di nuove, ma non perde la forza di provare a rialzarsi.
Sara ha un dono, ha la voce di un angelo e canta, scrive i suoi pezzi strappacuore, non mangia mai. Leggera come un uccellino, nessuno può farla crollare se non è lei a volerlo.
È una ragazza come le altre. Difficile, incasinata, unica e impegnata a trovare la strada giusta in mezzo alle mille strade sbagliate. Ogni tanto si perde, bisogna perdersi, ma rimanendo aggrappati alla voglia di ritrovarsi.


IMPRESSIONI

Per questa  bella copia cartacea fresca di stampa ringrazio Elena di Longanesi che mi ha accontentata: è stato un piacere riceverla.
Un romanzo appena pubblicato,  scritto da Martina Attili, una giovane donna di appena 19 anni, ma già famosa al pubblico per la sua partecipazione a Area Sanremo e X Factor. Un personaggio che spopola sui social, con una voce che incanta. Ma Martina non è solo voce, musica e televisione. Con questo suo primo romanzo che affronta i quotidiani problemi adolescenziali, si è rivelata anche una brava scrittrice. 
Indovinata la copertina che rispecchia le grandi passioni di Sara, il pattinaggio, la musica e il rosa dei capelli. Mi ha colpita in positivo anche per questo, un dettaglio importante per un lettore. 
Non conoscendo la Attili come autrice, confidavo molto sulla trama che, oltre alla grafica, aveva attirato la mia attenzione. Mi piace il pattinaggio su ghiaccio, mi incanto sempre a veder piroettare giovani ragazzi che si sacrificano per la loro passione quindi, sicura che sarei arrivata all'ultima riga soddisfatta, mi sono avventurata nei sogni di Martina Attili e di Sara, rimanendone piacevolmente sorpresa. 

Non so se avete presente quella sensazione di completo benessere, come se un po' vi sentiste fieri di voi stessi.

Baci amari e musica d'autore è un romanzo, protagonista è Sara Sminor, una tredicenne con un brillante futuro nella Nazionale di pattinaggio su ghiaccio. 
Sara vive coi genitori e il fratello a Roma, va bene a scuola, le piace lo sport, ha anche qualche problema a gestire la rabbia, ma grazie alla sua migliore amica Emma che sa come calmarla sembra riuscire controllarlo.  Sara  ha anche  un dono speciale: canta come un angelo. Studia pianoforte da autodidatta, compone e arrangia i suoi pezzi e grazie alla sua tenacia arriva in finale ad Area Sanremo con un brano speciale  da lei composto e arrangiato: Cherofobia. 
Un brano che racconta la paura della felicità, la tendenza ad evitare situazioni che provocano gioia.

<<La cosa ti ha disturbata?>>
<<Mi disturbano un sacco di cose.>>
<<Tipo?>>
<<Le persone. Odio le persone. Non capisco perché su alcune il karma non funzioni.>>
<<Hai mai fatto del male a qualcuno per questo?>>
<<Non è evidente?>>
<<A te.>>
<<A me.>>


Sara è arrivata a comporre questo brano ripercorrendo un vissuto di circa tre anni, durante i quali ha visto momenti di gloria durante i quali ha riso, ha gioito. Poi la disgrazia che le ha rubato i sogni e il futuro: è caduta, si è rialzata, cadendo ancora, non ha perso la speranza, ma qualcosa si è rotto dentro e intorno a lei.
Mentre si stava allenando col padre per le prossime gare, Sara cade. Il dolore alla caviglia è lancinante, ma con la follia di ogni sportivo, si alza e prova ancora, ma il dolore le trapassa il cuore e il padre è costretto a prenderla in braccio e portarla dal medico.
La diagnosi non lascia spazio a dubbi: 

<<Se Sara volesse continuare a fare sport, allora dovremmo programmare un intervento.>>

Il suo raro scafoide bipartito era rotto, e aveva coinvolto anche il tendine tibiale posteriore.
Il bivio che le si presentava davanti era chiaro: continuare a pattinare, quindi fare l'intervento, o appendere i pattini al chiodo?
Il pattinaggio era importante per Sara, e tra quattro mesi avrebbe dovuto scendere in pista a Canazei. Scucendo al medico la promessa che sarebbe tornata come nuova, Sara affronta l'intervento. 
Quando il destino si accanisce contro qualcuno, lo fa con tutta la potenza di cui dispone. L'intervento al piede non riesce, compromettendo il futuro sportivo di Sara che si ritrova a dover pagare le conseguenze dell'anestesia e dei potenti anti dolorifici. Appena dimessa dall'ospedale passerà le sue giornate vomitando tutto ciò che mangiava e in preda ad un freddo che le divorava l'anima pur essendo in agosto. Il padre la obbligò a reagire, a combattere la forte disidratazione che l'aveva colpita e piano piano si rimise sui pattini, cercando di tornare quella di prima. Non partecipò ai campionati, il suo piede non funzionava più. C'era bisogno di un altro intervento.

Non andavamo d'accordo, quasi per niente, ma l'amore non è bello se non è litigarello.

Le giornate di Sara, tra sport, scuola e canto, erano scandite da burrascosi momenti passati col fidanzatino Francesco. Un ragazzo sbagliato, violento e ribelle, che cercava di tenere Sara legata a lui senza possibilità di liberarsi. Francesco era anche un traditore, un giorno baciò un'altra e lo disse a Sara. La reazione della ragazza fu quella di attaccare verbalmente Francesco e "l'altra", umiliandola e aggredendola verbalmente. 
L'episodio sfociò in un futuro di tira e molla con Francesco e in un piccolo incidente che le diagnosticò un tumore benigno al piede. Il tumore doveva essere operato per non sfociare in qualcosa di peggio.
Il liceo era cominciato, ma le cose non migliorarono in nessun campo, con Francesco era più il tempo passato a litigare e subire che quello passato nella tenerezza del primo amore. 
Poi Sara conobbe Leonardo che fece precipitare il fragile rapporto con Francesco e i suoi sentimenti  per lui.
Leonardo era tutto l'opposto di Francesco: bello, grande,  protettivo e premuroso e soprattutto cercava di spronarla a riprendere in mano la sua vita. Il ragazzo ideale! Ma lei desiderava tutto ciò?
Il secondo intervento per Sara  segnò  definitivamente la fine degli allenamenti su ghiaccio: non avrebbe mai più indossato i pattini, non avrebbe sentito mai più lo screpitio del ghiaccio ferito dalla lama. Ma Leonardo non volle sentire ragione, sapeva che Sara non doveva darsi per vinta, sarebbe tornata in pista, col tempo, pazienza e cure. Ogni giorno la spronava, prospettandole il futuro che aveva sempre sognato. Certo non sarebbe stata più quella di prima, il suo piede non funzionava al massimo delle possibilità, ma chissà... 

Non riesco a dimenticare il passato perché vorrei che fosse il mio presente, e non me importa niente dei piani B perché mi fanno pensare che il piano di partenza è fallito e conseguenza io sono una fallita.

Sara pensava di poter provare qualcosa per Leonardo, ma il suo era un amore che andava oltre l'amore stesso, per questo non avrebbero potuto stare insieme. Poi c'era Francesco, che sembrava cambiato e l'allontanamento da Leonardo fu inevitabile.

Brava Martina a descrivere così bene il fuoco delle emozioni che stavano ardendo in Sara. Con dialoghi brevi e incalzanti, pensieri contrastanti, sferzanti ha plasmato un personaggio quasi autobiografico. Sara, l'adolescente della porta accanto, in balia di un futuro che la sta consumando, protetta dalla famiglia ma violentata da se stessa in bilico sulle note della sua musica. 

Sembrava tutto così nero, lo sport, la sua ragione di vita, era diventato il suo peggior nemico. Nessuno sport sembrava potesse adattarsi al suo piede ormai perso per sempre. L'aiuto del padre la spronò ad avvicinarsi alla canoa. E a ritrovare Leonardo.
Una reticente Sarà si presentò dunque ai primi allenamenti della squadra di canottaggio con i dubbi e le insicurezze di chi sa che non ce la farà mai.
A complicare la situazione poi c'era il fatto di dover condividere una sorta di spogliatoio con soli ragazzi, Leonardo compreso. Già non si sentiva bella, figuriamoci bagnata come un pulcino, con le gambe flaccide e il busto troppo irrobustito dalle pagaiate!
Ma ancora una volta la premura e l'affetto che Leonardo provava per Sara l'aiutò a vincere le sue paure, spronandola a credere di più in se stessa e forse avrebbe anche potuto tornare a pattinare. 
La nuova situazione dava fastidio a Francesco che in preda ad una gelosia morbosa pretese che Sara lasciasse la canoa.
Ma la ragazza scelse quello che in quel momento la faceva stare bene e lasciò per l'ennesima volta la follia spesso violenta di Francesco, legandosi sempre di più a Leonardo, anche se non stavano insieme.
Nel contempo cominciò anche l'avventura Sanremo, c'erano le prove di qualificazione da superare per poter accedere a Area Sanremo.
Aveva il pezzo giusto: Cherofobia. Un brano che rappresentava tutto quello che aveva provato dall'incidente che la derubò del futuro e tutto ciò che stava vivendo adesso. Paura di essere felice.
Insieme alle amiche Jasmine e Gabriella, si qualificò per le semifinali, e sarebbero approdate presto a Sanremo. Ma l'irrequietezza e la tensione sembravano non scomparire.
Da un po' di tempo Sara era entrata in psicanalisi, non mangiava più, o meglio mangiava e poi vomitava, per stare meglio, alla ricerca di un equilibrio interiore. Parlarne in un gruppo di persone disturbate avrebbe dovuto aiutarla, ma la rabbia che provava veniva vomitata ad ogni incontro, come un affronto.

Mi dissero che quello che avevo vissuto in quegli anni non era amore. Ancora una volta mi stavano cacciando dalla mia pista fatta di sicurezze e abitudini. Fuori dalla balaustra, la paura.

Cambiò anche scuola, la vecchia le stava stretta. Quella nuova era più adatta alle sue esigenze, avrebbe potuto studiare musica, avrebbe conosciuto nuovi amici e partecipato a feste. Avrebbe avuto Lorenzo vicino.
Il ragazzo, sempre più legato a Sara, continuava a motivarla, sia nel canottaggio, facendole provare per un attimo l'ebbrezza del podio durante una gara, sia nel pattinaggio. 
Il suo piede non funzionava, è vero, ma avrebbe potuto rompersi in qualsiasi momento e senza i pattini, perciò fanculo ai dottori Sara, con l'auto di Lorenzo, avrebbe ripreso ad allenarsi sul ghiaccio. Con tutte le dovute precauzioni avrebbe potuto farcela e tutto sarebbe andato bene. Lui aveva organizzato tutto alla perfezione.
Ma la cherofobia intrinseca ebbe il sopravvento. Francesco comparve all'improvviso nella vita di Sara, sempre più folle, bugiardo e violento e motivato a distruggere la sua amicizia con Leonardo. E ci riuscì, grazie anche alla gelosia della ragazza di Leonardo che lo fece allontanare dall'amica.
Sara ci cascò di nuovo, sviluppando una dipendenza morbosa per Francesco che approfittò dell'occasione per affondare ancora di più il coltello nel suo corpo già provato.
La relazione, sempre saltuaria e  malata con Francesco, vissuta clandestinamente, non fece altro che farla sprofondare nel baratro della bulimia nervosa, nell'alcool e in una profonda crisi esistenziale, accentuata dagli episodi di bullismo che stava subendo da un po' di tempo. 
Voleva vivere Sara, ma lasciarsi andare era l'unica via di uscita che voleva intravvedere. Nemmeno l'aiuto di Emma, questa volta servì a qualcosa. La trattò male, Sara dava retta solo a se stessa, entrando in un baratro profondo di solitudine e voglia di reagire. 
Ma non poteva mollare, c'erano le semifinali per Area Sanremo alle quali partecipare. 
Sara era pronta...

Come vi ho accennato prima, questo romanzo potrebbe rappresentare la vita della nostra compagna di banco, della vicina di casa o della ragazzina che incrociamo ogni giorno sull'autobus.
Grazie alla sua giovane età, Martina Attili è attenta alle problematiche degli adolescenti figli di una società sempre in corsa e sempre più sterile, sa entrare empaticamente in sintonia con Sara, tenendo incollato il lettore in ogni pagina. Ha saputo raccontare argomenti delicati e attuali senza cadere sul pesante o, al contrario, rischiando troppa leggerezza.
Non si può non amare la fragilità di Sara, il suo essere in competizione coi suoi fantasmi. Sara è la sorellina da proteggere ma anche da riprendere e far rigare dritto.
La Attili è riuscita a dosare in maniera delicata e discreta il  metodo del bastone e della carota, in un crescendo di curiosità per arrivare al finale, aperto sul futuro come la storia di ognuno di noi, con le nostre sconfitte e le vittorie.
Consiglio questo nuovo romanzo non solo ai giovani, ma in particolar modo ai genitori, che spesso  prendono troppo alla leggera i problemi degli figli, troppo presi dai  loro sogni e dalla quotidianità per accorgersi che la vita, a volte, ci piega senza darci un aiuto per sollevare di nuovo la testa.
Buona lettura,
Tania C.


mercoledì 29 gennaio 2020

Recensione di IL RISCATTO DELL'ANIMA di Debora Silvestro - Ed. AltroMondo Editore





IL RISCATTO DELL'ANIMA

Debora Silvestro
Ed. AltroMondo Editore
Collana Il Mondo di dentro
Pubblicazione 1 agosto 2019
Pag. 160
Brossura
€ 14,00

CONOSCIAMO L'AUTRICE

Debora Silvestro, nata a Caserta nel 1971, ha conseguito studi in ambito sociale e sanitario. Motivi filantropi l'hanno portata a vivere in varie parti d'Italia sino a trovare stabilità a Roma. 
Scrittrice emergente, i suoi autori preferiti sono Dacia Maraini e Glenn Cooper.

TRAMA

Un arco di vent'anni attraversa di due donne così diverse ma profondamente simili: Lara e Viola.
Due donne spezzate dalla vita che condividono il non aver mai elaborato la morte della madre e la presa di coscienza della loro omosessualità.
Latente in Lara, non accettata in Viola.
Due donne che nonostante tutto sono riuscite a reagire alle difficoltà che il destino aveva riservato per loro costruendo una prigione dorata nella quale vivere. Un vero falso d'autore.

IMPRESSIONI

Per questo delicato romanzo, Il riscatto dell'anima, ringrazio infinitamente la carissima Alice di AltroMondo Editore che  qualche giorno fa me lo inviò a sorpresa in versione ebook. Un pensiero che mi ha fatto veramente molto piacere, da parete di una Casa Editrice sempre molto attenta alle mie richieste e ai miei gusti. 
Una lettura forte e profonda, scandita dalle dolci descrizioni dell'autrice che affronta un temi delicati e intimi offrendo al lettore uno spunto di riflessione sull'Amore, quello con la A maiuscola, quello sincero e unico, che non presenta distinzioni di sesso, età e bandiera. 
Lara e Viola sono le protagoniste di questa storia. Due donne alla costante ricerca dell'amore e di se stesse, diverse ma accomunate dal dolore mai elaborato della perdita della madre e dal rifiuto di accettare la loro omosessualità.

Lara.

Persa ormai. Persa nel vortice che erano stati quegli anni fatti di angoscia e recitati con una maestria tale da fare invidia a un’attrice di teatro.
Recitati così bene che adesso si chiedeva chi fosse in realtà Lara. Chi era stata.
Cosa sarebbe potuta diventare se sul suo cammino avesse incontrato altre persone e non quelle che avevano contornato la sua vita.

Un matrimonio sbagliato, polverizzatosi in una scintilla, nonostante i suoi sforzi per farlo funzionare.
Lara, sempre sotto pressione per dare il suo meglio: una brava figlia, una buona moglie, continuamente bersaglio di critiche da parte di chi voleva annientare i suoi sforzi per non deludere nessuno. Suo desiderio era quello che gli altri fossero orgogliosi di lei. Ma lei non era orgogliosa di Lara. Rinchiusa nelle spire di una gabbia troppo stretta e troppo esigente, non riusciva a dar voce alla sua essenza di donna, coi suoi punti di forza e le sue fragilità
Adesso che la madre era morta, ridotta ad un pugno di cenere, cosa ne sarebbe stato di lei?
La perdita della madre era arrivata troppo presto, e lei si era resa conto troppo tardi di quanto fosse importante, dell'enorme vuoto che avrebbe che avrebbe sentito intorno, rimasta in balia di un futuro che ormai era sempre più lontano e senza prospettive e di se stessa con una vita che non riconosceva più.
Quanti sogni, quanto futuro le aveva rubato Davide? Un uomo che avrebbe dovuto amarla, accarezzarla, supportarla e proteggerla, si era invece rivelato vuoto, puerile. Ma forse era quello il suo modo di amarla? Di sicuro, quello, era invece il modo in cui Lara  proteggeva quell'amore sbagliato. 
Ma quando era finito tutto, quando la sua vita aveva iniziato ad andare a rotoli?

“Ma dove sta la verità in tutta questa apparenza? Dove
finisce quello di cui mi sono convinta e la realtà?” 

Per dare pace ai suoi tormenti Lara si ritrovò a cercare le risposte contenute in una scatola di ricordi nascosta nell'armadio. Da quella scatola, insieme ad un turbinio di sentimenti e domande, verrà fuori una foto che ritrae due amiche sorridenti che si tengono a braccetto: Lara ed Elena. 
Elena un'amica sempre sorridente, anche se piena di rimorsi e sensi di colpa di una vita che si era accanita contro di lei, troppo giovane per tutto quel peso. Aveva chiuso le porte all'amore, lasciando aperta quella dei sentimenti che solo l'amicizia sa dare.
Lara, affamata di un amore e affetto che Davide che non sapeva o non voleva darle, si aggrappò al braccio teso di Elena, scoprendo un nuovo modo di amare, puro e leale.

Se fosse stato una femmina sarebbe stato una degna mantide religiosa…

La carriera di Davide avanzava velocemente e più acquistava potere, più Lara scompariva ai suoi occhi. Recitando il ruolo della compagna ideale, Lara passava le sue giornate struggendosi per sentimenti non ricambiati, logorandosi l'anima, facendosi succhiare linfa vitale da Davide, concentrato solo su se stesso e sul ruolo di marito modello che tutte invidiavano.
A darle conforto Elena, diventata stagista nell'azienda di Davide. Una boccata di aria fresca, l'amica con la quale condividere tutto, quella che li seguiva ovunque, dalle vacanze ai traslochi, alle cene. E fu proprio durante una cena a casa loro che Elena la baciò, scatenandole un'euforia insolita, un senso di allegria e benessere. Turbato però da un complimento che Davide fece ad Elena. Lui, così schivo, che non notava mai nulla, aveva notato i capelli di Elena. Non era gelosa, no, Elena non aveva colpa, era Davide, quello era il suo modo di amare. Quella notte l'intimità con Davide fu diversa, più delicata ed intensa. E il suo sonno fu pervaso da una forte agitazione, quasi un presentimento. 

«Dovevo farlo. Dovevo dirti tutto. Non potevo continuare a guardarti negli occhi e far finta di niente. Non potevo più continuare a fingere sostenendo il tuo sguardo» le stava dicendo Elena. «Era tutto vero quello che avevi immaginato. Quello che sospettavi e che mi raccontavi sfogandoti e cercando una logica in atteggiamenti e comportamenti a te sconosciuti.»

Lara lo aveva intuito, c'era qualcosa che non andava. Davide ed Elena erano amanti. Tradita da suo marito e da Elena, la sua amica!
Cosa aveva sbagliato? Era una stupida Lara, se lo meritava!

Il dolore che pervade l'anima di Lara è così intenso che il lettore non può fare a meno di immedesimarsi in lei, di soffrire, di porsi le sue stesse domande.
La sensibilità dell'autrice è stata determinante per plasmare i sentimenti burrascosi di Lara, sofferenza, apatia, euforia. Solo chi sa capire, provare l'amore  al di la degli stereotipi e dei luoghi comuni è in grado di dare vita ad anime delicate e tormentate. E l'autrice è stata magistrale.

Ubriaca e sola in un locale, a rimuginare sugli sbagli della sua vita, sarà fatale, per Lara Borrelli quasi ex Veroli, l'incontro con Valeria, la giovane professoressa del ginnasio, spesso scambiata per un'alunna.
Fu così facile aprirsi con lei, raccontarle del matrimonio naufragato nell'indifferenza di Davide, del tradimento di Elena, dei suoi dubbi e paure. E fu facile abbandonarsi in quelle braccia accoglienti, calde e protettrici. Come fu facile scoprire l'amore. Diverso, unico, emozionante. Lei che era etero e mai aveva avuto pensieri omosessuali. Stava finalmente bene, aveva finalmente capito quali erano le sensazioni e le emozioni alle quali d'ora in avanti avrebbe dovuto abbandonarsi per stare a galla.  Avrebbe parlato con Elena e con Davide, e sarebbe andato sicuramente tutto meglio di come era andato sino ad allora...

Finalmente era riuscita a togliersi di dosso l’immagine
di “buona e devota”.
Non era più la mogliettina perfetta che aspettava a casa il maritino.
Quella che faceva la vita agiata e comoda grazie all’uomo che le stava accanto.
Si era tolta di dosso tante etichette. Anche quella di donna fragile e dipendente.

Col passare del tempo arrivarono anche le soddisfazioni di lavoro per Lara, l'avanzamento di carriera, la prospettiva di un nuovo lavoro. Dubbi... Ce l'avrebbe fatta? Sapeva fare il suo lavoro, ma per lei, vissuta sempre nell'ombra di qualcuno "più" di lei, come sarebbe stato lanciarsi in una nuova grande e sconosciuta avventura? Si, lo voleva e ce l'avrebbe fatta.
Sfondato il muro di apatia e sofferenza, per Lara fu facile indossare la nuova maschera di donna forte e indipendente. Davanti a lei si aprirono le porte della sua nuova vita e della sua nuova segretaria: Vittoria, una giovane donna, sgraziata e dalla scarsa femminilità ma con un luminoso sorriso.
Quel sorriso diventerà presto il primo che Lara vedrà appena sveglia.  Aveva bisogno di aria fresca e pura e Vittoria sapeva come spazzare via ogni dubbio che ogni tanto affiorava nella sua mente. La gente pensasse quello che volesse, Lara aveva bisogno di Vittoria, con la consapevolezza che non sarebbe durata e avrebbe rinchiuso il cuore in un cassetto.
Qualche avventura e poi Marco, un uomo, che provò a risvegliare il suo cuore, ma Lara era ancora troppo provata dalla storia con Vittoria. La relazione le aveva prosciugato ogni energia.  Poi la decisione di liberarsi, di raccontare la verità alla sua famiglia e potersi finalmente dedicare ad un nuovo amore. L'esatto opposto di lei, quello di cui aveva bisogno. Il pensiero corse a Davide, alla sua nuova vita di marito e padre. 
Nonostante la sua vita avesse preso una svolta importante, i dubbi continuarono ad assalirla. Chi era veramente, chi era stata in passato? Ma di cosa aveva realmente bisogno? Lei voleva solo qualcuno che fosse in grado di farle provare emozioni vere, intense. E se fosse colpa sua il fatto di non riuscire a portare avanti quelle emozioni? Se fosse la paura a bloccarla? No, non era ancora pronta.
Poi la doccia gelata. Quando squillò il telefono, Lara rispose al fratello: brutte notizie. Alla madre era stato diagnosticato un avanzato stadio di cancro asintomatico, per quello lo avevano saputo solo ora, in seguito al risultato di esami di controllo. Avrebbero dovuto incontrarsi a casa della madre per decidere il da farsi. E mai come quel giorno Lara si sentì sola e distante dal fratello. L'alcool, in quella piovosa giornata, sembrava la salvezza.
Nonostante le visite e i tentativi di cura, per la madre di Lara non ci fu nulla da fare. Il funerale fu commovente. La madre, il suo punto fermo, il suo rifugio, era solo un mucchietto di cenere raccolta in un'urna. A casa, vuota e fredda, una lettera di Marco nella quale le chiedeva di perdonarsi, di non essere troppo dura con se stessa. La madre l'aveva sempre amata, adesso doveva essere lei ad accettarsi e amarsi. Marco aveva ragione, ma lei non era pronta, non aveva voglia di far pace con tutto ciò che aveva cercato di reprimere per anni. Lara voleva solo un detonatore per porre fine a tutto. E ancora una volta l'alcool sembrava la salvezza... 



Viola.

Viola raccoglieva le sue lacrime come un rito ormai e si chiedeva dove fosse finita la donna libera, leggera e spensierata che era stata.
Quella che aveva lottato contro i mostri che vivevano in lei. Che aveva trovato la forza di andare controcorrente e rivolgersi a un esperto per lenire il dolore dell’anima e che dopo anni aveva fatto pace con sé e con la vita.
Dov’era quella donna? Dov’era finita?

Viola, in lacrime sul divano, si sente sfinita e finita. Sposata da anni con Simone, è allo stremo delle sue forze. Il suo matrimonio è ormai giunto alla fine, probabilmente non è mai esistito. Simone non l'aveva mai capita, nemmeno adesso era riuscito a capire il dolore che l'attanagliava da quando, una mattina di primavera, la madre aveva chiuso gli occhi per sempre facendo calare le tenebre nella sua vita. L'unica persona che l'amava, la proteggeva e la coccolava se ne era andata e lei era rimasta sola rischiando di impazzire se non avesse trovato una via d'uscita, se non avesse ritrovato il sole ad illuminare la sua vita.

È strano come la vita si diverta a invertire il senso delle cose.
Come proprio quando credi di avere la tua vita in mano
e ti incammini per un percorso che credi ti porterà da
qualche parte, ti ritrovi coinvolta in qualcosa che nemmeno pensavi esistesse.
In un turbine di emozioni che stravolge la vita e i sensi.

1985, Viola ha un fidanzato, è felice con lui, è prossima alla partenza per un viaggio che avrebbe dato una svolta alla sua vita, ma all'improvviso, come quando il vento cambia annunciando tempesta, succede qualcosa sconvolgerà tutto. 
Un pomeriggio, durante un incontro con la sua amica Ilaria, quest'ultima le sfiorerà le labbra con un bacio per salutarla.  Un bacio inaspettato che le inghiottì in una tempesta emozionale. Come era possibile provare certe sensazioni? 
Lei era etero, sapeva cosa significava baciare il ragazzo che si ama, come poteva essere successo che una donna provasse attrazione per lei e lei ricambiasse?
Avrebbe dovuto accettare l'invito di rivederla per salutarla che le aveva fatto Ilaria?
Un saluto, alla fine non avrebbe fatto male a nessuno e lei voleva così tanto rivedere l'amica che si ritrovò nel suo salotto quasi senza riflettere sulle conseguenze.

L'autrice, con una delicatezza poetica, intrisa dell'ingenuo candore di Viola, ha saputo descrivere empaticamente la scoperta dell'amore di due donne: Viola, candida e delicata, Ilaria consapevole, audace e avida.

Un pomeriggio che mescolerà le carte in tavola nel gioco del destino di Viola, lasciandole un retrogusto di rabbia e delusione verso se stessa, dettato dall'indifferenza di Ilaria, dopo averle fatto scoprire la dolcezza di un mondo a lei nuovo.
Col passare degli anni il malessere di Viola diventava sempre più evidente sul suo corpo e agli occhi di tutti. Tutti tranne Simone. Faceva finta di non vedere? E perché nessuno di quelli che lei riteneva amici le tendeva una mano?
Persa nelle sue elucubrazioni, uno dei trofei vinti alle gare  di pattinaggio veloce su ghiaccio la riportò al 1990, quando conobbe Wanda. Una campionessa, per la quale contava solo vincere ma che sembrava così interessata a lei. E lei non voleva tutto questo interesse. Stava ancora elaborando il turbinio di emozioni scatenate tempo prima da Ilaria. Poi quel piccolo incidente nello spogliatoio, le cure amorevoli di Wanda, il locale gay nel quale la portò a bere. Quel bacio e poi tutto si era fermato li, con l'esternazione di Wanda:

«Ok ti riporto a casa. Ma io non sono su di giri se non per te. Che mi hai rapita dal primo momento che ti ho vista.»

La storia di Wanda e Viola proseguì tra gioie e tormenti. Wanda era gelosa di Viola, si sentiva in competizione con lei e glielo rinfacciava spesso. Viola invece era in competizione con se stessa, le piaceva correre da sola per superare i suoi limiti, e questo era spesso oggetto di lite con Wanda. I dubbi del tradimento di Wanda con Nadia, diventarono certezza, ma qualcosa si era già rotto prima.

Viola fece una piroetta su se stessa e cadde.
Un tonfo a pochi metri dal coach. E un urlo lancinante

che nel silenzio della pista fece eco.

E con le liti e i dubbi arrivarono  il distacco e il'incidente su ghiaccio che videro una Viola confusa, costretta in ospedale. L'impatto sul ghiaccio fu devastante per la caviglia di Viola. 
L'intervento fu necessario per non "perdere" il piede. Era viva, dolorante e stordita, non riusciva a comprendere tutte le parole del medico, ma una cosa le fu chiara: la carriera sportiva era compromessa per sempre. Niente più gare. Niente più salti e piroette. Niente olimpiadi. 
Quel giorno le lacrime rigarono il suo sonno.
Otto lunghi anni fatti di fisioterapia e interventi, fecero recuperare a Viola l'uso della caviglia all'80%, ma non la sua carriera. Il dolore per la fine dei suoi sogni si unì alla sofferenza della sua vita travagliata. Le compagne di squadra cercarono  di tenerle il morale alto. 
Wanda provò di recuperare il rapporto, ma Viola fu irremovibile, anche questa volta avrebbe vinto lei, non avrebbe aperto nuovamente il suo cuore a quell'amore impossibile.
Passarono altri anni, spesi anche nella psicanalisi che l'aiutò a fare chiarezza su se stessa e le sue priorità. Sulle sue paure e angosce. 
Non poteva più gareggiare, ma le venne offerto il posto di allenatore in seconda nella squadra. Avrebbe trovato la sua dimensione. Si sarebbe anche sposata con Simone, ce l'avrebbe fatta. Ma a scapito di cosa? Ancora una volta costretta a nascondere la sua realtà, in un corpo che non sentiva più il suo, accanto ad un uomo che non la capiva e non la vedeva. Viola, ormai, era morta e dopo averne parlato con Simone uscì di casa, liberandosi dalle sbarre di quella prigione troppo stretta. 
Camminò senza una meta, cercando di portare un po' di luce nel buio della sua anima.
Per Lara i giorni trascorsero nella quotidiana routine tra casa e lavoro, pomeriggi alla Feltrinelli con una cioccolata calda e il libro preferito. E proprio tra le fantastiche storie dei suoi libri, un pomeriggio, Viola conobbe per caso Lara...

LARA E VIOLA

«Guarda che io quella gabbia la vedo chiaramente nei tuoi occhi. 
E adesso sono lì. Seduta vicino a quell’anima spaventata che non sa cosa fare. Ma è una gabbia aperta. 
Riesci a vederlo anche tu vero che è aperta? Devi solo trovare il coraggio di fare un piccolo salto ed entrare nei miei di occhi. E tutto ti sembrerà più chiaro. Un solo piccolo salto.»

Quel pomeriggio passò piacevolmente. Viola e Lara si raccontarono, si studiarono. Per Viola fu l'emozione che cercava da tempo. Lara era "l'altra metà del cielo". I suoi occhi raccontavano i suoi stessi dubbi, le sue stesse paure. Gli incontri divennero sempre più frequenti, finalmente avevano trovato la loro dimensione. Si aiutarono, si capirono a vicenda e capirono, finalmente, se stesse. Così diverse, ma con lo stesso destino: la madre le aveva lasciate troppo presto. 
Ma l'amore immortale che provavano per le loro madri  le legò.
Finalmente erano guarite, erano libere da quelle gabbie anguste, pronte ad affrontare un'altra dura prova del destino...


PER CONCLUDERE

Viola e Lara , due donne molto diverse tra loro, come fossero unite dal "filo rosso" si sono finalmente ritrovate l'una nell'altra. Coroneranno, finalmente il sogno di un amore libero e avvolgente, capace di esaltare il loro modo di essere donna?
Due donne all'opposto, accomunate dall'amore per la madre e dalle stesse insicurezze.
Viola, un nome all'apparenza fragile come il fiore, ma forte, capace di resistere ai capricci della primavera. Così era Viola: dietro ad una corazza di fragilità, si nascondeva il suo carattere combattivo, rivaleggiante e indomito.
Lara, un nome delicato e fragile, che ben rispecchia le debolezze e le sue insicurezze, la paura di cedere ai suoi sentimenti e al suo modo di essere donna.
Non so se l'autrice abbia scelto i nomi casualmente o se abbiano un significato per lei, ma questo è ciò che mi ha  trasmesso.
La narrazione delicata, pacata, per lasciar spazio alle rapide di nuove emozioni, è divisa in capitoli alternati tra Lara e Viola, che si riuniranno in capitoli condivisi verso la fine della storia.
Di sicuro è un romanzo fuori dagli schemi, che partendo in sordina, arriva a scalfire il lettore più esigente.
Lo stile è scorrevole, intriso di una forte umanità ed empatia che ci accompagna a riflettere sul senso dell'amore fine a se stesso, senza distinzione di sesso.
Un romanzo che va letto con calma e attenzione, entrando nella mente dei personaggi, vivendo i loro drammi e le loro vittorie, per arrivare ad un finale che vi emozionerà. Ringrazio ancora AltroMondo Editore per questa opportunità e vi auguro una buona lettura.

Tania C.


lunedì 27 gennaio 2020

Recensione di AVEVANO SPENTO ANCHE LA LUNA di Ruta Sepetys - Ed. GARZANTI -





AVEVANO SPENTO ANCHE LA LUNA

Ruta Sepetys
Ed. GARZANTI 2011
Copertina flessibile
Pag. 298
Traduzione: Roberta Scarabelli
€ 6,90 (offerta proposta dalla libreria)


CONOSCIAMO L'AUTRICE

Ruta Sepetys - foto dal web -

Ruta Sepetys è nata in Michigan da genitori rifugiati lituani. Per scrivere Avevano spento anche la luna condusse accurate ricerche in Siberia, visitando campi lavoro, intervistando storici e sopravvissuti che le raccontarono atroci e raccapriccianti aneddoti dell'epoca. Per Garzanti ha pubblicato anche Una stanza piena di sogni.

TRAMA

Lituania, 4 giugno 1941, la polizia fa irruzione in casa di Lina. Il suo reato più grande è quello di esistere e di essere sulla lista nera perché figlia del Rettore dell'Università.
Insieme alla madre e al fratellino verrà stipata nel vagone di uno di quei treni sola andata. Fame, sete, settimane passate sul vagone e poi l'arrivo in Siberia in un campo lavoro dove il freddo, col suo sussurro gelido uccide. 
Ma Lina non scende a compromessi con la sua dignità: quando non è obbligata a lavorare, disegna documentando tutto. Lotta per la sopravvivenza, promettendo che se mai riuscirà ad uscirne viva, onorerà con l'arte la vita stessa e tutte le famiglie sepolte in Siberia.
Tratto da una storia vera, Avevano spento anche la luna squarcia il silenzio su uno dei più grandi genocidi della storia scaturito dalle deportazioni dai paesi baltici nei gulag staliniani. 

IMPRESSIONI

Per la Giornata della Memoria ho scelto il romanzo d'esordio dell'autrice. Lo lessi anni fa, e rimasi sconvolta dal racconto straziante delle angherie subite dal popolo lituano, narrate dalla voce di Lina, la protagonista. Ispirato ad una storia vera. Avevano spento anche la luna è uno spaccato di storia quasi sconosciuto al mondo a causa della tendenza alla segretezza e insabbiamento da parte della Russia su uno dei più grandi genocidi europei,  oltre 60 milioni di morti soprattutto per fame, stenti e malattie, quello dei deportati dei Paesi Baltici. Molte più vittime della follia di Hitler, ma parlarne era pericoloso, poteva anche costare la vita. 
Ruta Sepetys, di origine lituana, ha voluto dar voce non solo alla memoria familiare, ma anche ai sopravvissuti dell'invasione di Estonia, Lettonia e Lituania da parte dei sovietici.
Mentre nell'Est Europa Hitler perseguitava gli Ebrei, nei paesi baltici Stalin perseguitava chiunque cercasse di sovvertire la sua egemonia politica.

I lampioni in strada erano spenti ed era quasi buio pesto. Gli agenti marciavano dietro di noi, obbligandoci a tenere il loro passo.

Lina, quindici anni, di origini lituane, ha un sogno, quello di diventare un'artista brava come il suo pittore preferito, Munch. Sta prendendo lezioni per imparare la tecnica. 
La sera del 14 giugno 1941 si era appena messa la camicia da notte, quando arrivarono i sovietici a prelevarla insieme alla madre Elena  e al fratellino Jonas appena undicenne. Non poteva essere, c'era sicuramente un errore. Dove li stavano portando? Lei era la figlia del Rettore dell'Università, perché li avevano fatti salire su quel carro? E suo padre dove era finito?
Era invece proprio quella la condanna: essere lituana, esistere. E quella era la condanna che la accomunava alle altre quarantasei persone stipate sul suo stesso carro diretto ad una serie di vagoni che li avrebbe trasportati in Siberia nei gualg dei campi di lavoro forzato.
Arrivati al vagone, la madre,  Lina e Jonas apprenderanno che anche il padre è stato catturato dai sovietici e verrà deportato insieme a loro nei campi siberiani ma stipato in un altro vagone della disperazione.
Il viaggio in treno durò settimane, strazianti e gelide. Lo scandire del tempo veniva dettato dalla brutalità dei soldati sovietici che si ripercosse gratuitamente sui deportati solo perché "respiravano", privandoli di ogni dignità, anche quella di avere degna sepoltura. I cadaveri delle Persone che non riuscirono a sopravvivere al viaggio venivano lanciati dal treno in corsa, come quello di una madre e della sua  neonata non sopravvissuta al parto perché la madre non aveva latte per allattarla. Madre e figlia furono scagliate fuori dal vagone, la bambina deceduta per la fame, la madre uccisa per aver esternato il suo dolore, figlio della perdita dell'innocente creatura. 
Le ore di Lina sul vagone passarono grazie ai suoi disegni, cronache reali di quanto succedeva a quei poveri disgraziati stipati come scarti da macello su quei vagone. Suo desiderio più grande era quello di comunicare col padre, di poter riunire la famiglia. Il padre stesso le aveva chiesto di non smettere di raccontare storie coi suoi disegni, prima che i sovietici lo dividessero dai suoi cari. Il mondo avrebbe dovuto conoscere la loro storia, il dolore e la disperazione causati dalla follia dittatoriale staliniana.
Ma la realtà era beffarda e distante dai desideri di una bambina lituana, colpevole di esistere.

Vi siete mai chiesti quanto vale una vita umana? Quella mattina la vita di mio fratello valeva un orologio da taschino.

Venduti come bestie da soma ai campi lavoro siberiano, Lina, la madre Elena e il fratellino, si troveranno a vivere situazioni estreme a livello fisico e morale, ma con la promessa di non perdere mai la loro dignità, di non scendere mai a compromessi con la disperazione.
Lina era una ragazzina dal carattere caparbio,  forte e testarda e nonostante le angherie subite, il gelo che le tagliava le mani costrette a lavorare duramente nella steppa siberiana, non ha mai perso il sorriso e l'amore per la vita. Grazie ai suoi disegni, nei quali riversava il grido di speranza contro l'egemonia sovietica, riuscì anche a procurarsi un po' di cibo in più, rispetto a quei miseri 300 grammi di pane. Quello, secondo la dittatura, era il fabbisogno giornaliero equilibrato di un "lavoratore" che scavava a mani nude la gelida steppa anche per dieci ore.

<<Pensi che dovremmo mangiarlo?>> chiese Janina.
All'inizio rimasi scioccata, poi immaginai il corpo carnoso che arrostiva nel nostro barile, come un pollo. Lo toccai di nuovo. Lo presi per un'ala e lo tirai. Era pesante, ma scivolava sulla neve.

La fame era nera, per chi si trovava costretto a convivere insieme a decine di persone ridotte allo stremo, che si davano sui nervi a vicenda, ammassati in una yurta improvvisata su lastre di fango, pietre e ghiaccio e lacere tende a far da tetto, costrette a lavorare  alla mercè di rigide intemperie e dei perfidi aguzzini che erano le guardie del NKVD, precursore di quello che sarebbe poi diventato KGB. 
Bisognava agire d'astuzia, approfittare di ogni occasione di cibo che si presentava davanti, rubacchiando tra i rifiuti o furtivamente, come quando Lina e le sue sventurate compagne trovarono un gufo morto nella neve. Per poterlo cucinare, Lina fu costretta a nasconderlo sotto i vestiti e il misero cappotto fin tanto che i soldati del NKVD non glielo sottraessero. 
Schiacciata dal  peso "morale" di quel cadavere nascosto sotto il cappotto che le bucava il corpo scarno,  Lina era felice di poter aiutare e portare un po' di conforto alla madre malata e alle altre madri che versavano in cattive condizioni di salute a causa degli stenti e della morsa di freddo polare. 
Il gufo arrosto, cucinato con cura e amore dalle donne del campo, era una prelibatezza, quasi come mangiare anatra, un po' coriacea, ad un banchetto reale.

Io dovevo parlare. Avrei scritto tutto nero su bianco, avrei disegnato ogni cosa. Avrebbe aiutato il papà a trovarci.

Nonostante la perdita dei genitori e di altri cari affetti, Lina non perse mai la speranza e il sorriso. Per dodici lunghi anni mai si piegò e  scese a patti con la dittatura sovietica. Conobbe  la violenza, l'odio, il rancore verso una delle guardie del NKVD, ma non ne fece mai sua prerogativa di vita, anche se ne avrebbe avuto tutto il diritto, anzi tutte le angherie subite, la durezza estrema della vita nel campo, alimentarono in lei l'amore verso la vita, unica e preziosa e verso un ragazzo, lituano come lei  conosciuto nel campo. 
In mezzo a quel gelo e alla disperazione troverà anche  la forza per motivare il fratello a non cedere, per spingerlo a credere ancora in un futuro libero. Avrebbero ritrovato il loro padre e avrebbero fatto ritorno nella loro casa sotto alle loro calde coperte.   

Il successo significava sopravvivere. Il fallimento significava morire. Io volevo la vita. Volevo sopravvivere.

Lina amava la vita, la libertà e i suoi disegni ispirati al suo amatissimo Munch, a testimonianza del famoso "urlo" come accusa contro le torture subite, furono affidati ad un contenitore di vetro rinvenuto dopo la liberazione della Lituania, divenuti testimonianza di tutto il male subito durante la prigionia. 
I personaggi di questo romanzo sono inventanti, eccetto la figura di un medico che arrivò nel campo ad infondere speranza e amore, ma i fatti sono reali. Il sangue versato, la paura, il gelo che tagliava le mani, la fame che corrodeva i corpi denutriti sono reali, così come i sentimenti contrastanti provati da Lina e dalle migliaia di persone sottomesse alla persecuzione sovietica. 


Un messaggio forte e straziante che servirà da spunto di riflessione per le nuove generazioni, affinché il circolo vizioso della Storia sia destinato ad interrompersi. Ma siamo ancora ben lontani ... 
La Giornata della Memoria è anche questo spaccato di Storia, taciuto per anni dal Governo sovietico; questo romanzo è un modo semplice e avvincente per conoscere la tragedia di un popolo che aveva solo la colpa di esistere. Buona lettura, 
Tania C.

domenica 26 gennaio 2020

Recensione di CHERNOBYL 01:23:40 di Andrew Leatherbarrow - Ed. SALANI




CHERNOBYL 01:23:40
LA STORIA VERA DEL DISASTRO NUCLEARE CHE HA SCONVOLTO IL MONDO

Andrew Leatherbarrow
Ed. SALANI 2019
Pag. 263
Copertina flessibile
Traduzione Annoni, Salerno, Turrini
€ 15,90


CONOSCIAMO L'AUTORE

Andrew Leatherbarrow - foto dal web -

Per molti di noi Chernobyl è una città vera e proprio, un non luogo che improvvisamente, un giorno è rimasto deserto. Per Andrew Leatherbarrow è proprio questo che da un fascino esagerato al luogo. Per molto tempo si è domandato come sarebbe stato camminare in quei luoghi fantasma immaginando quale fosse la quotidianità prima che il disastro la colpisse. Un giorno si ritrova tra le mani l'annuncio di un tour a Pripyat, nella zona di esclusione. Partecipando avrebbe avuto accesso libero all'area. Da quel viaggio è nata l'indagine sul mistero che aleggia intorno al giorno della tragedia. Questo libro racchiude il risultato di cinque anni di ricerca, descrivendo un dettagliato ed accessibile resoconto di quello che realmente è accaduto quel 26 aprile 1986 nella centrale nucleare di Cernobyl.
Ad oggi Andrew vive con la compagna e i loro due figli in Inghilterra. Nel tempo libero dal lavoro scrive libri. Andrew e questo dettagliato docu-libro sono stato il punto di riferimento per le riprese della serie tv Chernobyl.

TRAMA

All'alba del 26 aprile 1986, all'01:23:40, Alexandr Akimov preme l'interruttore per l'arresto di emergenza del quarto reattore nucleare di Chernobyl.

Un gesto che costrinse permanentemente l'evacuazione di una città e decretò l'inizio di un disastro nucleare che ha segnato la storia mondiale e il destino dell'Unione Sovietica. Decenni di storie contraddittorie, inesatte  ed esagerate seguiranno faranno parlare del disastro. 
Con questo libro, frutto di cinque anni di ricerca, l'autore mette in luce un dettagliato e completo resoconto su ciò che accadde realmente quella notte. Grazie alle sue ricerche ci racconta con minuziosa descrizione la disperata lotta per evitare che la tragedia colpisse l'Europa, l'eroico sacrificio degli uomini che raggiunsero il luogo del disastro colpito da un livello di radiazioni talmente elevato che non riuscirono nemmeno a registrarlo, la verità sui leggendari 'liquidatori di Chernobyl', passando dal processo portato a termine dall'URSS con le relative menzogne.
La storia si alterna al racconto di viaggio dell'autore nella città ucraina di Pripyat, oggi ancora abbandonata, e nella vasta Zona di esclusione di Chernobyl. 
Una minuziosa corrispondenza che raccoglie fotografie dell'odierno paesaggio di Pripyat. Da leggere come un romanzo.

IMPRESSIONI

Me lo ricordo io, quel 26 aprile 1986, o meglio mi ricordo dal 27 aprile in poi, quando tutti i tg dell'epoca e le testate giornalistiche non facevano altro che raccontare di un importante disastro nucleare  che aveva colpito l'URSS, precisamente Chernobyl con gravi ripercussioni a livello europeo. La paura che le radiazioni contaminassero l'Italia, che non si potesse più uscire fuori a giocare nei prati, in quegli anni i social di noi ragazzini erano i campi e i prati attorno casa, era forte. 
All'epoca di Chernobyl avevo 12 anni e a malapena potevo comprendere quello che stava succedendo, o meglio la  grandezza e la potenza del danno socio-ambientale.
I miei ricordi mi rimandano a catene di solidarietà per ospitare i "Bambini di Chernobyl", figli di chi aveva perso tutto, spesso senza famiglia, mandati in Italia per "purificarsi" e passare un po'di tempo lontani da un ambiente insano e lugubre.
I danni, purtroppo, non sono stati solo morali, ma anche fisici e gravi. La notte di Chernobyl provocò 65 decessi, ma quelli venuti a  mancare a causa degli effetti a lungo termine furono molti di più. Cancro, trombosi, leucemie e deformazioni devastanti. Non potevo comprendere appieno, ma rimasi sconvolta, immaginando strani esseri deformi e fluorescenti aggirarsi  per la steppa. La mente dei ragazzini è talmente malleabile che basta poco a creare storie fantastiche, frutto anche della scarsa informazione in merito.
Ma di fantastico, nella tragedia di Chernobyl non c'era, non c'è e non ci sarà, per centinaia di anni ancora, nulla.
Il forte potere cancerogeno, sviluppato dalle radiazioni sprigionatesi dal disastro, oltre a morte e malattie, ha distrutto un raggio abitativo di circa 30 km, destinandolo a rimanere abbandonato ancora per centinaia di anni. Ad oggi la natura si sta riprendendo il suo territorio, piante, fiori e animali abitano il "cimitero a cielo aperto" , tra gli scheletri di edifici e strutture abbandonati a se stessi e ingoiati dall'eternità radioattiva. 

All'inizio del Ventesimo secolo la sua scoperta (Marie Curie) che la luminescenza del radio è in grado di distruggere le cellule umane malate più rapidamente di quelle sane generò una nuova industria che pubblicizzava le proprietà magiche (perlopiù immaginarie) di questo nuovo elemento a un pubblico ignaro e facile da sviare.

Solo negli anni trenta/quaranta si riuscì a capire quanto le radiazioni prodotte dal Radio fossero pericolose, circa 2,7 milioni di volte più dell'Uranio. Sino alla fine degli Anni Venti tutti sembravano impazzire per quella miracolosa scoperta che prometteva gran benefici all'umanità, dall'uso nella quotidianità sino a quello farmaceutico. Ma il caso delle "ragazze radio" diede inizio ai primi dubbi: le ragazze radio erano giovani donne impiegate della United States Radio Corporation che dipingevano manualmente i quadranti di orologi, approfittando spesso per laccarsi le unghie con la vernice fluorescente. Per tenere umida la punta dei pennelli usati, le ragazze la umettavano con la punta della lingua, ingerendo giornalmente quantitativi ingenti di particelle radioattive. Dopo qualche tempo si cominciarono ad intravvedere i risultati devastanti del radio: i denti e il cranio cominciarono a sgretolarsi.

La radioattività previene la pazzia, risveglia emozioni nobili, ritarda l'invecchiamento  e garantisce una vita meravigliosa, giovanile e gioiosa.

Un film dell'orrore a pensare agli studi, forse presi troppo alla leggera, di Marie Curie sulle radiazioni prodotte dal radio e alla propaganda un po' troppo propositiva che fecero riviste mediche dell'epoca.
Tutto questo orrore, a partire dagli anni '40, sembrò perdere popolarità a causa della richiesta di innovazione a scopo bellico per la Seconda Guerra Mondiale: tesi dell'epoca sostenevano che 

"la fissione funzionava meglio se nell'ambiente veniva introdotto un 'moderatore' per ridurre la velocità dei neutroni in moto all'interno di un atomo così da moltiplicare le probabilità di collisione e scissione."

Prese così il via la costruzione dei primi reattori nucleari. Il primo mattone del Chicago-Pile 1 fu messo a dimora nell'Università di Chicago, in campo al progetto Manhattan, supervisionato dal fisico Nobel Enrico Fermi. Quello che non era stato preventivato e, all'epoca studiato, furono le ripercussioni dei  molti incidenti nucleari accaduti durante la contaminazione. Si tendeva ad insabbiare tutto. 
La stessa Marie Curie ed altri studiosi, probabilmente, persero la vita a causa di tumori e malattie sviluppatesi  dalla continua e potente contaminazione da radiazioni. Nonostante si continuasse a negare il potere distruttivo delle radiazioni, figlia e genero della Curie, che vinsero il Nobel, morirono a causa della contaminazione per aver portato avanti gli studi della madre.
Nessuna stima nemmeno sulla sindrome da radiazione, in quanto la Russia aveva, negli anni, insabbiato tutta la documentazione sui molti incidenti nucleari capitati sino ad arrivare a quello della notte di Chernobyl. Sicuramente altri Paesi come Corea del Nord, Pakistan ed Iran,  rinomati per la facile corruttibilità governativa, continuano tutt'oggi sulla linea dell'omertà.
Ad oggi, come apprende e riporta Leatherbarrow dalle sue ricerche,  si stima che  gli incidenti nucleari gravi che hanno provocato molte vittime siano circa settanta, con almeno dieci decessi ufficiali e molti altri nascosti.
La maggior parte causati da errori umani in conseguenza anche a furti di apparecchiature mediche di radioterapia.
L'autore non ricorda di preciso quando iniziò la sua passione per Chernobyl. Era piccolo, sentiva parlare della catastrofe e soprattutto del villaggio abbandonato a se stesso frettolosamente, rimasto in balia degli anni e della natura per decenni, costretto a restarci per altre centinaia di anni. Agli occhi di un bambino tutto questo aveva un che di surreale. Chissà come sarebbe stato visitare quel villaggio spoglio, vuoto, che un tempo era abitato da bambini come lui...

Dopo anni di attesa ed innumerevoli ore passate ad analizzare la dinamica dell'incidente, oggi finalmente vedrò Chernobyl coi miei occhi.

Nel 2005, Andrew si iscrisse all'Università e venne a conoscenza di una serie di fotografie scattate da un motociclista che aveva attraversato in solitaria la zona di esclusione ricavandone un affascinante book fotografico. Col tempo venne fuori che la storia della traversata era una montatura, ma ciò non scalfì il fascino che le fotografie ebbero su Andrew.
Lo tsunami del 2011 in Giappone fu la causa del  secondo disastro nucleare per potenza e per l'autore fu oggetto di interesse talmente forte che lo spinse a documentarsi ancor di più  su ciò che in quegli anni si era diventato un'ossessione: Chernobyl. 
Non conoscendo però il funzionamento di un reattore nucleare, cominciò a documentarsi guardando documentari, leggendo articoli e con tutto quello che riuscì a trovare al riguardo. Man mano che si informava facendo scrupolose ricerche,  vennero alla luce documenti contraffatti, al riguardo di quel che successe la notte di Chernobyl al reattore quattro e le ripercussioni che ne scaturirono. 
Interesse della Russia era quello di nascondere i fatti realmente accaduti modificando ogni tipo di documento e di ricordo.  Mille domande affollavano la mente di Leatherbarrow.
Quanto, di quello che accadde quella notte fu raccontato realmente e quanto insabbiato? 
Chi furono i veri responsabili? 
Quali insegnamenti aveva dato quell'errore? 


Pripyat oggi - foto dal web -

L'interesse di Andrew cresceva sempre di più, per ogni documentazione contraffatta, la voglia di verità si faceva sempre più scalpitante, tanto da spingerlo, nell'ottobre 2011, a partire per un tour nella Zona di esclusione, con accesso illimitato a Pripyat. 
La sua sete di sapere lo portò addirittura a vendere alcuni dei suoi beni più cari pur di racimolare il denaro sufficiente a mantenersi durante il soggiorno.

Brutali strutture di cemento bianche e grigie, quasi prive di qualsiasi abbellimento, spuntano da quella che è diventata una foresta, mentre la sagoma lontana di Chernobyl si staglia minacciosa all'orizzonte, appena visibile attraverso la nebbia.

L'arrivo a Pripyat fu, per Andrew e probabilmente per il gruppetto di persone che viaggiava con lui, come il bacio di un Dissennatore. 
Durante il giro della zona residenziale "Fujiyama", sembrava che tutta la popolazione terrestre si fosse estinta e lui fosse rimasto l'unico sopravvissuto in un mondo grigio e desolato, dove regnano incontrastate solitudine e tristezza. Era solo un suo  pensiero o anche gli altri provavano la stessa sensazione di vuoto e gelo desolante?
Lungo il percorso fu rinvenuta la carcassa mummificata di un cane, ricoperta di piccoli fori. Era morto a causa delle radiazioni, oppure vittima dello squadrone di sterminio che all'epoca si aggirava battendo a tappeto la città? Erano passati venticinque anni, e quei fori avrebbero potuto significare tutto e nulla, anche la straziante sindrome da radiazioni, ma l'augurio, se così lo si può macabramente definire, per la sorte di quella povera bestiolina, è che fosse deceduta per stenti. Il che avrebbe significato, per paradosso, meno sofferenza.
Nonostante i depistaggi dell'austero regime russo, tutti i documenti studiati sino a quel momento da Leatherbarrow vennero smentiti dal suo viaggio nella storia di Chernobyl. 
Quel 26 aprile 1986, alle 01:23:40 un errore umano causò l'esplosione del reattore nucleare di Chernobyl. Così ci hanno voluto far credere, riscontrerà Andrew durante il suo viaggio fatto non solo di visite e foto, ma di cinque anni di approfondite ricerche. In realtà, all'errore umano si aggiunse il materiale di scarsa qualità col quale fu costruito che comportò un mal funzionamento del reattore dettato anche da un'errata costruzione e, non da meno, le importanti regole sulla sicurezza che mai furono rispettate. 
L'errore umano, quella notte, venne in parte ripagato dalla "eroicità" degli operai rimasti in sede per cercare di placare l'incendio ed evitare un disastro ancora più immane, che avrebbe spinto l'enorme onda radioattiva su tutta la terra. Uomini e donne che, contando sulla forza  delle loro braccia e donando, chi consapevolmente, chi ignaro, la propria vita, hanno cercato di contenere il disastro e liquidare la zona.
Esseri umani reali persero la vita da eroi, volutamente oscurati dal Governo Russo, perché tutto doveva restare segreto, riportati "in vita" da Leatherbarrow, come un doveroso omaggio a loro, che di vite ne avevano salvate tante. 


Chernobyl, il sarcofago che ricoprirà il reattore numero quattro - foto dal web -


PER CONCLUDERE

Dal 1986 il toponimo di Chernobyl è inevitabilmente associato all’incubo dell’incidente nucleare. 
Ma, alla fine, cosa sappiamo esattamente su quello che veramente accade la notte del 26 aprile 1986? 
Poco o nulla. 
La fredda disamina delle dinamiche che portarono il reattore numero quattro ad esplodere, quanto hanno contribuito ad approfondire la reale conoscenza di una materia tanto affascinante quanto distruttiva?

Se la potenza dell’atomo non viene guidata e incanalata può portare a danni inimmaginabili. 

Un intero Continente, quella notte, si trovò in bilico sull’orlo dell’Olocausto. Tristi i richiami all’impiego dell’arma atomica sperimentato nelle fasi finali del secondo conflitto mondiale. 

Ancora oggi, la complicità del velo di silenzio imposto dalle autorità sovietiche, contribuisce a rendere ancor più oscuro il dipanarsi della trama di una strage silenziosa di cui nessuno conosce il bilancio: il sacrifico di chi lotto’ contro il tempo per evitare l’annientamento della vita. 
Noi italiani di quei giorni, di quei mesi, abbiamo impresse le immagini del latte versato, dei proclami delle autorità che ci rassicuravano sull'assenza di rischi. Ma non abbiamo mai voluto scavare a fondo. 
Il docu-libro di Leatherbarrow ha il merito di squarciare questo velo, agevolato dal grande successo riscosso dalla fiction che ne è stata tratta, la quale, seppure nell’ottica di una trasposizione televisiva, segue fedelmente l'histoire di  un thriller che tiene tutti con il fiato sospeso, costringendoci ad immergerci in un narrato fatto soprattutto di nozioni, indispensabili per conoscere.
Perché non si deve cancellare la memoria, perché sia monito a chi deve garantire la nostra sicurezza nel formare personale preparato scientificamente, indipendente dai diktat dell’apparato e delle logiche di mercato. 
Perché Chernobyl non fu’ solo un errore umano, ma anche il frutto di un' ottusa visione ancorata ai principi dell’ideologia. 
Dobbiamo ringraziare la passione/ossessione dell’autore, perché il dovere di documentare, informare e tutelare la memoria può diventare una martellante ossessione, così come la nostra è quella di non dimenticare.
Questo libro, quasi un documentario di guerra che si legge come un romanzo, scritto con un linguaggio semplice e viscerale, al contrario di quanto si possa pensare, non è propriamente una lettura leggera. Prendetevi tutto il tempo necessario, elaborate i pensieri, fate ricerche e integratelo con la serie tv. Non ve ne pentirete e potrete finalmente comprendere quello che veramente accadde quella notte. 
Ringrazio il mio fidanzato per avermi aiutata a chiarire dubbi, lacune e per avermi mostrato la via d'uscita dell'intricato labirinto dei reattori nucleari.
Buona lettura,

Tania C.





Recensione UN ANIMALE SELVAGGIO di Joel Dicker - Ed La Nave di Teseo -

  UN ANIMALE SELVAGGIO Autore: Joel Dicker Editore: La Nave di Teseo Traduzione: Milena Zemira Ciccimarra Pubblicazione: 25 marzo 2024 Forma...