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lunedì 16 novembre 2020

Recensione IL MISTERO DI EVITA. Una storia di amore e di potere. Un romanzo-verità su uno scandalo internazionale. Di Giovanni De Plato - Ed. Chiarelettere

 



IL MISTERO DI EVITA. 

UNA STORIA DI AMORE E DI POTERE.

Un romanzo-verità su uno scandalo internazionale.


Giovanni De Plato

Ed. Chiarelettere

Collana Narrativa italiana

Anno pubblicazione 2020

Formato Brossura

Pag. 192

€ 17,00

Formato digitale disponibile


CONOSCIAMO L'AUTORE

Giovanni De Plato - Foto da Chiarelettere -

Giovanni De Plato, psichiatra, è stato professore associato all'Università degli studi di Bologna, facoltà di psichiatria. Nella sede di Buenos Aires dell'ateneo, ha rivestito la carica di direttore di master. È stato primario ospedaliero e direttore del Dipartimento di Salute Mentale alla Asl Bologna Nord. Ha rivestito la carica di consultant dell'Oms per la promozione della salute mentale in America Latina. 
Editorialista, scrittore, saggista, ha al suo attivo anche la pubblicazione di manuali e testi scientifici.
Nel 2018 pubblica il suo primo romanzo edito da Pendragon, Il figlio del migliore. Nel 2020 pubblica per Chiarelettere Il mistero di Evita.

TRAMA

1° maggio 1952, Buenos Aires. 
Sotto al balcone della Casa Rosada il popolo è in visibilio per  la loro amata Evita. La donna, affacciata al balcone incita il suo popolo a proseguire il cammino che sta facendo diventare grande l'Argentina, salutandolo con un avvertimento riguardo ad un grave pericolo in corso:

<< Il nemico ci spia e ci ascolta... I traditori della patria si sono mescolati a noi. >>

Quasi di peso, il Presidente Perón, la trascina via, preoccupato per l'esaltazione che sta pervadendo la ragazzina arrivata dalla pampa, e che in meno di dieci anni è diventata first lady. È terrorizzato dall'idea che la radicata indole indipendentista dell'amata moglie e il forte ascendente che ha sul popolo potessero indispettire le potenze interne ed estere che sino ad allora lo avevano supportato.
Poco meno di tre mesi da quel giorno Evita muore in seguito alle conseguenze di una misteriosa lobotomia praticatale poco tempo prima, in gran segreto, da un medico americano e non da chi la stava curando dal cancro che da tempo la stava divorando.
Evita, il presidente Perón e il giovane sindacalista Maiorino prestano, alternando le loro memorie, la voce a De Plato nella stesura di questa gloriosa parabola dal tragico destino. 
Un mito sempre vivo e in continua evoluzione nell'immaginario popolare grazie anche a film, canzoni e libri.

IMPRESSIONI

Ero appena adolescente quando sentii la mia vicina di casa argentina, che ho sempre considerato ''mi tia Dorita'' (zia Dora), raccontare la storia di una donna argentina, amata dal popolo e moglie dell'ex presidente Perón: Eva Ibarguren Duarte de Perón, Evita per il mondo.
Zia Dora era nata a Barcellona, e ancora in fasce, emigrata in Argentina con la numerosa famiglia, a Buenos Aires, nel pieno dell'ascesa di Perón. Di umili origini, contrariamente ai suoi nuovi conterranei, non amava quella donna bellissima e  di origini umili come lei, mentre provava una forte ammirazione e stima per il defunto presidente  Perón .
Il ritratto di Evita che mi proponeva era quello di un'arrampicatrice sociale, volgare e ignorante, volta solo ad infervorare l'ira del popolo bisognoso, alla compiacenza di se stessa e a vivere nel lusso che il matrimonio le aveva portato dopo una vita di soprusi e povertà.
Dopo il mio viaggio in Argentina nel '95, che mi vide ripercorrere i luoghi del cuore di Evita, spinta dalla curiosità, cercai di approfondire la sua storia facendo domande a chi mi apriva casa e cuore in quella pampa sconfinata me ancora desolata. Nonostante fossero passati vent'anni dalla morte di Perón e più di quaranta da quella di Evita, il popolo argentino ancora li portava nel cuore, ricordandoli con lo stesso calore e ardore di un tempo. Zia Dora era l'eccezione che conferma la regola e comunque almeno una stanza della sua bella villetta in riva al mare era dipinta di rosa in onore alla Casa Rosada, residenza dei presidenti argentini, ed al compianto presidente. Dai racconti di tia Dorita sembrerebbe che gli argentini avessero l'usanza di dipingere una stanza di rosa proprio in onore a Perón. Non so se fosse una leggenda metropolitana o una bizzarria inventata dalla mente contorta della zia, sta di fatto che ogni casa di amici che visitai all'epoca, effettivamente, conteneva una ''habitación rosa''. 
Nel frattempo il mito di Evita prendeva sempre più forza nei ricordi popolari, incentivato dall'uscita, nel 1996, del  musical drama Evita interpretato dai mostri sacri che all'epoca riempivano i botteghini: Madonna e Banderas.
Lo vidi al cinema, lessi qualche articolo uscito al riguardo, ascoltai le interviste e per un po' me ne dimenticai, seppellendo l'interesse per quella donna dalla volontà straordinaria sotto la coltre di altri mille mila interessi di ventenne alle prese col mondo da scoprire.
Finché qualche tempo fa i miei ricordi germogliarono nuovamente con l'uscita del romanzo Il mistero di Evita di Giovanni De Plato, riaccendendo la scintilla della curiosità mai completamente soddisfatta. Chiesi a Tommaso di Chiarelettere di poterlo recensire e grazie anche alla disponibilità di Francesca mi arrivò subito la copia digitale che aspettava solo di essere letta. Ringrazio quindi i ''ragazzi Chiarelettere'' sempre pronti ad accontentarmi.
Il mistero di Evita è un  romanzo verità, dal lieve sentore biografico ma è anche un romanzo corale, raccontato dall'alternanza di tre voci: quella di Eva Maria nata Ibarguen e divenuta poi Maria Eva Duarte de Perón,  quella dell'amico sindacalista Carlos Maiorino e quella del marito Juan Domingo Perón.

''Maria Eva era davvero la signora della nazione o puna popolana ribelle che ambiva al ruolo di rivoluzionaria, restando vittima della propria ignoranza e del proprio velleitarismo?'' 

Questa è la domanda che l'autore si e ci pone nella presentazione del romanzo, riassumendo in poche pagine l'ascesa di Eva alla carica di ''primera dama'' dell'Argentina.
E partendo da quella domanda inizia a scavare per cercare di riportare alla luce il mistero che aleggia intorno ad Evita dal giorno della sua morte, poco dopo aver subito un misterioso intervento di lobotomia e dopo aver tenuto il suo primo discorso al pubblico dal balcone della Casa Rosada. 
Eva aveva solo 33 anni.

''Quel fiore era nato e cresciuto nei campi di Los Toldos, la pianura dei sogni e delle sventure. E il suo profumo era penetrato nell'anima della povera gente - lavoratori, braccianti, donne, disoccupati - spingendoli alla rivolta.''

Pampa argentina, Buenos Aires gennaio 1995, un verano mas frio - foto personale -


Evita nacque il 7 maggio 1919 nella desolazione dell'infinita e arida pampa di Los Toldos, a circa 300 km da Buenos Aires.
Ultima di cinque figli, nata da una relazione extraconiugale ad uso e consumo del fattore benestante dove la madre prestava servizio, Eva Maria cresce in un ambiente povero e insano, piegata al volere dell'uomo padrone e dalla durezza che la vita nella pampa comportava.

" Mia madre mi aveva insegnato che la dignità della persona è un diritto. Nessuno può calpestarlo. E quando sei armato di dignità e di diritto puoi spostare le montagne."

Se pur nella povertà la madre la cresce insegnandole il valore della dignità. E lo fa lottando contro la piccola società "bene" di Los Toldos che durante i primi anni di scuola di Eva voleva escluderla dalle attività teatrali solo perché era una dei tanti  figli illegittimi del fattore e addirittura osava ostentarne il nome.
Tutto ciò provocava un grande dolore alla bambina che già aveva le idee ben chiare sul significato di schiavitù e padrone. Ancor più della povertà la urtava la tirannia che regnava sovrana tra i fattori, padroni della vita di ogni donna che circolava nella loro fazenda. Per gli uomini dell'epoca (senza distinzione di casta sociale) ogni donna era vista come una macchina da lavoro casalingo e un oggetto sul quale sfogare i propri istinti animaleschi.

"Cinque figli abbandonati nei campi non gli toglievano il sonno. Viveva in pace, senza scrupoli. Poi un incidente stradale lo spedì all'altro mondo. Io non sapevo se ridere o piangere per la sua morte."

Ripromettendosi di non fare la fine della madre e di tutte le donne abusate della pampa, Eva riuscirà, nel 1947, ad ottenere il diritto al suffragio delle donne. 
A quindici anni decide di partire per raggiungere il fratello militare a Buenos Aires e dove avrebbe avuto maggiori possibilità di realizzare una carriera da attrice. Parte con un autobus polveroso e scomodo per un lungo viaggio, con la borsetta ''singer'' amorevolmente cucitale per l'occasione dalla madre che aveva impegnato anche l'anima pur di acquistare quella vecchia macchina da cucire di seconda mano che le avrebbe permesso guadagnare qualche spicciolo sbrigando lavoretti di cucito. 
A Buenos Aires intraprende una carriera cinematografica  dalla partenza brillante ma insoddisfacente, improntata sulla dominanza dell'uomo padrone e della donna sottomessa ai suoi ordini e ai suoi appetiti sessuali. Fuggita dalla realtà di sfruttamento della pampa, fugge anche dal mondo di celluloide cinematografico per approdare in radio. 

" Per lei il riscatto nazionale era possibile solo con uno Stato diverso, risanato, moralizzato, amico degli ultimi e dei poveri."

Sfidando il dispotismo di un sistema di tirannia maschilista, si schiererà dalla parte del popolo emarginato, appoggiando i sindacati dove conoscerà uno dei più importanti esponenti dell'epoca, quello che diventerà un amico sincero e fedele, disposto a perire pur di difendere la causa per la quale lottavano con tanta forza, il coetaneo Carlos Maiorino.
Maiorino oltre ad esserle amico fu anche il mentore che la iniziò alla cultura, facendola emergere dal limbo del suo basso spessore culturale e alla sua semplicità ingenua.
Ad accomunarli erano le loro umili origini, memori di una vita disgraziata e povera, ma con la stessa voglia di ribellarsi alle vergogne del mondo.

" La mia vera fortuna è stata quella di aver incontrato Juan Domingo e di essermi legata a lui, con fede e amore.''

Il successo radiofonico e il costante appoggio ai sindacati segnano l'inizio della nuova vita che Evita tanto aveva sognato. 
Non mancavano gli inviti a cerimonie e cene importanti e, ad una di queste, Eva si ritrovò al cospetto del colonnello  Perón,  smettendo i panni da piccola Cenerentola della pampa e indossando quelli da regina di Buenos Aires per una sera. Quei panni però le calzavano così bene che ben presto si ritrovò tra le braccia del suo adorato principe Juan Domingo. Dall'innamoramento al matrimonio il passo fu breve, così come l'ascesa al potere di  Perón  e la completa dedizione al popolo di Evita. 
Lo spazio donato alla voce di Evita le permette di spiegare, quasi a volersi giustificare, le motivazioni che l'hanno spinta a scendere in piazza per i diritti degli emarginati. Lei stessa veniva da un passato fatto di violenza sessuale e tirannia da parte degli uomini e si era fatta una promessa, quella di debellare per sempre la tirannia e ridare dignità al popolo argentino schiavizzato dal potere autoritario dell'uomo ricco.
Venerata con mistica sacralità dagli ultimi ed emarginati,  pronti a scendere in piazza a riscattare i loro diritti spronati dalla loro paladina, Eva cominciava a non essere vista di buon occhio dalle potenze che appoggiavano il marito, tanto da farle continue pressioni che le ignorava liberamente, dedicandosi al suo popolo con ancora più grinta e passione, spingendosi al di la degli interessi politici. 
Per lo Stato era diventata una minaccia, nell'aria cominciava a scorrere l'odore di una rivolta che sarebbe presto sfociata in una guerra civile. Eva allontanata precauzionalmente da Buenos Aires ne approfittò per armare il paese e  Perón  si sentì in dovere di fare qualcosa di concreto per fermare quella moglie ribelle e incurante della pericolosità degli ideali che le stavano sfuggendo di mano nella sua lotta in loro difesa.
Approfittando della salute  compromessa di Evita,  affetta da una brutta forma di tumore addominale diagnosticatole dal proprio medico curante, nel 1950 il marito la fece ricoverare presso un chirurgo americano che avrebbe dovuto prestare la sua opera in incognita in incognito a Buenos Aires, affinché le asportasse l'appendice. L'intervento di appendicectomia ebbe buon esito, ma il chirurgo, ignorò volutamente la massa tumorale che stava iniziando a divorarle lo stomaco. La cartella clinica, che portava però la firma di medici argentini, venne archiviata come segreto di Stato, nessuno avrebbe dovuto collegare l'intervento al nome del vero chirurgo.
Nel 1951 Eva finì nuovamente sotto i ferri del chirurgo statunitense, questa volta per un carcinoma uterino. Ancora una volta il chirurgo si limitò all'asportazione dell'utero senza però completare la rimozione delle metastasi che si erano sparse nel plesso pelvico. Un gesto intollerabile compiuto da chi la vita la dovrebbe salvare e il perché di quel gesto per nulla etico e volutamente barbaro resta ancora un mistero.
La cartella clinica finì nuovamente nell'archivio dei segreti di Stato.

" Mi sento in colpa per aver tradito la fiducia riposta in me da una persona gravemente malata; per aver tradito la professione medica; per non aver detto la verità sulla storia clinica di Maria Eva. "

Evita intanto era in preda a dolori insopportabili che ne alteravano il normale svolgimento delle sue giornate che diventavano sempre più aggressive e guerrigliere.
Per trovare un rimedio terapeutico al dolore, ma soprattutto all'aggressività di Evita, nel 1952 Perón la costrinse ad un nuovo intervento altamente invasivo. Una leucotomia frontale che sarebbe servita, più che a sopire il dolore causato dal male che la stava consumando, a rendere inerme la sua pericolosità di paladina dei descamisados, i poveri che aveva aizzato contro il Governo autoritario e dittatoriale del marito.
La fiamma di Maria Eva Duarte de  Perón  si spegnerà pochi giorni dopo l'intervento, tenuto segreto come gli altri, il 26 luglio 1952, presumibilmente a causa della lobotomia inferta per sedare il dolore, come riportava la cartella clinica.
Ma in gioco c'erano troppi interessi politici e finanziari e dal suo popolo che tanto l'amava la storia della lobotomia terapeutica non è mai stata digerita.
Tramite Evita, Maiorino e  Perón , l'autore apre il Vaso di Pandora degli ultimi anni di vita di Eva  Perón . Una scatola cinese nella quale sono contenuti fatti misteriosi che sembrano spiegare e confermare la morte della donna per mano del marito costretto a scegliere tra la moglie rivoluzionaria e sull'orlo di una guerra civile che lo avrebbe portato alla disfatta o la salvezza della sua carriera governativa nel  paese...

Lo stile scorrevole ed un linguaggio semplice permettono di leggere facilmente questo ''romanzo'' verità ricco di storia e sentimenti. Il lettore non corre il rischio di annoiarsi seguendo logorroici dibattiti politici: non ci sono, state tranquilli. 
L'autore, grazie ad una scrupolosa ricerca, riporta i fatti accaduti all'epoca, facendoli rivivere come ricordi nei racconti di Eva, Carlos e Juan Domingo, riuscendo nell'intento di aprire una minuscola crepa sui misteri che aleggiano su Evita, la ''Santa'' salvatrice del popolo argentino.
Ho letto il romanzo in una notte, non mi piaceva l'idea di abbandonare la lettura e lasciare i miei compagni di avventura rinchiusi tra le pagine del Kindle.
Arrivata alla fine mi sono sentita come quando si arriva alla meta di un lungo viaggio ma manca ancora qualcosa per portare a termine la missione. Nonostante i molti segreti svelati, la verità non è mai stata rivelata del tutto e probabilmente resterà celata con le spoglie di  Perón. Imisteri continueranno ad aleggiare intorno ad Evita, contribuendo alla crescita della sua mistificazione e rendendo la sua memoria una leggenda immortale.
Spero di avervi incuriosito al punto di spingervi alla lettura. Evita chiede solo di essere ascoltata ancora una volta. E non vi deluderà.
Ricordandovi che le librerie sono aperte ovunque e che eventualmente potete scaricare la vostra copia negli store online, vi auguro una buona lettura da abbinare ad una bombilla immersa in un mate fumante  col sottofondo di una struggente performance di Madonna: Don't cry for me Argentina.

Tania C.







domenica 7 luglio 2019

Recensione de PRIMA CHE TE LO DICANO ALTRI di Marino Magliani Ed. Chiarelettere






PRIMA CHE TE LO DICANO ALTRI

Marino Magliani
Ed. Chiarelettere 2018
Pag. 330
Copertina flessibile
€ 17,50
Ebook disponibile


CONOSCIAMO L'AUTORE

Marino Magliani -foto dal web-



Marino Magliano è un autore italiano, ligure. Nato nel 1960 a Dolcedo, provincia di Imperia, vive sulla costa Olandese.
Tra le sue prime pubblicazioni, pubblicate anche in altre lingue:
per Philobiblon 2003,  L'estate dopo Marengo;
per Sironi 2006, Quattro giorni per non morire;
per Sironi 2007, Il collezionista di tempo;
per Longanesi  2008, Quella notte a Dolcedo;
per Longanesi  2009, La tana degli alberibelli, col quale vince il Premio Frontiere-Biamonti, Pagine sulla Liguria;
per Amos editore 2014, Soggiorno a Zeewijk;
per Exorma 2017, L'esilio dei moscerini danzanti giapponesi.
Nel 2018, per Chiarelettere pubblica Prima che te lo dicano altri, classificandosi tra i finalisti  dell'edizione 2019 del  Premio Bancarella di Pontremoli.


TRAMA

Nell'entroterra della frontiera ligure, tra terrazze rocciose arse dal sole e dal sale di un mare che non si vede nemmeno per sbaglio ma c'è, Leo Vialetti, un bambino  abitante nella Val di Prino, figlio di un padre sconosciuto, nel periodo in cui il boom economico era arrivato ovunque dimenticandosi della sua terra, si ritrova a crescere troppo in fretta. Durante quella che si potrebbe definire "l'ultima estate", il periodo di passaggio dall'infanzia all'adolescenza, Livio stringe amicizia con l'unica persona che sembra voler prendersi cura di lui. Un "foresto", per dirla alla ligure, un Argentino: Raul Porti, l'uomo che, prima di sparire all'improvviso, gli darà ripetizioni scolastiche, insegnandogli il rispetto, l'amore e la cura per quella terra così difficile da rendere fertile.
Leo comprerà all'asta la Villa di Raoul, ma ciò che scoprirà lo porterà a soffocare un amore che stava per sbocciare per mettersi alla ricerca di Raoul Porti.
Lasciata l'Italia inizierà  il suo salto nel buio in Argentina, alla ricerca di dove e come sia finito l'uomo più importante della sua vita, la figura più vicina ad un padre che abbia mai conosciuto. Nel bel mezzo del periodo più turbolento del Sudamerica del Novecento, quello dei desaparecidos, grazie alla lingua affilata e lirica di Magliani, conosceremo una storia di formazione dura, senza sconti riguardo alla nostra storia recente, ma ricca di un affetto che svalica sentenze e confini spaziotemporali per restituirci quella che è l'epicità per eccellenza dell'avventura: la ricerca delle proprie origini.


IMPRESSIONI

Non conoscevo Marino Magliani, non avevo ancora sentito parlare di questo testo ma, non appena ho saputo che era arrivato in finale al Bancarella, ho deciso che avrei dovuto leggerlo. In parte perché, come ogni anno, sarò a Pontremoli a fare il tifo per il mio finalista preferito, in parte perché, da ligure, volevo conoscere questo autore e questa storia crudamente passionale e travagliata. Ho chiesto a Chiarelettere di poterlo recensire e, come sempre attenti e disponibili, grazie a Tommaso Gobbi, ne ho ricevuto una copia omaggio.
Leggere un autore nuovo è sempre emozionante, come tentare la sorte ad una lotteria dove si vince sempre. Un salto nel buio, il mio, avventurarmi in una nuova storia raccontata dalla penna di un autore che non conosco. Ma ogni storia porta con se un premio speciale: farci entrare in mondi nuovi o vedere con gli occhi della meraviglia mondi che ogni giorno stanno sotto i nostri occhi. Con la speranza di vincere anche questa volta, in fronte al Mar Ligure, ho letto con curiosità questo romanzo, per me e per voi.



Val Prino - foto dal web -


"Non che a uno come Leo dispiacesse individuare nuove aree di espansione, in fin dei conti quelli all'ambiente erano i danni minori, cose che lo lasciavano indifferente, ma se ci pensava era perché la trasformazione della valle era iniziata proprio ai tempi di villa Porti, quell'estate, esattamente cinquant'anni prima."

Anni settanta, Val Prino,  Liguria di confine. Leo Vialetti è un bambino introverso. Cresciuto dalla madre in povertà, non è orfano di padre, solo non si sa chi sia. E questo lo rende un bambino  diverso, vittima della derisione e pregiudizi degli abitanti del suo paese. Si chiude in se stesso, va a scuola senza risultati, è bocciato all'esame elementare. Una vita "vuota" quella di Leo. Ma tutto sta per cambiare, l'estate in cui Leo cresce, sta per diventare un adolescente, un uomo, l'argentino Raul Porti, che durante l'estate del '1974  si prenderà cura di lui aiutandolo con la scuola ma, soprattutto gli insegnerà l'amore per la sua Liguria, terra selvaggia e aspra. L'uomo, se pur per un breve periodo, aiuterà il piccolo Leo a studiare l'italiano, così difficile per lui distinguerlo dal dialetto, prendendo quasi volto e figura di quel padre che non ha mai conosciuto.  

<<Che differenza c'è tra frutta e verdura?>>
Leo vorrebbe sbuffare. Pensa: cominciamo bene... poi basterebbe dire che c'entra quella cosa della sete: la frutta toglie la sete, la verdura la fame.
<<Te lo dico io? Si chiama frutta tutto quello che viene dagli alberi e verdura quel che nasce in terra>>

Il tempo passa veloce quell'estate, tra una lezione di italiano e qualche nozione di agricoltura, Leo è orgoglioso di avere al suo fianco Raul e il suo legame si rafforza sempre di più. Nessuno mai, prima di allora, aveva aiutato o considerato quel bambino povero e di padre ignoto, "sensa paie" come lo etichettavano gli abitanti del suo paese, che parlava in dialetto e non aveva superato la seconda elementare . L'autunno arriva presto e con lui anche la partenza per l'Argentina di Raul. L'uomo deve tornare in Patria per seguire alcune vendite di terreni. In Liguria lascia "orfano" il piccolo Leo e ''Villa Porti'', quella che era stata la sua casa.
Con flashback che spaziano dal 1974 ad un futuro prossimo datato nel 2024, mezzo secolo dopo quell'estate, Villa Porti viene messa in vendita. 
La Villa, che versa oramai in condizioni deleterie, è stata costruita su un terreno cedevole e sta scivolando verso la valle: dal momento che il padrone risulta scomparso  da cinquanta anni, viene messa all'asta dal Comune. 

<<Dimmi almeno perché me lo hai detto.>> le aveva chiesto.
<<Prima che te lo dicano altri.>>
Già, era così, non poteva permetterlo.

Leo, oramai sulla soglia dei sessanta, professione bracconiere burbero e taciturno, innestatore seriale e produttore di olive, vende tutto quello che possiede per comprarla. Ci riesce Leo, Villa Porti, la casa che in quella lontana estate è stata un po' anche la sua casa, finalmente gli appartiene. Può ristrutturarla e finalmente, scrutando nel cuore delle sue stanze alla ricerca di indizi che serviranno a chiarire un dubbio che lo sta logorando da troppi anni, potrà mettersi sulle tracce di Raul,  dato per morto già nel 1980. 



Pampa Argentina - foto personale -

Si diceva: <<Sarà così quando sarai laggiù, il paese continuerà a esserci anche senza di te. Sarai scomparso>>

Inizia così la seconda parte del romanzo, quella più forte e struggente. Dopo uno scalo in Spagna, Leo è pronto a sorvolare l'Oceano per sbarcare a Buenos Aires, in Argentina, alla ricerca di Raul, scomparso misteriosamente nel nulla nel periodo più buio e infervorato del Novecento Argentino. Atterrato a Buenos Aires, Leo si mette alla ricerca di Raul, attraversando la città e spingendosi sino alla pampa sterminata dove si confronterà drammatici colpi di scena che danno al romanzo una tinta "noir". 

"Don Raul Porti era un buen hombre de negocios, che laburava por una empresa italiana, ma la dittatura e i milicos si erano rubati tutto e, assieme ai sovversivi, se n'era andata anche la brava gente. Anche i diplomatici italiani - e certi preti - avevano protetto torturatori e impedito ai cittadini italiani di chiedere rifugio in ambasciata."

Le ricerche di Leo proseguono a tratti lente come il cadenzare della vita argentina e a tratti animate come le notti estive della costa. Tra lunghe attese, apparenti buchi nell'acqua, personaggi loschi o inesistenti, l'unica certezza che ha Leo è che Raoul è stato catalogato tra i desaparecidos. Tutto parte da li, tra giochi di specchi, carte che si mescolano continuamente, il detto e il lasciato intendere, un groviglio di situazioni che incitano il lettore ad arrivale alla fine del romanzo senza sosta, con la voglia di verità e giustizia che animano Leo durante il suo peregrinare per la pampa o nei vicoli di una Buenos Aires omertosa e ingannevole. Alla fine del suo viaggio introspettivo, troverà Leo le risposte al dubbio che da cinquant'anni lo consuma? Riuscirà a fare giustizia sulla scomparsa di Raul? 
Non vi resta che sorvolare la "pozzanghera", così definiscono familiarmente l'Oceano Atlantico gli argentini, e mettervi in viaggio con Leo alla ricerca di un po' di pace per la sua anima in tempesta. 
Non vi racconto altro, lascio a voi dubbi o certezze su un finale che potrebbe non essere scontato.
Ho letto questo romanzo, immersa in due terre che ben conosco: la mia Liguria, terra d'origine nella quale vivo e l'Argentina, terra testimone del mio primo vero e lungo viaggio, appena diciottenne, scoprendo nuovi colori e profumi, nuove emozioni che Magliani ha saputo trasmettermi con una scrittura forte e colorita. Posso permettermi di definirlo il "Camilleri ligure", per il modo in cui ha saputo descrivere i luoghi spaccati da un sole accecante, incontaminati e selvaggi dell'entroterra ligure. Ha saputo trasmettere l'amore che ogni ligure ha per questa terra difficile, in cui ogni raccolto è una piccola conquista, carpita alle terrazze rocciose o al mare. Un romanzo che è anche spaccato di storia, la storia di molti italiani dei primi del '900,  emigrati in Argentina con la speranza di una diversa e migliore. Un romanzo che è prosa e poesia, un romanzo dell'anima.
Vi invito alla lettura non solo per conoscere o riscoprire nuove terre ed emozioni ma anche per conoscere Marino Magliani, uno dei migliori  scrittori-traduttori dei giorni nostri. 
Per i liguri, emiliani e toscani di confine, se possibile per tutti voi, vi aspetto il 21 luglio a Pontremoli per la finale del Premio Bancarella: tanti bei romanzi in finale, ma io tifo per Magliani.

Buona lettura, Tania C.






Recensione: BASTA UN PEZZO DI MARE di LUDOVICA DELLA BOSCA - Ed. CORBACCIO -

  AUTORE Ludovica Della Bosca Ed. Corbaccio GENERE Romanzo COLLANA Narratori Corbaccio FORMATO Brossura con alette PAG. 256 € 16,90 Ebook pr...