venerdì 29 marzo 2019

Recensione de IL CASO MOBY PRINCE - LA STRAGE IMPUNITA di Francesco Sanna e Gabriele Bardazza




MOBY PRINCE - LA STRAGE IMPUNITA

Francesco Sanna 
Gabriele Bardazza
Ed. Chiarelettere Marzo 2019
Pag. 192 Brossura
Collana Misteri Italiani
€16,00
Ebook disponibile


CONOSCIAMO GLI AUTORI


Francesco Sanna - foto dal web -

Francesco Sanna projet-manager e comunicatore, ha al suo attivo esperienze lavorative che spaziano dal campo aziendale , istituzionale e politico. Un passato come collaboratore di ilfattoquotidiano.it , lo ha portato a curare un'approfondita indagine sulla tragedia Moby Prince. Della triste vicenda ne ha scritto un libro: Verità privata del Moby Prince (edito da Gruppo Albatros Il Filo 2013) e il documentario Ventanni ( Mediaxon 2012).
Sanna è ideatore della campagna #iosonoqui141 .



Gabriele Bardazza, è un libero professionista all'attivo dello Studio di Ingegneria forsense  Bardazza-Adinolfi. Da venticinque anni indaga per ricostruire eventi catastrofici apportando consulenze tecniche in ambito penale e civile. Tra le sue indagini l'incidente della camera iperbarica Galeazzi del 1997, l'incidente aereo di Linate del 2001 e l'incendio a bordo della Norman Atlantic nel 2014. Il caso Moby Prince lo vede impegnato nelle indagini dal 2010, su mandato dell'Associazione "10 Aprile".



TRAMA

Sono passati ventisette anni dalle 22.25 del 10 aprile 1991. Anni che raccontano una strage impunita , archiviata come tragico incidente avvenuto nelle acque di Livorno.
Il traghetto passeggeri Moby Prince sperona la petroliera Agip Abruzzo, della compagnia Statale Snam, alla fonda, ancorata in rada. La collisione col traghetto apre uno squarcio sulla fiancata della petroliera, facendone uscire il combustibile contenuto il quale, prendendo fuoco, scatenò un rovinoso incendio. Ci furono delle vittime, centoquranta, che decretarono la tragedia come il più grande disastro della marineria civile del dopoguerra.
La ricostruzione ufficiale, a seguito di due sentenze assolutorie e altrettante richieste di archiviazione, stabilì che la causa dello scontro sarebbe stata "una nebbia fittissima". I soccorsi non servirono perchè le vittime perirono in pochi minuti. Così fu chiuso il caso.
Questo libro inchiesta, ricco di documenti, testimonianze indedite  e ricostruzioni, nasce come storia clamorosa di un riscatto.
E' l'emozionante storia di una battaglia durata quasi trent'anni e arrivata ad una svolta solo nel gennaio 2018, con la pubblicazione del documento finale della Commissione d'inchiesta sulle cause del disastro.
Finalmente è venuta a galla la verità storica, che fa tanta paura, è vero, ma può e deve essere raccontata.


IMPRESSIONI

Non avevo ancora diciassette anni all'epoca della tragedia Moby Prince e, da adolescente, il tutto passò quasi in sordina per me. La scuola, gli amici e le prime belle giornate da dedicare al mare, non diedi molta importanza alla tragedia. Col passare del tempo nessuno ci pensò più, sino alla strage della Concordia, che prese comunque il sopravvento rispetto ad un fatto (scomodo) accaduto e ormai archiviato dalla memoria gia anni prima. 
Giorni fa, la newsletter di Chiarelettere pubblicizzava l'imminente uscita di questo libro inchiesta e mi ritornarono alla mente, come una foto sbiadita, i tristi fatti del 1991. 
Acquistato il libro, interessata a conoscere meglio la triste vicenda, cominciai la lettura. 
Non è stato facile, per me, arrivare alla fine: le pagine sono poche, si legge in breve tempo, ma metabolizzare l'orrore contenuto negli atti e nelle testimonianze, non svaniva nemmeno col gaviscon. 

"Se vogliamo trovare la verità forse dobbiamo allontanarci dai tribunali"

Questa è una delle tante testimonianze di uno dei familiari delle vittime.

E' il 10 aprile 1991, sono le 22.25, quando il traghetto Moby Prince, diretto in Sardegna, sperona la petroliera Agip Abruzzo. 
Lo speronamento causò la fuoriuscita di carburante che incendiandosi causò la morte al rogo di 140 persone, brutto dirlo ma è realtà dei fatti,  avvenuta  in circostanze misteriose, ancor oggi da chiarire.
Nella memoria collettiva, la tragedia si riconduce alla partita di Coppa delle Coppe Barcellona-Juventus, durante la quale, in filo diffusione fu trasmessa la notizia della collisione a causa della presunta distrazione del personale di bordo intento a guardare la partita. Se, a prima vista, poteva sembrare una causa veritiera, questa è da considerarsi una delle tante fake sulla tragedia, in quanto non fu mai messa agli atti. Nelle ricostruzioni della magistratura infatti, viene riportata come causa o concausa della collisione una fitta nebbia calata sulla rada di Livorno. Ribadito perentoriamente anche nel 2010, durante l'ultimo atto  di richiesta d'archiviazione dell'inchiesta bis: 

"Il Moby Prince entrò improvvisamente in un banco di nebbia, il comando nave rimase sorpreso e impreparato, accese i fari <<cercanaufraghi>> e si autoaccecò, centrando la petroliera".

La ricostruzione, ritenuta "banale" anche dalla magistratura, era pur sempre fondata su una logica: l'errore umano per mano di chi stava governando il traghetto è da rifarsi a ''fattori casuali concomitanti'', scatenatisi in quel preciso e sfortunato  momento e, fra tutti, il responsabile principale è la nebbia "densissima".
A sostenere la causa nebbia fu il Comandante della Capitaneria Sergio Albanese, la notte stessa dello sfortunato impatto. A bordo di una motovedetta, che lo riportò in banchina dopo aver preso visione da vicino della tragedia, riferì alle telecamere una scena apocalittica: il buio assoluto, immerso in una densissima nebbia e circondato da una cortina di fiamme. La nebbia c'era, l'aveva vista: questo doveva sapere l'Italia, e doveva esserne messa al corrente subito!
Durante le manovre di entrata in porto, qualsiasi nave era all'epoca, come ancora oggi, coadiuvata da una pilotina, una piccola imbarcazione manovrata da un pilota che conosce bene il porto ed è in grado di far attraccare la nave in sicurezza. All'epoca il Pilota della pilotina che avrebbe dovuto aiutare l'entrata in porto del traghetto, Federico Sgherri,  testimone oculare dell'impatto, dopo aver parlato col Comandante della Moby Prince, Ugo Chessa, dichiarò che se ci fosse stata nebbia prima della collisione, di certo lo avrebbe rilevato. 
Durante l'interrogatorio, ai microfoni dei giudici le sue testuali parole :

"Durante la manovra di uscita e prima di abbandonare il ponte di comando, la visibilità era normale e potevo scorgere tutte le navi che si trovavano in quel momento alla fonda compresa la Agip Abruzzo."

Sembra quindi evidente, per Sgherri niente nebbia! 
Purtroppo indagini e processi non porteranno mai luce in questa ''inverosimile'' situazione meteorologica: nebbia si, nebbia no, a banchi, causata da agenti atmosferici verificatisi al momento, insorta gia da tempo o solo pochi minuti prima dell'impatto...
Ci furono molte altre testimonianze, mai messe agli atti o ascoltate dai giudici che dichiararono la totale assenza della nebbia, ma ancora nel 2017, si continua a parlare di nebbia. Perché? Molto probabilmente perché chi l'aveva vista godeva di un credito maggiore rispetto a chi fu testimone di una notte  buia ma limpida.
Col passare del tempo, delle indagini, del vedo/non vedo,  la dinamica che ha scatenato la collisione tra Moby Prince e Agip Abruzzo non è mai stata chiarita. 
Tutto avvolto in un turbine di supposizione e pressapochismo, dovuto anche al fatto che nessun giudice abbia mai rilevato testimonianze concrete sulla sequenza dell' incidente. Solo frammenti, spesso infondati, messi insieme come tessere non combacianti di un macabro puzzle.
Lo stesso Ufficiale di guardia sulla petroliera, Valentino Rolla, resterà sul vago dichiarando:

"Due fari che illuminano la fiancata dell'Agip Abruzzo e poi l'impatto."

Nessuna dinamica concreta quindi e nessun rilevamento radar, in quanto, al momento della collisione, lui ancora era in stand-by. Tutto ciò che evince è che a poche ore dalla tragedia il Comandante della Capitaneria dichiarerà alle telecamere che ''il buio potrebbe essere la concausa dell'impatto''. 
Poco dopo il Ministro della Marina Mercantile Vizzini  dichiarerà un errore umano dovuto alla negligenza del personale distratto dalla partita Barcellona-Juventus , smentito poi dal fatto che non erano presenti televisori in  nessuna plancia di comando. Siccome la gente doveva avere un capro espiatorio verosimile, si arrivò alla tesi che si, ci fu l'errore umano, causato però da un banco di nebbia densissima calata sulla rada di Livorno. 
Ma il responsabile più diretto, forse l'unico in grado di far luce sul disastro, non poteva più raccontare ne difendersi in quando perito nel rogo. Si tratta del Comandante del Moby Prince, Ugo Chessa.
E' il 13 aprile del 1991 quando, durante la messa in onda del TG1, passerà per una sola volta , parte di un video amatoriale sullo scontro tra il traghetto e la petroliera.
Il video, girato da una casa sita sul lungomare livornese, mostrava la sagoma di una massa scusa, molto simile ad una nave a fari spenti, rischiarata dai bagliori delle fiamme. Paolo Fraiese, all'epoca conduttore del TG1, dichiarò:

"Una cosa è chiara, non c'era nebbia al momento dell'incidente."

Alla luce delle prove importanti del video, chiaro e lampante e delle parole di Fraiese, avrebbe dovuto scattare d'ufficio il sequestro della copia a disposizione della Rai e dell'originale. Ma nessuno si preoccupò di farlo. Fu solamente il 3 dicembre 1992 che Nello D'Alesio, il proprietario del video, nonchè armatore di bettoline, lo consegnò spontaneamente alla Polizia Scientifica, dichiarando che a filmare la tragedia fu il figlio, mentre lui era impegnato a seguire e capire bene via radio vhf, sintonizzato sul canale 16, la dinamica dei fatti.
Tutto sembra rimettersi in gioco, il video completo, nonostante un  "taglio di montaggio" di 92 secondi per la Rai, riporta delle conversazioni, confermate anche dalle registrazioni dove è chiara la voce del marconista dell'Agip Abruzzo che , rispondendo alla domanda diretta della Capitaneria dichiara:

"Se mi può dire cosa vede ..."
"Sembra una bettolina quella che c'è venuta addosso."

La Commissione d'Inchiesta, concentratasi sul video, lo fece rielaborare dal Raggruppamento Carabinieri investigazioni scientifiche, il Racis. 
Dalla rielaborazione ne emerse che era ben chiaro l'incastro tra Agip Abruzzo e Moby Prince e la petroliera, al contrario di quanto sempre asserito, si trovava nella posizione sud - ovest.
Con la perizia del Racis vengono vanificate le false interpretazioni del video che, durante la sentenza di primo grado fu fatto passare come prova schiacciante della presenza di un banco di nebbia. Nessuno, però, riuscì a far luce sul taglio e montaggio fatto per la tv. 
La Relazione finale dell'inchiesta, 492 ricche pagine, non riporta mai il termine reato di strage per definire la morte delle 140 persone coinvolte nel rogo che avvolse Moby Prince. Una stranezza, da rimandarsi a dettagli giuridici, che omisero la definizione di strage. 
Il Codice Penale Italiano definisce "strage il delitto compiuto da chi al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità".
Perciò se questi atti causano la morte di una o più persone scatta l'ergastolo e la strage non andrà mai in prescrizione.
Fatto sta che 140 persone sono morte, senza ricevere soccorso alcuno, arse tra le fiamme scaturite dallo scontro tra un traghetto e una petroliera in cause a tutt'oggi non ancora chiare. E ancora oggi, nessuno si è mai preoccupato di definire strage quello che dal 10 aprile 1991 è sempre stato definito come tragedia, disastro o drammatico incidente.
A tutt'oggi, dopo ventotto anni, la tragedia Moby Prince si può definire:

"Se non una strage di diritto, quanto di più simile a una strage di fatto. Impunita, finora, per il principale buco delle inchieste sul Moby Prince: quello relativo ai tempi di sopravvivenza dei centoquaranta."

Come ho gia scritto all'inizio, è stata dura metabolizzare i fatti raccontati nel corso di questa inchiesta, che comunque non verrà ''archiviata'' ma continuerà sino a che non si sarà fatta chiarezza. 
Non servirà a riportare in vita le vittime, ma sicuramente a dare un senso e dignità alla loro morte, avvenuta in circostanze e per mano di un enorme buco nero di soccorsi mancati,  fatti taciuti o insabbiati.

Leggendo, tentando di capire il perchè di tutto il mistero su quello che realmente è successo la notte di quel 10 aprile '91,  mi ritrovavo, col senno del poi, nel refrain di una famosissima canzone di Elio e le Storie Tese:

''Italia si, Italia no, Italia bum, la strage impunita'' 

(La Terra dei Cachi - Elio e le storie Tese, 1996 )

Consigliandovi la lettura di questa approfondita e curata inchiesta, lascio a voi le conclusioni, che, per quanto mi riguarda, si racchiudono tutte in quel ritornello...

Buona lettura Tania C.


lunedì 25 marzo 2019

Recensione de IL SEGRETO DELLE DUE PIETRE di Emanuele Avanti



IL SEGRETO DELLE DUE PIETRE

Emanuele Avanti
Ed. Altromondo Editore
Pag. 266
Collana Il Mondo di Sopra 2018
Formato brossura
€ 18,00


CONOSCIAMO L'AUTORE

Emanuele Avanti nasce nel 1967. Arruolatosi in Aeronautica Militare, dove presta servizio come Ufficiale, porta avanti il suo percorso in una delle più importati aziende del settore aeronautico come sistemista avionico, occupandosi dei sistemi d'arma dei velivoli militari. Dopo questa esperienza passa definitivamente al settore civile, dedicandosi alla comunicazione tecnica e di marketing per un importante gruppo industriale internazionale. Il suo lavoro lo ha portato a sviluppare e coordinare progetti di comunicazione sia in campo tradizionale che sulle nuove tecnologie digitali. Al suo attivo vede varie collaborazioni con importanti testate specialistiche del settore elettrico, pubblicando su territorio nazionale, numerosi articoli tecnici. La sua grande passione per la letteratura, con la pubblicazione del nuovo romanzo Il segreto delle due pietre, edito da Altromondo Editore, lo mette alla prova per sperimentare una nuova esperienza personale e professionale.
Tra le sue opere ricordiamo Il giuramento dei quattro, Il progetto Antares e Operazione Leone Nero.


TRAMA

Luca Sarsi è un archeologo che grazie al suo lavoro ha avuto modo di girare in lungo e in largo, cacciandosi spesso nel turbine di situazioni pericolose. Proprio il suo lavoro lo porta nel sito archeologico Longobardo di Castelseprio, sulle misteriose tracce della tomba risalente al dominio di Re Liutprando. La ricerca non è però così facile come potrebbe sembrare. Sulle sue tracce, infatti, ci sono persone prive di scrupoli, pronte ad uccidere pur di mettere le mani sul tesoro che dovrebbe celarsi all'interno della tomba. Ad aiutare l'archeologo in questa emozionante impresa c'è una bella e scaltra ragazza, una donna fuori dal comune che gli farà scoprire, dopo rocambolesche avventure e colpi di scena, qualcosa di più prezioso dello stesso tesoro che potrebbe celarsi nella tomba longobarda.


IMPRESSIONI


Quando ho contattato la Casa Editrice Altromondo, Alice,  sempre gentilissima e disponibile, mi lasciò libera scelta sui  titoli in catalogo che mi incuriosivano per un'eventuale recensione. 
In tempi non sospetti, e capirete più avanti il perchè,     mi saltò all'occhio la copertina de Il mistero delle due pietre, ritraente un rudere immerso nel verde. Letta la trama e scoperto che il romanzo conteneva tutto ciò che poteva rientrare nel mio genere preferito, chiesi se avessi potuto avere l'opportunità di recensirlo. Inutile dire che Alice, gentilmente, accolse la mia richiesta inviandomi il pdf. 
Iniziai subito la lettura, ignara del "tesoro" che avrei trovato io stessa prima di Luca Sarsi, tra quelle pagine. Chi mi conosce bene sa che ho una grande passione, oltre che per i romanzi d'avventura, anche per le Forze Armate, in particolare la Benemerita Arma dei Carabinieri e, ritrovarli, a mia insaputa, coinvolti in questa emozionante avventura, insieme alla Guardia di Finanza, è stato, per me, come trovare un tesoro prezioso.

"Ero troppo assorto nei miei pensieri a causa di quello strano libro. Lo avevo acquistato alcuni mesi prima da uno dei tanti ambulanti, che ogni mese proponevano la loro merce nel mercatino dell'antiquariato organizzato dal comune. Lo avevo riletto almeno tre volte e e ogni volta mi stupivo della precisione con cui erano riportate le indicazioni sul sito archeologico nel quale stavo lavorando."

Inizia così l'avventura di Luca Sarsi, narrata in prima persona dal giovane archeologo. L'uomo sta seguendo  una misteriosa traccia per ritrovare l'antica  tomba di Re Liutprando, nel sito archeologico Longobardo di Castelseprio. 
Dopo aver ritrovato il frammento di una pietra che riporta incisioni riconducenti alla presenza della tomba del Re Longobardo continua, senza risultati la sua ricerca proprio nell'area archeologica, spinto anche dalla lettura di uno strano libro venuto in suo possesso da un libraio, durante una visita al mercatino locale dell'antiquariato. Letto e riletto, il misterioso libro, portava alla luce preziosi indizi per le sue ricerche tanto da indurlo a continuare le sue rilevazioni. 
Convinto che il volume in suo possesso potesse veramente aiutarlo al ritrovamento, decide di cercare anche l'uomo che glielo ha venduto per vedere se ne sapesse qualcosa in più. Il venditore però sembra scomparso nel nulla. Nessuno lo ha più visto dal giorno del mercato e nessuno lo conosce. Durante un pomeriggio di ricerche, immerso nei suoi pensieri riguardo al libro, Luca viene colto da un forte temporale. Ormai inzuppato non gli resta altro che recuperare l'auto nel parcheggio sotto strada per tornare a casa quando, senza rendersene conto si trova ad attraversare tagliando la strada ad uno scooter. 
L'impatto violentissimo lo fa ruzzolare sull'asfalto, fortunatamente senza conseguenze ma distrugge lo scooter scaraventando a terra anche la giovane donna alla guida. Dopo il primo disorientamento inizia un piccolo battibecco con la donna, la quale, nell'urto, sembra aver riportato una distorsione alla caviglia. 
In attesa dell'ambulanza, Luca scopre che la donna si chiama Sara Giovi ed è un tenente della Guardia di Finanza, elicotterista per la precisione. All'arrivo dell'ambulanza l'archeologo decide di seguire la ragazza in ospedale per sincerarsi che non abbia riscontrato altri danni oltre alla caviglia slogata, invitandola poi a cena per sdebitarsi del danno arrecato. 
Da quel momento in poi l'ignara Sara si troverà coinvolta negli emozionanti racconti dell'archeologo, il quale tutto preso dal libro e dagli indizi per riportare in luce la tomba, l'aveva fatta finire fuori strada. Sara, incuriosita soprattutto dal ritrovamento di una pietra con delle incisioni che riconducono al periodo di dominio longobardo, propone  a Luca di aiutarlo a cercare nuovi indizi durante i suoi rilievi. Per l'archeologo è una proposta invitante, Sara è una bella ragazza, sveglia e scaltra, sarà un aiuto prezioso durante le ricerche. 
Inizia così una collaborazione  che li coinvolgerà in un'avventurosa corsa contro il tempo volta non solo al ritrovamento della tomba ma a salvarsi la pelle.

"<<Ciao, disturbo?>> era Sara. <<Certo che no, stavo andando a controllare una cosa a Castelseprio>>, risposi. <<Ti dispiace se vengo a tenerti compagnia? Mi sto annoiando terribilmente qui da sola>>"

Luca non aspettava altro che la piacevole compagnia di Sara, così dopo essere passato a prenderla, si dirigono verso il sito di Castelseprio dove i custodi lo informano di una coppia di svizzeri che molto interessati al sito e alla tomba di Liutprando. A Sara si accende un campanello dall'arme e, dopo aver rilevato il numero di targa di un'auto parcheggiata poco distante dalla loro, decide di fare delle ricerche sui proprietari, a scopo cautelativo.  Con mille domande in testa iniziano a scandagliare il terreno alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse riportarli al libro o alla tomba. 
Cercando accuratamente Sara riporta alla luce un frammento gemello della pietra trovata in passato da Luca. Anche questa riporta delle incisioni dell'epoca longobarda, molto simili all'altra. Quasi fosse il pezzo mancante. 
Il ritrovamento non passa però inosservato alla coppia svizzera. 
Col prezioso bottino si avviano verso casa con la promessa di proseguire le ricerche. Arrivato a casa Luca fotografa la pietra e salva nel cloud tutte le sue ricerche immortalate con la fotocamera, in attesa di approfondire gli studi. 
Non ha però fatto i conti col destino che ha deciso di mettergli i bastoni tra le ruote. Appena messo piede in casa, Luca, riceve una telefonata minacciosa da parte di uno sconosciuto che gli intima di lasciar perdere le ricerche. 
All'improvviso un forte trambusto lo riporta alla realtà. Le sirene spiegate dei Vigili del fuoco e dei Carabinieri, avvisati dai vicini, lo mettono davanti alla raccapricciante scena della sua auto avvolta dalle fiamme. 
Lo shock è forte ma, riavutosi, parlando coi Carabinieri e i Vigili del fuoco, ne evince che  probabilmente è stata un'avaria dell'auto a causare l'incendio, scartando la pista vendicativa di probabili nemici. 
Sconsolato, Luca, rientra in casa dove ad attenderlo trova uno sconosciuto, lo stesso della telefonata minatoria. L'uomo è interessato al libro che l'archeologo ha acquistato dal libraio scomparso. 
La casa è a soqquadro, rivoltata per la ricerca del testo. L'uomo non scherza, vuole il libro ed è disposto ad uccidere Luca se non glielo consegna con le buone. L'archeologo, sotto minaccia di un'arma decide di prendere il volume, sbadatamente riposto in un pensile della cucina, ma non si arrende, non vuole cedere remissivamente e ne nasce una colluttazione dove, sfortunatamente, Luca ha la peggio. Viene ferito e il libro sottratto dopo che gli è rimasta in mano la copertina.

<<La testa mi faceva un gran male. Aprii gli occhi senza rendermi conto di dove mi trovassi. La luce filtrava dalla finestra colpendomi in pieno viso. Dove mi trovavo? Girai la testa a destra, per cercare di sottrarmi alla luce che mi impediva di mettere a fuoco ciò che c'era nella stanza.>>

Luca si sveglia in ospedale, dopo aver subito una commozione cerebrale. 
I vicini, allertati dal trambusto della lotta e dai colpi di arma da fuoco avvisano l'ambulanza che lo ha trasportato in ospedale. 
Disorientato dalla botta presa,  inizia un interrogatorio con i Carabinieri, questa volta sempre più convinti che dietro all'incendio e all'aggressione ci sia molto di più di un caso sfortunato. 
L'archeologo racconta tutta la storia, dai rilievi nel sito al ritrovamento delle pietre e dell'aggressione nata per il libro, sottratto dall'aggressore. 
I Carabinieri promettono di aprire le indagini e di tenerlo informato su ogni sviluppo. 
Nel frattempo, avvisata dal Maresciallo della Benemerita, Sara si reca in ospedale con delle novità. La ricerca sul numero di targa svizzero ha portato in luce l'implicazione di un magnate svizzero, interessato all'archeologia ma che agisce nell'ombra dei suoi investimenti in campo mondiale: Cedric Dujardin.
L'uomo, proprietario di un maniero sulle Alpi Svizzere, pare sia interessato alle ricerche e ai preziosi ritrovamenti di Luca.
Il giorno dopo l'archeologo viene dimesso e, arrivato a casa, scopre che durante la lotta col suo aggressore non solo gli è stato trafugato il libro, lasciandogli solo la copertina, ma anche la macchina fotografica, il pc e il cellulare con tutti i dati e le foto sulle ricerche fatte sino ad allora. 
Tanto lavoro perso, per sempre ... ma un lampo gli attraversa la mente. 
Prima di essere aggredito aveva salvato tutti i suoi dati sul cloud. Bastava solo comprare un pc e un cellulare e avrebbe potuto recuperare i suoi dati.
Avvisata Sara, la ragazza promette che appena finito di lavorare lo avrebbe accompagnato a sporgere denuncia e avrebbe pensato a fargli avere tutto il necessario per poter lavorare, auto compresa. 
Nell'attesa di Sara, l'archeologo riceve la visita di una coppia di colleghi che non vedeva da parecchio tempo. La coppia  lo mette al corrente che ,dopo il loro rientro da Gerusalemme, recatasi al sito di Castelseprio, lo trova però presidiato dai Carabinieri a causa di un furto: la pietra con le incisioni è stata trafugata! Mentre Luca mette al corrente degli avvenimenti i colleghi, l'arrivo di Sara lo blocca. 
Fatte le presentazioni del caso, alla ragazza la visita della coppia non sembra casuale, resta sulle sue per tutto il tempo della conversazione, rivelando solo alla fine di essere un Ufficiale della Guardia di Finanza, senza volutamente specificare la mansione. 
Dopo i saluti con la promessa di rivedersi presto, Luca e Sara si dirigono alla Stazione dei Carabinieri per sporgere denuncia del furto. Il Maresciallo li accoglie, interessato alla storia, promette a Luca di tenersi in contatto per ogni minimo dettaglio utile emerso dalle indagini. Mentre i due giovani si avviano verso casa, Sara si accorge che un'auto di grossa cilindrata li sta seguendo. Luca avvisa il Comando della Guardia di Finanza dell'inseguimento, ma è troppo tardi, una testa di donna bionda si sporge dal finestrino con una pistola puntata contro la loro auto. L'audi che li sta seguendo li butta fuori strada, costringendoli a scendere dalla propria auto e da li, con le armi puntate addosso cala il buio procurato da un'iniezione anestetizzante.

<<Ero in trappola. Realizzai di essere tenuto prigioniero, non so dove e da chi. Cominciai a bussare con forza alla porta e a chiamare Sara, nella speranza che qualcuno mi rispondesse.>>

Il brusco risveglio fa capire a Luca che si trovano prigionieri. Poco più tardi il loro carceriere si fa vivo, è Dujardin, il magnate con la passione dell'archeologia. Li ha fatti rinchiudere nella sua meravigliosa ed inespugnabile fortezza tra le Alpi svizzere. E' inutile pensare all'evasione: la fortezza è blindata, monitorata e sorvegliata, si trova a picco su una rocca circondata da dirupi alla quale si può accedere solo tramite una cabinovia sorvegliata da guardie che non hanno nulla da perdere e da monitorata da telecamere. Le regole sono chiare, se i due giovani vorranno salva la pelle, dovranno collaborare, lo dovranno aiutare a ritrovare la tomba di Re Liutprando e il giacimento di diamanti rosa contenuto al suo interno, in cambio potranno vivere nel lusso del castello lautamente ricompensati. Ma per questo bisogna studiare approfonditamente i reperti in possesso del magnate e tutta la documentazione di Luca. Sotto gli occhi increduli di Luca e Sara, si para una stanza museo, contenente meravigliosi reperti archeologici di inestimabile valore storico e monetario, venuti illegalmente in possesso  di Dujardin.
L'archeologo mette al corrente della trafugazione della  documentazione  riguardante tutti i rilievi fatti, tralasciando di averne una copia salvata. 
Il suo stupore è grande quando scopre che una delle due pietre, la prima rinvenuta, è in possesso del suo carceriere e, ancora di più, quando l'uomo gli mette davanti un pugnale di epoca longobarda, cesellato a mano e con incastonato un prezioso e rarissimo diamante rosa. 
Ma non è tutto, Dujardin li mette al corrente che il libro rubato a Luca, un tempo era in suo possesso e gli era stato a sua volta rubato finendo tra le mani di un ignaro libraio.

<<L'autore era un vecchio frate che ha vissuto per parecchi anni in un monastero poco distante da Castelseprio. Non ho molte informazioni su di lui ma i miei esperti ritengono, che vivendo in quei luoghi, abbia trovato e conservato degli antichi documenti che narravano la vera storia  di quello che era accaduto a quell'epoca. Probabilmente i documenti originali son andati perduti nel tempo e rimane solo questo libro che è la trascrizione della storia vera.>>

Il libraio lo rivende all'archeologo senza sapere del valore storico utile al ritrovamento della tomba. E quasi alla tomba è stato mandato quando il pover'uomo è finito tra le mani di chi voleva impossessarsi del volume.
Luca e Sara non si lasciano sopraffare dal magnate, approfittando del fatto che Sara, grazie al suo lavoro, ha capito subito quali sono i punti deboli del castello, trovano una via di fuga grazie ad un elicottero del magnate. Iniziano ad elaborare un piano di fuga in parallelo allo studio del pugnale e della pietra. Riusciti a rubare il pugnale e a fare un calco delle incisioni riportate sulla pietra, Luca e Sara sono pronti alla fuga. Evase le telecamere, annientati i carcerieri e una guardia dell'elicottero, i due giovani sono pronti alla fuga. 
Inizia un rocambolesco inseguimento dell'elicottero da parte di due caccia svizzeri. 
La radio di bordo è saltata durante un conflitto a fuoco coi carcerieri e ai due ragazzi non resta che farsi scortare dai caccia, avvisati tramite alfabeto morse creato con una torcia, nell'aeroporto svizzero più vicino. Finalmente al sicuro e sventato l'incidente diplomatico, l'archeologo e la donna possono tornare in Italia, grazie all'aiuto del padre di Sara, il Generale dei Carabinieri Giovi e del Comando della Guardia di Finanza dove lavora la donna. Devono però lasciare il pugnale alle autorità, come prova della storia raccontata e come reperto sottratto ai beni culturali,  in compenso il calco della pietra resta in loro possesso.
Inizia così un nuovo calvario per la coppia. Passati alcuni giorni sotto protezione in una caserma della Finanza, vengono messi in sicurezza in un luogo segreto, in una villa confiscata alla malavita, protetta da Carabinieri e Finanzieri.
Lo stretto contatto dei due giovani, intanto, ha creato tra loro una forte intimità, tanto da farla sfociare in sentimenti profondi e ricambiati. E'ancora più facile e più bello, in questo modo, continuare i rilievi per ritrovare la tomba: ormai è questione di orgoglio.
Al sicuro nella villa, Luca e Sara sono aiutati da due Carabinieri del Comando tutela beni culturali, i quali apportano un prezioso aiuto durante i rilievi al sito. 
Il progetto di riportare in luce la tomba prende campo. Recuperata la documentazione dal cloud, la squadra è pronta per tornare al sito di Castelseprio, non prima di aver preso tutte le tutele del caso. Carabinieri in borghese sorveglieranno i ragazzi e il sito durante i rilievi e la Finanza sarà loro di supporto.
Arrivati al sito archeologico, Luca ritrova Massimo e Luana, la coppia di colleghi che gli aveva fatto visita poco tempo prima di essere rapito. 
Gli propongono un aiuto per mettere finalmente fine al chiodo fisso di Luca. 
Nonostante la reticenza di Sara e di uno dei due Carabinieri della tutela beni culturali, nelle mentite vesti di archeologo, la piccola squadra inizia i rilievi nella Chiesa sconsacrata di Santa Maria Foris porta , con l'ausilio di un geo-radar, atto alla ricerca di cavità sotterranee. 
Nel frattempo Sara, allontanatasi per andare a comprare dei panini, non fa ritorno al sito. Preoccupato, Luca, chiede aiuto ai Carabinieri e ai colleghi di Sara i quali, rassicuratolo che faranno il possibile per ritrovarla, gli consigliano di proseguire i rilievi come se niente fosse, per non insospettire la coppia che li sta aiutando. 
Sara è stata rapita di nuovo da Dujardin, questa è la scoperta dopo una telefonata dello stesso, che gli da un'ultimatum: Luca Sarsi ha 72 ore per ritrovare la tomba e liberare così Sara.

<<Ancora non sa dove si trova la tomba, ma sono sicuro che ce la metterà tutta per ritrovare quello che sta cercando entro le prossime 72 ore. Vede, questo è tutto il tempo che le lascio per risolvere il mistero, altrimenti la sua amica avrà uno spiacevole incidente.>>

Seguendo alla lettera i consigli delle forze dell'ordine e dei due Carabinieri che lo aiutano nei rilievi, Luca continua a perlustrare la zona insieme agli amici. Fabio,  uno dei due Carabinieri, come del resto Sara, è sempre più reticente verso Massimo e Luana: secondo lui stanno nascondendo qualcosa di poco chiaro, ma le indagini continuano e il geo-radar si rivela prezioso. 
Sotto il pavimento della Chiesetta sembra esserci una cavità profonda 25 mt. L'apertura però si trova al di fuori della Chiesa, quindi bisogna scandagliare il terreno circostante. Col pensiero fisso di Sara, finalmente liberata dalle grinfie di Dujardin e cercando di restare impassibile durante i rilievi, Luca scortato dai Carabinieri /archeologi Fabio ed Enrico e dagli amici Massimo e Luana, seguendo la traccia del geo-radar arriva al limitare del boschetto circostante la Chiesa. 
C'è un problema: il bosco finisce al limitare di una ripida scarpata sotto la quale sembra esserci proprio la via d'accesso alla cavità della tomba che tanto hanno cercato. 
Casualmente, Massimo, ha con se due imbragature da scalata, molto utili al caso loro. A calarsi lungo il pendio sono Luca e Luana, più leggeri e in forma degli altri. 
Inizia la pericolosa discesa che l'intuito di Luca guida sino ad uno spunzone di roccia dalla forma a croce con un'incisione sopra. Proprio quello che stavano cercando! L'incisione, quasi erosa dal tempo e dal terreno che la ricopre, altro non è che una scritta risalente al tempo del regno di Liutprando.
Mentre, con enorme sollievo dell'archeologo ormai innamorato, Sara viene liberata e condotta al sito di Castelseprio scortata dallo schieramento di Carabinieri e colleghi, Luca e Luana, riusciti a spostare la lastra a croce che ricopriva l'entrata della galleria, percorrono uno stretto corridoio che sfocia in un'ampia grotta: sarà la tomba?
Dopo lo stupore iniziale e fatti i rilievi fotografici del caso decidono di risalire per mettere in sicurezza il luogo.
Giunti sul pianale dal quale si sono calati e dove hanno lasciato i colleghi, trovano una situazione assurda e ribaltata.

<<Maledetto bastardo, sei solo uno sporco traditore. Sei stato tu ad informare Dujardin sulla nostra posizione e sui nostri spostamenti. Hai anche orchestrato il secondo rapimento di Sara per farci uscire allo scoperto. Che tu sia dannato per l'eternità.>>

Il voltafaccia dell'Arma, che Luca credeva dalla propria parte e quello di Luana e Massimo, ma soprattutto il ritorno di Dujardin, il quale insieme ai carcerieri sopravvissuti li tiene sotto tiro.  Non hanno però fatto i conti con Sara, pronta a tutto per amore di Luca e la Benemerita schierata dal Generale Giovi, pronto a tutto per amore della figlia ...

Riusciranno Sara e Luca a liberarsi ancora una volta dalle grinfie del perfido Dujardin? Ma soprattutto, avranno veramente riportato in luce la tomba di Re Liutprando e il giacimento dei preziosi diamanti rosa? 
Lo scoprirete si, ma dopo la pubblicità! 
Ah, no scusate, quella è un'altra storia. Lo scoprirete, ma dopo aver letto il romanzo...


Chiesa di Santa Maria Foris Porta, Parco archeologico di Castelseprio - foto dal web -



Questo romanzo, scritto con uno stile semplice ed incalzante, con dovizia di particolari, ha tutte le carte in regola per appassionare qualsiasi lettore, dal più giovane e romantico, al più avventuroso  Indiana Jones sino al più attempato, alla ricerca di un approfondimento sulla storia italiana. 
Molti punti del romanzo sono stati creati ad arte dall'autore per dare più corposità alla storia, ma il Parco archeologico longobardo di Castelseprio esiste veramente, in provincia di Varese, divenuto patrimonio dell'Unesco. 



Parco archeologico di Castelseprio -foto dal web- 

Avanti ha saputo fondere in maniera dolce e limpida il passato col presente, riuscendo ad incorporare le basi per una delicata storia d'amore tra i protagonisti. Se devo trovare un pecca in questa storia incalzante e accattivante, è nel finale a mio gusto un po' affrettato. Avrei gradito uno sviluppo maggiore proprio riguardo alla storia tra la bella Tenente della Guardia di Finanza e lo spericolato archeologo. 
Ma chissà che l'autore non possa prendere spunto per inventare nuove avventure per questa scaltra, spericolata  e simpatica coppia di "archeologi". 
Io, e spero anche voi, sono qua, attendo fiduciosa  e, con altrettanta fiducia, vi consiglio questa lettura piacevole che vi porterà alla scoperta di meravigliosi scenari storici ancora presenti nella nostra Penisola. 

Per chi volesse saperne di più riguardo al sito archeologico, lascio il link della omonima pagina:

http://www.vareseturismo.it/blog/parco-archeologico-di-castelseprio-chiesa-di-santa-maria-foris-porta-santa-maria-assunta

Buona lettura.
Tania C.






martedì 19 marzo 2019

Recensione di OLTRE L'AZZURRO di Andrea Bazzotti



OLTRE L'AZZURRO

Andrea Bazzotti
Ed. Altromondo
Collana Mondo di sopra 2018
Pag. 210 brossura
Copertina flessibile


CONOSCIAMO L'AUTORE

Foto dal web CANOA CLUB RIMINI


Andrea Bazzotti, classe 1975, nato a Riccione. Conseguita la maturità scientifica, si laurea con lode in ingegneria nucleare, proseguendo i suoi studi con un Dottorato di ricerca che lo farà viaggiare tra nord Europa e Messico per alcuni mesi. Finito il dottorato, il suo amore per il mare lo porta ad arruolarsi come Ufficiale in Marina Militare, dove avrà la possibilità di approfondire le sue conoscenze sulla nautica. Finita la carriera militare per alcuni anni si dedica, come libero professionista, al settore edile ed immobiliare. Ad oggi lo possiamo trovare tra i banchi delle scuole medie e superiori della provincia di Rimini come docente di materie scientifiche.

TRAMA

"Mentre navigo in uno scenario addormentato, in un silenzio rotto solo dal rumore dell'acqua e dal mio respiro, con la stella Polare che mi fa da timorniera, a poco a poco, perdo la sensazione di assistere solamente a un favoloso spettacolo. All'improvviso tutto torna a vivere, tutto riprende il proprio ritmo palpitante. Mi accorgo che anche le stelle hanno mutato la loro posizione e io non sono più un semplice spettatore ma faccio parte di tutto questo. Non sono più un uomo solo in mezzo al mare. No! Ora io sono acqua, sono vento, sono mare."
In questo romanzo realtà e autoanalisi si fondono dando vita ad una emozionante avventura sportiva che evade dai comuni canoni di un diario di viaggio, probabilmente il primo della storia, atto a raccontare i motivi che spingono un giovane ad attraversare il mare con una semplice canoa. Più che un'avventura è una continua introspezione alla ricerca di se stesso: un uomo con i propri dubbi, i propri sentimenti e soprattutto i tanti limiti da superare, come la sfida e la meraviglia più grande della natura.

IMPRESSIONI

Ho contattato la Casa Editrice Altromondo incuriosita dalle sue pubblicazioni. Interessanti e al di fuori dei soliti testi d'amore o thriller che siamo abituati a leggere. Ho proposto la mia candidatura come recensore e sono stata contattata dalla gentilissima Alice, che ringrazio tantissimo per la disponibilità, la quale mi ha proposto di scegliere un titolo tra le varie pubblicazioni in catalogo. Inutile dire che amando il mare, la copertina e il titolo hanno subito catturato la mia attenzione. 
La trama poi mi ha subito travolta come un'onda fresca e spumeggiante. Volevo conoscere l'impresa marina di Andrea Bazzotti, così scelsi Oltre l'azzurro. Alice mi inviò gentilmente il pdf e, inutile dirlo, mi ci tuffai dentro appena ricevuto. 
E' un racconto che si legge con curiosità e fila liscio proprio come una canoa su un mare piatto...

"Non mi basteranno né la forza, né la resistenza, né tanto meno la determinazione e la grinta per poter attraversare il mare.
Dovrò invece infondermi con il tutto, diventare parte di ciò che mi circonda, vibrare con il ritmo degli elementi. Non dovrò sentirmi un uomo solo in mezzo al mare, ma diventare mare, essere acqua, essere aria , essere vento. Dovrò vedere senza occhi e sentire senza orecchie."

Andrea Bazzotti è un giovane trentenne quando, nel 2006, decide di intraprendere la traversata Misano-Croazia in canoa, senza l'appoggio di una barca e soprattutto senza gli ausili tecnologici atti a questo tipo di impresa.
Non è uno sprovveduto, sa benissimo che andrà incontro ad un'impresa che richiederà molte energie fisiche ma soprattutto psicologiche. I km che separano Misano da Pola non sono tantissimi e con un adeguato allenamento fisico sa che sarebbe in grado di compierli in poco più di 24 ore. Inizia così, su una spiaggia di Misano, con l'aiuto dell'amico Bruno, il bagnino, il duro allenamento fisico e morale per la realizzazione del progetto. 

"Vedere sorgere il sole dall'acqua ogni giorno, seguire il suo ritmo e respirare sulla spiaggia l'aria fresca e pulita del mattino, mi dava un'energia e un equilibrio interiore che duravano per tutta la giornata!".

Preso dalla voglia di mettersi in gioco, Andrea, si butta corpo anima nella preparazione fisica, allenandosi sia su ''strada'' che in acqua notte e giorno, dividendosi tra lavoro, famiglia e allenamenti pesanti. Non ha, però, fatto i conti col suo fisico. Esasperato e portato allo stremo dalla voglia di partire e dall'allenamento troppo intenso e improvvisato, inizia un calvario doloroso per Andrea. Un dolore persistente che dal gluteo si estende sino al ginocchio,  fatto di cure e trattamenti che non vanno a buon fine e non trovano il motivo scatenante. Il ragazzo si vede così costretto a rimandare la sua partenza progettata per la fine estate 2006, in modo da avere tutto il tempo per recuperare fisicamente e prepararsi ancora, al meglio. 
Dopo allenamenti più o meno mirati ed intensi e un peregrinare di quasi un anno tra medici, fisioterapisti e psicologi, alla fine del 2007, scopre la causa fisica che gli impediva di dedicarsi intensamente ai suoi allenamenti : infiammazione del nervo piriforme. Col morale sollevato, finalmente può iniziare a progettare la partenza più volte rimandata e la costruzione di una canoa adatta alla traversata.


"<<Dove è che vai?>> mi chiede Bruno che è a tavola coi ragazzi del salvataggio, come d'abitudine.
So che la mia risposta susciterà scalpore, perciò ho un attimo di esitazione.
<<Vado di là!>> rispondo, guardando il mare."

Grazie all'aiuto del fratello ed al sostegno di pochi ma fidati amici, prende forma, giorno dopo giorno, la costruzione di un'imbarcazione semplice e funzionale, se pur spartana.
I suoi studi gli sono di grande aiuto per quel che riguarda la parte tecnica. Per quella fisica ci vuole un po' più di impegno, il dolore non è del tutto scomparso, ma è gestibile. Sul morale, invece, dovrà lavorare parecchio. Andrea è sempre stato un ragazzo introverso, solitario e indipendente, ma sa che la traversata in solitaria e senza l'aiuto dei comuni mezzi tecnologici atti a tracciare le rotte, sarà una sfida enorme, che gli porterà via tante energie e lo metterà in competizione con se stesso. Tra un allenamento notturno e la messa  punto della canoa e la presa di coscienza di se stesso e delle proprie potenzialità, il tempo passa velocemente e, i primi di giugno del 2008, Andrea, col supporto di amici e familiari, è finalmente pronto a salpare l'Adriatico in solitaria e senza aiuti esterni di nessun genere se non con  "le stelle come guida e il vento suo padrone", come direbbero i Nomadi in una loro canzone, superando, tra l'altro, il record di distanza in acque aperte.

"Alle 18.30, dopo alcune foto, le ovvie raccomandazioni, i saluti, le strette di mano a Stefano, a Miki e per ultimo a mio fratello, punto l'ago della bussola sui 45 gradi, mi stacco dalla scorta e proietto il mio sguardo e i miei pensieri verso il mare. Sono partito, si, finalmente sono partito!"

Inizia così, sul calar del sole, la traversata dell'Adriatico e dell'anima di Andrea. Complice la notte e la placidità delle acque costiere, c'è tutto il tempo per riflettere, per ripassare la propria vita dall'infanzia al momento della partenza. Andrea, un brillante ingegnere, amante del mare, dello sport e della natura, un ragazzo semplice, che quasi non credeva in se stesso a causa di un'educazione severa e quasi succube di scelte ''imposte'' da una famiglia patriarcale, finalmente era riuscito a realizzare un suo sogno. Il sogno dal quale tutti avevano cercato di strapparlo, di fare in modo che lo abbandonasse. 
Ma la forza di volontà e la voglia di provare a se stesso e a chi gli stava intorno, hanno funzionato da propulsore durante i momenti di sconforto nel nero profondo di una notte in mare aperto che sta volgendo in tempesta,  tra le piattaforme adriatiche, ancora distante dalla costa Croata.

"Improvvisamente mi rendo conto di possedere tutto quello di cui ho bisogno, una ricchezza immensa, incalcolabile: il mio corpo, un corpo umano sano e vivo, la macchina più perfetta che ci sia al mondo, che risponde alla mia volontà e, ancora più preziosi, i mei pensieri liberi e illimitati, custoditi dallo scrigno della mia testa. Ora più che mai, mi compiaccio di essere un uomo con i propri pensieri."

La voglia di mollare passa quando un piccolo pesciolino gli accarezza un braccio. Il segnale a continuare che stava aspettando, nonostante la fatica e il dolore fisico, ma soprattutto la girandola di emozioni che gli aveva provocato il prendere coscienza di se stesso, un uomo in grado di provare dei sentimenti profondi, di sbagliare e di rimediare ai propri errori.
Pagaiando sino allo stremo, con la schiena distrutta e piegata dalle ore passate in una posizione scomoda sotto il peso dello zaino coi viveri e con un braccio stirato dallo sforzo di remare contro corrente e col vento a sfavore, dopo circa 27 ore di mare aperto, ecco apparire la costa di un'isola Croata. 

"Vorrei esultare ma mi sembrerebbe un gesto prematuro e poco scaramantico e così getto soltanto uno sguardo al cielo pieno di gratitudine e doveroso rispetto."

Andrea tocca finalmente terra stremato. Non gioisce, non si sente in grado di esultare. Si sente quasi svuotato e demotivato dopo aver raggiunto il suo tanto agognato traguardo. Sa che ancora non è finita, ad attenderlo ci sarà la, spera, placida navigazione tra gli isolotti dell'arcipelago, sino a Zara dove si imbarcherà per tornare ad Ancona e riprendere la navigazione costiera sino a casa, dove ad attenderlo ci saranno tutti i suoi affetti. Cercando di rimettersi in sesto e recuperare la fatica, con il braccio ancora fuori uso, le mani piagate da dolorose vesciche, il rientro sembra molto più difficoltoso della partenza. 
Andrea, orgogliosamente non vuole mollare, anche se ha realizzato il suo sogno e battuto un record, vuole portare a termine il suo viaggio... 
A causa di una tempesta, soprattutto emotiva, capisce finalmente di essere arrivato alla conclusione di quel lungo viaggio dentro se stesso, di avere compreso lo scopo della sua vita e, finalmente, può considerarsi libero di essere ciò è realmente. 
Un uomo, con pregi e difetti, capace di amare e di assestare i dissapori familiari, di poter finalmente sentirsi libero di abbracciare i genitori dicendogli quel difficile ''ti voglio bene'', fino ad allora relegato nel profondo del suo animo, di portare a termine, nel senso più intimo della parola, tutti i progetti che ha iniziato. 
Ma soprattutto è un uomo libero di lasciarsi trasportare dalle onde di quel mare che tanto ama ...

Arrivata in fondo al diario, dopo il punto della fine, mi sono sentita quasi come Andrea. Ho sofferto con lui durante l'elaborazione del suo rapporto verso gli affetti familiari, ho provato il dolore fisico durante le pagaiate profonde controcorrente e controvento in piena tempesta, ho ammirato la Stella Polare che lo guidava nella notte buia come un gps ed ho esultato meravigliata all'avvistamento della costa Croata. 
Sicuramente Oltre l'azzurro non è solo un semplice ''diario di bordo'' di un pazzo benestante che decide, forse per noia o per dimostrare quanto è bravo, di compiere una sorta di ''goliardata sportiva'', sfidando la natura e la legge. 
E' molto di più, e solo un anima sensibile, rispettosa del mare e della natura, attento alla salvaguardia dell'ambiente come quella di Andrea, ha saputo trascrivere su carta, o meglio affidare al "piccolo", un i-pod sul quale registrerà ogni momento saliente del suo viaggio, rumori della natura compresi. 
Come ho già detto all'inizio, il diario si legge velocemente, lo stile è semplice e descrittivo, mai noioso, nemmeno nelle parti più tecniche che descrivono l'assemblaggio della canoa. Bazzotti ha reso tutto molto comprensibile, anche al lettore più estraneo alla nautica. 
Dovessi dare un voto alla trama e  al testo, tra l'altro arricchito di fotografie dei momenti più intensi del viaggio,  sarebbe un 9, ma soprattutto,  lo consiglio a voi lettori,  in particolare a chi sente il bisogno di mettersi a confronto con la propria vita, perchè prendendo coscienza di noi stessi e dei nostri limiti abbiamo gia vinto.

Buona lettura.
Tania C.






sabato 16 marzo 2019

Recensione di COME È PROFONDO IL MARE di Nicolò Carnimeo



COME E' PROFONDO IL MARE
di Nicolò CARNIMEO

Ed. Chiarelettere collana REVERSE
Pag. 172
Copertina flessibile
€ 13,60
Ebook disponibile

CONOSCIAMO L'AUTORE

foto dal web

Docente di Diritto alla navigazione e dei trasporti all'Università di Bari, Nicolò Carnimeo, dopo un viaggio tra Nigeria e Malesia, per Longanesi, pubblica NEI MARI DEI PIRATI. Per Mondadori pubblica MONTENEGRO, VIAGGIO SENZA TEMPO. Collabora con testate giornalistiche come Limes, La Stampa, Il Fatto Quotidiano  e La Gazzetta del Mezzogiorno, oltre alla trasmissione Linea Blu su Rai 1.

TRAMA

Il nostro organismo quanta "plastica" è in grado di tollerare? Quanto mercurio introduciamo nel nostro corpo nutrendoci di pesce? Nell'Adriatico c'è una discarica di tritolo? Alghe aliene e meduse esotiche stanno invadendo i nostri mari, perchè? 
Sono domande, spesso prive di risposta, che si pone l'autore. In pochi sono in grado di fare luce sul perchè, davanti ai nostri occhi ignari, il nostro Mediterraneo e gli Oceani stanno vertiginosamente mutando.
Seguendo tre rotte non convenzionali del mare di plastica, nel mare di mercurio e nel mare di tritolo, Carnimeo ci descrive tre reportage che si possono riassumere in una immensa discarica marina. Causa, effetto e conseguenza fotografica della scelta di vita che ha deciso di intraprendere l'uomo. Non tutti, fortunatamente, sono propensi a lasciare un'eredità di plastica alle generazioni future. Una denuncia che si legge come un libro di racconti.


IMPRESSIONI

"Non è segnata sulle carte nautiche, né si può avvistare dall'alto su Google Earth. Eppure è grande quanto un continente, così vicina che basta allungare la mano per toccarla. Dell'isola di plastica fluttuante negli Oceani abbiamo avuto notizia dai media, ma non sappiamo cos'è. C'è chi immagina persino che ci si possa camminare o piantare l'asta di una bandiera come sulla Luna."



foto personale


Ho notato COME E' PROFONDO IL MARE nel catalogo di Chiarelettere e, grazie alla disponibilità e gentilezza di Giulia  ne ho avuto tempestivamente una copia omaggio da poter recensire. 
Conoscevo il tema,  avevo gia sentito parlare di Carnimeo ed ero curiosa di leggere questa inchiesta in particolare per approfondire l'argomento. 
Ho iniziato la lettura in spiaggia col vento, tra onde, sabbia e rifiuti spiaggiati dopo una mareggiata. Quale contesto migliore per immergersi profondamente in questo tipo di lettura e comprendere appieno il messaggio che l'autore desidera mandare all'essere umano! 
Il trattato si divide in tre parti, come tre racconti a se legati da un'unica trama l'inquinamento marino e ambientale. 
La prima parte inizia col racconto delle  indagini fatte da Carnimeo a bordo di una particolare imbarcazione, l'Halifax.  
Sulla scia di  imbarcazioni tecnoligiche simili, adibite al   monitoraggio delle varie isole di plastica fluttuante sparse negli Oceani ed a rilevamenti oceanografici, salpa le nostre acque avvelenate dalle sostanze tossiche rilasciate da tutta la spazzatura degradata per fare rilievi sull'ecosistema. 
È un racconto accurato, dettagliato, quasi fosse un romanzo, sulle conseguenze dell'inquinamento marino da parte della plastica (e non solo). 
Non pensate solo alla plastica galleggiante o a quella che si riversa sulle spiagge dopo le mareggiate. 
No, la plastica in mare non si decompone ma degrada in pericolosi composti fungendo da spugna che assorbe tutte le sostanze chimiche tossiche disperse nell'Oceano. 
Si  suddivide quindi in micro frammenti  che vanno a mescolarsi con ogni particella di acqua formando una brodaglia velenosa riversata in pieno Oceano, nei nostri mari e in ogni forma di vita che li abita, modificandone per sempre la genetica. 
Mentre negli Oceani particolari condizioni ambientali e atmosferiche formano zone di convergenza che fanno confluire i rifiuti plastici in una sorta di vortice galleggiante formando le isole di plastica fluttuante, nel Mediterraneo a causa delle correnti e della conformazione geografica, tali isole non si formano ma rimangono immerse nei fondali con conseguenze catastrofiche per l'ecosistema e per i pescatori. 
Solo nel bacino protetto del Mar Ligure, nel Santuario dei cetacei tra Genova e Portofino, si stimano 200.000 micro frammenti plastici tossici per chilometro quadrato. E qui qualche domanda dovremmo porcela, insieme ad un mea culpa ...
A bordo dell'Halifax, nel Mediterraneo, Carnimeo prende parte ai prelievi e agli studi in quello che è considerato un labirinto da 290.000.000.000 di frammenti tossici. I numeri sono inquietanti e parlano chiaro: 

"Amici cari, è ufficiale: il Mediterraneo sta diventando un mare artificiale, mettiamoci al lavoro".



foto personale


A causa dell'inquinamento atmosferico, della pesca non controllata, del riscaldamento globale, dell'inquinamento da parte dell'uomo, il Mediterraneo è stato svuotato della sua flora e fauna e si sta trasformando nell'habitat ideale per meduse esotiche, predatrici concorrenti della fauna autoctona e alghe aliene, come la Calupera Taxifolia, misteriosamente evasa dall'acquario di Montecarlo per colonizzare il Mediterraneo soffocando intere praterie di Posedonia, bellissime praterie di alghe riconosciute come  il polmone Mediterraneo grazie alla produzione di ossigeno utile alla respirazione marina. Un primato della Calupera  è stato però stato spodestato dall'alga Ostreopis Ovata,  la più famosa e conosciuta alga tossica che fiorisce soprattutto in agosto nelle nostre acque costiere, responsabile di problemi gastro intestinali e respiratori per chi vi si immerge. 

"A vederli tutti insieme mentre cercavano di arrampicarsi su quelle grandi carcasse, sembrava di rivivere la fiaba di Gulliver legato dai lillipuziani".



foto personale


La seconda parte delle indagini di Carnimeo lo portano a scoprire di proprio pugno che tutti i nostri mari non sono inquinati solo da isole di plastica ma da killer altrettanto pericolosi. 
Da studi effettuati in Giappone ne è emersa una devastante contaminazione da mercurio. 
Nella baia di Minamata, arcipelago dove, dal 1932 al 1968, complice una politica corrotta, le acque vennero avvelenate dai continui e copiosi scarichi di mercurio con conseguenze disastrose per la popolazione che della pesca basava l'alimentazione e l'economia, si sviluppò la malattia del gatto ballante, una modificazione genetica altamente invalidante che privò i contaminati della parola, dell'uso degli arti e scatenò forti convulsioni. Se il Giappone è altamente contaminato da mercurio, il Mediterraneo non è da meno. 
L'autore vivrà in prima persona gli effetti devastanti dell'inquinamento da metalli pesanti quando si ritroverà ad assistere, impotente, alla morte di sette capodogli spiaggiati sulle spiagge del Gargano. 
E' il dicembre 2009 quando sette esemplari di capodogli approdano agonizzanti su una spiaggia in preda a gravi problemi metabolici. 
Dagli studi eseguiti sulle carcasse, alcune barbaramente mutilati da predatori fraudolenti alla ricerca di macabri trofei,  ne è emerso che i poveri cetacei erano stati contaminati da mercurio in maniera talmente invasiva da disorientarli e spiaggiarli, andando incontro alla morte.

"Un mare senza bellezza, una vita senza bellezza è una vita perduta e senza speranza, ovunque l'abbiamo irrimediabilmente compromessa, l'idea stessa di rinascita si è affievolita sino a morire".


foto personale

Con la terza ed ultima parte delle indagini, eseguita meticolosamente e attivamente, porta alla luce uno dei più pericolosi fattori inquinanti del Mediterraneo, dalle acque dell'Adriatico a quelle Tirreniche  di Ischia, passando per la Sicilia: gli innumerevoli ordigni bellici sommersi, illegalmente o per cause belliche, risalenti al primo e secondo Grande Conflitto Mondiale. 
Dopo la Seconda Guerra, e il bombardamento di Bari, le opere di bonifica  terrestre furono superficiali e negligenti, vuoi perchè doveva essere messo tutto a tacere, vuoi perchè bisognava fare in fretta visto che bisognava sbarazzarsi del fantasma della John Harvey e del sospetto del carico di morte che la rivestiva. 
Come risulta dagli atti, nel 1947, una nave cisterna lascerà Lecce in direzione mare aperto per scaricare tonnellate di ordigni bellici di ogni sorta. 
Gli effetti devastanti si ebbero durante l'estate, quando dei pescatori pugliesi, tirando in barca le reti, riportarono ustioni e pustole, in alcuni casi anche la morte. 
Causa dell'avvelenamento fu l'iprite, un gas venefico proibito dalla Convenzione di Ginevra, gia usato in via sperimentale nell'artiglieria del primo Conflitto Mondiale e nelle munizioni della Seconda Guerra, durante il bombardamento di Bari. 
Gli effetti del "gas mostarda", così chiamato a causa dell'odore pungente che ricorda appunto la senape, furono devastanti per il Mediterraneo e, ad oggi si sono aggiunti i residui dei più recenti conflitti, come quello dei Balcani, che ha riversato nei fondali adriatici migliaia di ordigni, spesso inesplosi e veicoli di sostanze chimiche altamente nocive per l'ecosistema e l'umanità ...


foto personale


Il tema difficile e scottante,  affrontato con uno stile delicato, quasi come fosse una poesia, non lascia indifferente nemmeno il lettore più critico. 
Durante il racconto delle  indagini svolte, sembra di vedersi fluttuare davanti l'isola galleggiante di plastica, frutto  della generazione che ne ha visto la nascita e i primi utilizzi, anche se di poche ore. Il solo pensiero (senza andare a scomodare le isole plasticate degli Oceani) di tonnellate di rifiuti che il mare, giustamente stanco di trascinarseli appresso, riversi sui nostri litorali rifiuti provenienti dal passato, mi fa accapponare la pelle. 
Come una specie di macchina del tempo, restituisce tutto ciò che lo ha violato e ferito, modificandone per sempre il suo essere. 
E tutto questo fa riflettere su quanto gli errori commessi ''dai padri'' si riversino sui ''figli''  e poco abbiano insegnato a non ripeterli.
Stiamo distruggendo il mondo con le nostre mani, con la consapevolezza cieca, sorda e muta che stiamo distruggendo noi stessi. 

"Più di questo sono i paraocchi di chi continua a correre sulla via del finto <<benessere>> senza pensare o mitigare le conseguenze, di chi crede che non sia possibile alcun compromesso e natura che ci sta rovinando".

foto personale

Arrivare all'ultima pagina di questa trascinante avventura è stato un attimo. Come gia ho spiegato, questo trattato si lascia leggere come un libro di racconti. Carnimeo è riuscito a non cadere nella statistica, nell'agglomerato, spesso confuso e incomprensibile di dati e numeri, ma ne ha fatto un racconto emozionante, commovente ed avvincente. La sensibilizzazione a limitare l'uso della plastica e di tutti i materiali altamente tossici è il filo conduttore dell'inchiesta dell'autore, sperando che tutti noi, per la nostra sopravvivenza, possiamo prendere spunto per cominciare a salvaguardare il nostro mondo. 



foto personale, chissà che non sia una tra le tante ...



Non mi è stato facile recensire questa inchiesta senza sentirmi un po' "ipocrita". 
Non perchè sia di difficile lettura e comprensione, tutt'altro, grazie ad un linguaggio scorrevole, semplice e trascinatore si legge d'un fiato. 
La difficoltà più grossa che ho avuto è stata quella di prendere atto che, anche se l'amarezza e la rabbia verso quello che sta succedendo è tanta,  la mia vita è circondata e basata sull'uso e consumo quotidiano di ciò che ci sta distruggendo. 
Cosa si può fare concretamente per tentare di arginare almeno in parte il consumo della plastica quando ne siamo circondati? Ne abbiamo realmente bisogno per vivere di tutta questa plastica? 
Sono domande che durante la lettura, inforcati i miei occhiali  di plastica, con la mia penna di plastica per segnare i passi più importanti, usando anche un pc con componenti in plastica, mi sono posta e, molto amaramente, non ho saputo darmi una risposta precisa. Ci vuole più sensibilizzazione a ridurne il consumo e per il corretto smaltimento quindi, un buon punto di partenza, è quello di iniziare da questa interessante e dettagliata lettura, che riserva anche una piccola parte quasi esilarante. Ma lo scoprirete solo leggendo, seguendo la rotta delle paperelle gialle e delle Nike ...

Spero di avervi incuriositi e invogliati, il mare è vita, è confidente, è sogno e speranza, riprendiamocelo!




Buona lettura.
Tania C.


Recensione UN ANIMALE SELVAGGIO di Joel Dicker - Ed La Nave di Teseo -

  UN ANIMALE SELVAGGIO Autore: Joel Dicker Editore: La Nave di Teseo Traduzione: Milena Zemira Ciccimarra Pubblicazione: 25 marzo 2024 Forma...