venerdì 28 gennaio 2022

Recensione UN UOMO FELICE di Arto Paasilinna - Ed. IPERBOREA -

 





UN UOMO FELICE

Arto Paasilinna

Traduttore: Nicola Rainò

Editore: Iperborea

Anno edizione:2021

In commercio dal:27 ottobre 2021

Pagine:208 

Formato: Brossura

€ 17


CONOSCIAMO L'AUTORE

Aarto Paasilinna (20 aprile 1942 - 15 ottobre 2018) è stato un ex guardaboschi, ex giornalista ed ex poeta. In Finlandia è diventato uno scrittore di fama grazie alla capacità di raccontare ogni storia tragica ridendo. Dopo L'anno della lepre, che in Italia ha superato le 120.000, Iperborea ha pubblicato altri suoi diciassette romanzi tra i quali Piccoli suicidi tra amici, Il bosco delle Volpi Impiccate e Il miglior amico dell'orso.

 
TRAMA


Incaricato di costruire un nuovo ponte a Kuusmäki, piccolo paese sperduto tra i boschi e i laghi della Finlandia, teatro di un efferato eccidio di Rossi durante la Guerra civile, Akseli Jaatinen è destinato a suscitare una sospettosa diffidenza fin dalla sua comparsa, una nebbiosa mattina di marzo: possibile che sia davvero un ingegnere quell’energumeno che si presenta in camicia a scacchi e stivali di gomma, arriva in pullman come qualsiasi squattrinato e familiarizza subito con gli operai? Che non sia tipo da badare alle convenzioni è più che evidente, e basta poco perché i suoi modi liberi, la sua refrattarietà ai codici e alle gerarchie sociali e la sua insofferenza per ogni ipocrisia e sopruso trasformino la diffidenza dei notabili locali in guerra aperta: le autorità, la polizia e perfino il prete fanno di tutto per ostacolarlo e umiliarlo, finché non riusciranno a espellere dalla piccola comunità quell’estraneo che disturba la legge e l’ordine. Ma come in un western in salsa finnica, Jaatinen tornerà in veste di rampante imprenditore a compiere la sua beffarda vendetta di giustiziere. La rivincita dei Rossi contro i Bianchi, di un costruttore di ponti contro i difensori dei muri di una società chiusa e classista, che perpetua nell’immobilismo le sue disuguaglianze: scritto subito dopo L’anno della lepre, il romanzo rivela l’aperto intento politico, senza però mai perdere la vena ironica e paradossale di Paasilinna. E quel fondo di sottile malinconia, che è la sigla della sua genialità. Nelle umoristiche peripezie, i suoi protagonisti si ritrovano sempre a combattere contro i conformismi inseguendo obiettivi libertari, ma forse raggiungerli non basta, forse anche un uomo felice alla fin fine sogna di fuggire.


IMPRESSIONI


Per chi non dovesse conoscere Arto Paasilinna, questo è il momento giusto per recuperare.

Un uomo felice,  mi è stato gentilmente offerto, in edizione cartacea da Lucia di Casa Editrice Iperborea che ringrazio di cuore.

Un cenno speciale voglio dedicarlo al formato del testo, maneggevole  e leggero, che amo da impazzire per la comodità  e alla copertina, che esprime felicità già solo a guardarla. Nei toni di un tenue arancio e verde, quasi setificata al tatto, raffigura una scena esilarante delle avventure del protagonista del romanzo, il rozzo e prestante Ingegner Jaatinen Akseli.

Un uomo felice, questo il titolo del romanzo, racconta le imprese tragicomiche di un rozzo ma sempre felice ingegnere costruttore di ponti, nella cittadina finlandese di Kuusmäki.

Detto in confidenza e col beneficio del dubbio, pare che l'autore. durante un viaggio, avesse conosciuto realmente lo strampalato ingegnere del quale sto per raccontarvi la storia.

Kuusmäki è una fantomatica cittadina finlandese che  sorge nella foresta bagnata dall'ipotetico fiume Eccidio e omonimo lago. 

Il ponte che  attraversa il fiume è molto usurato e rappresenta un pericolo per chiunque voglia transitarvi, perciò, nonostante le ritrosie dei cittadini, è stata indetta una gara d'appalto per iniziare i lavori di messa in opera di un nuovo ponte, moderno e più funzionale.

L'appalto è stato vinto dal plus ultra degli ingegneri costruttori di ponti, il rozzo ma prestante Jaatinen Akseli.

Uomo dall'importante fisicità e di sopraffina scaltrezza negli affari come nella vita, l'ingegnere, a causa della sua intraprendenza irruente, non è ben visto dai cittadini e dal circolo di allegre comari rappresentato dal Sindaco, dal Direttore della Scuola, dal Reverendo e dal corpo delle Forze dell'Ordine, che stanno facendo l'impossibile per levarselo dai piedi, senza riuscirsi e finendo per vedere ritorcersi contro i loro malefatti ai danni del povero ingegnere.

<< Le male lingue ricordavano che l'ingegnere era un ubriacone, un rovinafamiglie, un simpatizzante comunista, un trasformista ... >>

Di diversa opinione sono gli operai del cantiere. Da quando Jaatinen ha iniziato la messa in opera del ponte, la città non conosce disoccupazione, gli operai, contagiati dalla felicità del loro capocantiere lavorano più volentieri e, per velocizzare la fine dei lavori, le paghe sono molto laute. 

Certo si lavora di più, ma il capo non ha paura di mettere le mani in pasta per aiutare i suoi operai e, da quando c'è lui, il suo buonumore e ottimismo fungono da corroborante per lavorare più alacremente.

Tanto è che in quattro e quattr'otto il ponte è pronto per l'inaugurazione, con tanta soddisfazione da parte del cantiere e di Jaatinen.

<< La festa del cantiere era al culmine. Gli operai ballavano sulla soletta dell'impalcato, qualcuno suonava la fisarmonica, l'ingegnere faceva bisboccia... >>

Anche il circolo delle allegre comari non sta in sé dalla gioia, ma per altri motivi, molto più gratificanti.

Finalmente ora che il ponte è finito quel maledetto arrogante se ne andrà.

Ma l'ambizioso Jaatinen sembra non aver nessuna voglia di andarsene anzi, nonostante tutto sembri remargli contro sarà proprio la sua voglia di riscatto, di provare le sue capacità tecniche e umane che lo porterà a stabilirsi definitivamente in città, proprio ora che c'è un imminente bisogno di una ferrovia...

L'ironica irriverenza, mai volgare, di Paasilinna, lo ha reso capace di descrivere la realtà, spesso amara e difficile, col sorriso e il buonumore.

L'autore ha avuto la capacità di raccontare una storia si improbabile, un po' come alla Don Camillo contro Peppone, ma che racchiude una grande morale.

Quella che ho imparato dalle avventure di Jaatinen è che se siamo felici dentro e se si ha buon cuore, non importa preoccuparsi dei problemi che la quotidianità ci presenta perché, dopotutto, domani è un altro giorno.

La  rocambolesca freschezza dello stile di Paasilinna fa si che il lettore venga trascinato dentro alle avventure narrate, curioso di sapere come l'irruento ''escapologo'' ingegnere riuscirà a districarsi con abile maestria dalle imbarazzanti situazioni in cui riesce a cacciarsi con una naturalezza quasi ingenua.

Pagina dopo pagina, in poche ore, si arriva ad un finale non solo divertente, ma soddisfacente per tutti, allegre comari permettendo...

Sperando che questo romanzo possa regalarvi un po' di buonumore, vi auguro una buona lettura e vi invito a conoscere meglio il grandioso Arto Paasilinna. Sono sicura che non ve ne pentirete.

Buona lettura,

Tania C.

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giovedì 27 gennaio 2022

Adriana Revere, la piccola ebrea spezzina

 



Anna Revere - foto dal web -


Adriana Revere, la piccola ebrea spezzina


Cari lettori della Valigia buon pomeriggio.

Ho sempre ''sentito'' molto la giornata della Memoria, in parte perché lessi Il diario di Anne Frank in 5 elementare, rimanendone molto colpita, in parte perché durante la scuola mi hanno sempre sensibilizzato agli orrori dell'Olocausto.

Per caso, giorni fa, mi sono imbattuta nella storia di Adriana Revere, una bambina di dieci anni, nata a La Spezia, ma emigrata a Vezzano Ligure, paesino arroccato su un colle poco distante dalla città, per trovare un po' di sollievo dai primi bombardamenti della  Guerra.

Nonostante io sia spezzina, non conoscevo la sua storia e mi ha molto incuriosito tanto da cercare quante più possibili notizie in rete, con la promessa di approfondire presto l'argomento.

Questo è quello che ho trovato sulla triste storia.

La piccola Ariana Revere, nata a La Spezia il 18 dicembre 1934 e deceduta ad Auschwitz il 26 febbraio 1944, non aveva ancora dieci anni quando, da Vezzano Ligure, paesino sulle colline dello Spezzino che domina la valle del Magra, fu arrestata insieme ai genitori per essere deportata ad Auschwitz, dove morirà, nelle camere a gas, lo stesso giorno dell’arrivo, il 26 febbraio 1944, insieme alla madre, Emilia Eva De Benedetti. Il padre, Enrico Revere, ex maresciallo radiotelegrafista della Marina Militare, morirà fucilato nel campo di Flossenburg il 28 ottobre 1944.

L’arresto della famiglia Revere avvenne il 3 febbraio 1944: i Carabinieri, seguendo l’ordine del Prefetto Franz Turchi, li arrestarono con ''l'accusa'' di essere ebrei.

Adriana, Enrico ed Emilia Eva, Vennero internati per un breve periodo nel Campo di concentramento e transito di Fossoli di Carpi, in provincia di Modena e da li divisi e deportati: madre e figlia ad Auschwitz, il padre, riuscito a passare le selezioni, rimase per un po' ad Auschwitz e successivamente fu deportato a Flossenburg, un Campo di concentramento nazista tra Norimberga e Praga.

Una volta  che il treno avesse raggiunto Auschwitz,  avveniva il processo di selezione dove le SS decidevano all’istante, degnandole appena di uno sguardo sfuggente, che la maggior parte delle persone deportate non era adatta ai lavori forzati, pertanto sarebbero immediatamente state destinate alle docce e quindi alle camere a gas.

La piccola Adriana di nove anni, due mesi e una settimana e la madre furono tra quelle sfortunate persone. 

( fonte http://vigliottiangelo.it/una-piccola-ebrea-adriana-revere/ )

Il Campo di Fossoli di Carpi fu costruito dal Regio Esercito nel 1942 come carcere per militari appartenenti al fuoco nemico.

Alla fine del 1943 la Repubblica Sociale Italiana lo convertì in Campo di Concentramento per ebrei e nel marzo 1944, sotto il dominio delle SS divenne Campo poliziesco e di transito: anticamera dei Lager nazisti. Dal Campo di Fossoli transitarono circa 5000 deportati razziali e politici che vennero poi smistati definitivamente nei Campi di Auschwitz-Birkenu, Mauthausen, Dachau, Flossemburg, Ravensbruck e Buchenwald.

I vagoni piombati coi deportati erano 12 e il 22 febbraio, sul primo vagone dove erano stipati i deportati per Auschwitz, insieme ad Emilia Eva e alla piccola Adriana Revere si trovava anche Primo Levi che raccontò la sua breve permanenza a Fossoli nelle prime pagine di ''Se questo è un uomo'' e nella poesia ''Tramonto a Fossoli''.

Il Campo di concentramento e transito di Fossoli è stato il Campo nazionale della deportazione razziale e politica dall’Italia.

Dal 1945 al 1947 divenne il Campo per gli ‘’indesiderabili’’, un centro di raccolta per profughi stranieri.

Finita la guerra, il Campo venne utilizzato per scopi civili.

(Fonte https://www.fondazionefossoli.org/it/campo.php )


Che altro dire, di parole sull'Olocausto, ogni anno, se ne spendono a migliaia. Tutte belle parole, ma spesso dimenticate e soffocate dai fatti di cronaca.

La storia dovrebbe insegnare a non ripetere gli stessi errori, ma il mondo sembra dimenticare in fretta.

La speranza è che il sacrificio di tutte le Adriana Revere non sia stato invano in quanto nessun uomo e in particolar modo nessun bambino dovrebbe conoscere l'odio razziale.

Riposa in pace piccola Adriana, vittima del delirio di onnipotenza della follia umana.


Tania C.



Sui binari dell'Olocausto - Budapest, Museo La Casa del Terrore - Viaggio a Budapest, gennaio 2022

 





SUI BINARI DELL'OLOCAUSTO

Budapest, Museo La Casa del Terrore

(Viaggio a Budapest, gennaio 2022)


In occasione della Giornata della Shoah, già da qualche anno ho iniziato un mio personale ''tour della Memoria'', seguendo i ''binari dell'Olocausto''. 

Quest'anno la meta è stata una sorpresa nella quale non speravo, visti i tempi: Budapest col suo Museo La Casa del Terrore e la Sinagoga Grande, la più grande d'Europa, ma non è della Sinagoga che desidero raccontarvi.

Nonostante il Covid e il freddo, insieme al mio fidanzato, siamo partiti fiduciosi di passare qualche giornata immersi nella storia e in una cultura diversa da quella italiana.

Soffrendo terribilmente il caldo, sono rimasta un po’ delusa dal mite inverno che sembra essersi abbattuto sulla città: nemmeno un filino di neve e le temperature abbondantemente sopra lo 0. Improponibile per il periodo! Ma, alla fine, il sole e la temperatura piacevole, ci ha permesso di goderci appieno la città contando solo sulle nostre gambe, accompagnandoci dolcemente fino alla Casa del Terrore.

Per chi visita o vorrà visitare Budapest,  potrà trovare Terror Haza al nr. 60 di Andrassy Boulevard, una via maestosa e signorile, che ricorda vagamente gli eleganti viali di Vienna e Parigi, ma dall'aria più austera.

Tra l'altro abbiamo avuto una gran fortuna a poter visitare Terror Haza, perché il giorno dopo la nostra visita, il museo avrebbe chiuso per manutenzione per un lungo periodo.

Inaugurato nel 2002, il museo sorge tra le mura di un imponente palazzo di fine architettura neo-rinascimentale.

La Casa del Terrore si erge maestosamente tra gli altri eleganti palazzi, dipinta di un grigio brillante che non la fa passare inosservata, grazie ad un imponente tettuccio che circonda il palazzo e riporta la scritta Terror, ben leggibile, correttamente,  dall'alto.

Il palazzo fu costruito nel 1880 e nel 1937 venne usato come sede del partito filo-nazista della Croce Frecciata Ungherese.

Nel 1944, quando il furore devastante del regime del terrore piegò anche l’Ungheria, il paese divenne un luogo di esilio e martirio, fulcro del regime nazi-comunista ungherese.

L’Ungheria è riuscita a sopravvivere a due regimi dittatoriali del Terrore, iniziando da quello Nazista, quello Comunista subito dopo.

A causa delle atrocità subite, lo Stato ha fortemente voluto la costruzione di un Museo della Memoria, non solo per ricordare tutte le vittime cadute per mano del nazismo ma anche per portare a conoscenza delle reali condizioni di vita del Paese durante l’occupazione terrorista.

Nel dicembre del 2000, la  ˝The Public Foundation for the Research of Central and East European History and Society˝ acquistò l’elegante palazzo di Boulevard Andrassy nr.60,  proprio per creare un Museo della Memoria.

Casa del Terrore -foto personale-


I lavori durarono due anni e, nel 2002 il museo aprì le sue porte al popolo col nome di “Terror Haza – Casa del Terrore’’ , diventando il simbolo di un paese martoriato ma capace di risorgere senza dimenticare.

La visita al museo comincia dal marciapiede antistante l’entrata, dove si trovano le foto e  mozziconi di ceri accesi a commemorazione di alcune delle vittime, non solo ebree, perite per mano dei nazisti.


La Casa del Terrore -foto personale-


Alcuni manifesti raccontano, cronologicamente, la storia del paese, dal regime del terrore fino alla rivoluzione ungherese del 1956.


Frammento del Muro di Berlino, Museo La Casa del Terrore - foto personale -


Una ‘’sorpresa’’, è stata quella di trovare una fetta di Muro di Berlino, perfettamente conservata, proprio davanti all’entrata del Museo. Mi ha stupito molto in quanto il pezzo di muro e tutte gli altri reperti in mostra non riportino atti di vandalismo o di usura meccanica, indotti dall'essere umano. 

Essendo un ''monumenti'' pubblici, alla mercé di chiunque, l'area di stallo è molto curata e ben conservata, senza cartacce a fare da sfondo o ''graffiti'' fluorescenti a lordare le opere in mostra. Segno di grande civiltà. Del resto tutta la città è ben tenuta, pulita e sicura.


                               
Muro delle catene - foto personale -

Se già all'esterno l'imponenza del museo può incutere timore, entrando nel palazzo una cappa pesante e cupa, cala come un mantello addosso al visitatore. 

Due enormi lastre di granito, una rossastra e una nera, si ergono ai lati dell'entrata, a testimoniare le vittime dei due regimi che, pur essendo diametralmente opposti, hanno portato a pesanti perdite, facendo passare forte e chiaro il messaggio che le vittime non sono di serie A o B, non hanno colore e razza, ma sono solo vittime perite per mano di un odio senza  ragione e  distruttivo.

Dopo averci fatto togliere la giacca, borse, cellulari e macchine da presa, nel museo non si possono, giustamente, fare fotografie, il viaggio nella storia comincia dal cortile dove è situata la carcassa di un carro armato t54 appartenuto ai sovietici e che nel '56 soffocò la rivoluzione ungherese, spargendo il sangue di chi stava lottando per il diritto alla libertà. 



foto pubblicitaria 
Da qui, come un macabro e perverso labirinto, si diramano, a spirale, corridoi e scale che portano a stanze che rappresentano, in ordine cronologico e gerarchico, i vari periodi dell'occupazione da parte della Germania nazista prima e della Russia comunista poi , fino ad arrivare al periodo socialista.

L'ambiente è soffocante, cupo, l'aria è pesante, come se i dissennatori giocassero ai quattro cantoni coi visitatori, cancellando ogni ricordo felice. 

Per chi, come noi, non ha preso l'audio guida in italiano, fermarci a leggere le varie targhe e cartelli in inglese, molto  scolastico, è d'obbligo per capire tutti i reperti contenuti nelle varie stanze, cullati da una colonna sonora degna di Bernard Herrmann.

Tra poster che esaltano il socialismo, come sinonimo di nuova rinascita, immagini di ''grandi dittatori'' osannati per le loro gesta, radio e transistor d'epoca perfettamente conservati, la bauxite simbolo della nuova ricchezza, video testimonianze di sopravvissuti, il percorso del museo conduce in una stanza che, dopo il primo stupore e incredulità, mi ha lasciato un grande senso di vuoto misto ad amarezza: 

il corridoio delle saponette. 

Mentre i nazisti tedeschi deportarono gli ebrei nei campi di concentramento, i comunisti sovietici deportarono chiunque avesse origini tedesche o venisse considerato nemico del regime, nei gulag.

Solo nel 2000 l'ultimo prigioniero di guerra sovietico riuscì a fare ritorno a casa


Corridoio delle saponette - foto dal web -

Il macabro corridoio, ricostruito con mattoncini di silicone latteo, le saponette,  è infatti la chiara rappresentanza di ciò che venne fatto ai prigionieri. 

Ma l'essenza del museo si svela tutta raggiungendo l'ultima tappa della visita, le carceri situate nei sotterranei.


Sotterranei Terror Haza, cellette di prigionia e torture - foto pubblicitaria -


Un ascensore di cristallo alquanto lugubre e senza spazio-tempo, spinto a mano da un qualche ''Gobbo di Notre-Dame'' indigeno, conduce nei sotterranei, permettendo di guardare un filmato sottotitolato in inglese, scandito dal racconto di una voce aspra, priva di ogni emozione, sui rastrellamenti e le angherie subiti nel Paese.

Il senso di tirannia che si respira tra le anguste cellette, fedelmente ricostruite e la stanza delle torture è tutt'oggi opprimente, chiude la gola. Le lacrime salgono agli occhi senza freni, rotolando giù per le guance e raggiungendo le labbra col loro sapore indigesto salato e amaro.

Perché?

È la domanda che continuava (e continua) a martellarmi in testa mentre ho voluto provare ad infilarmi in una celletta di tortura che a malapena riusciva a contenermi e che faceva risuonare in strada il canto disperato dei condannati.

L'unica via per uscire da quell'ambiente angusto, dove aleggiano perpetue le grida di aiuto delle vittime, è quella di fare una piccola sosta in una stanza ''sacrario'' per poi attraversare l'ultimo corridoio del terrore, quello dei loro assassini.

Un corridoio dalle pareti nere e rosse che ricorda, per la perfetta atmosfera ricreata, il girone dantesco di ''Caron dimonio dagli occhi di bragia'' , dove vengono messe in mostra le foto di centinaia di aguzzini e assassini nazisti. 

Uomini, ragazzi, donne, probabilmente padri e madri, figli giovanissimi venduti alla causa, dallo sguardo fiero e onorato di servire i deliri di un odio folle, mattatore.

Uomini, ragazzi, donne, sui quali avrei tanto voluto letteralmente e meccanicamente sputare in faccia tutto il mio disprezzo, per coprire quell'immotivato odio semantico che arde nei loro occhi, considerando il fatto che alcuni di loro sono ancora vivi.

Perché, continuo a ripetermi oggi, tanta cattiveria e tanta follia? 

Come si può continuare a vivere avendo sulla coscienza migliaia di innocenti uccisi per mano della propria follia?

Risposte che probabilmente non avrò mai, visto che la storia sembra non aver ancora insegnato all'uomo a rispettare sé stesso e il prossimo.


Tania C.




giovedì 13 gennaio 2022

Recensione IL DIGIUNATORE di Enzo Fileno Carabba - Ed. Ponte Alle Grazie -

 



IL DIGUNATORE


Enzo Fileno Carabba
Ed. Ponte Alle Grazie 
Data di uscita 13 gennaio 2022
Copertina: Brossura
Pag. 254
€ 16,00

RECENSIONE

Cari lettori della Valigia buongiorno. 

Come promesso vi lascio la recensione  de 

IL DIGIUNATORE 

di Enzo Fileno Carabba, edito da Ponte Alle Grazie, che ringrazio per l'opportunità concessami di leggerlo in anteprima.

Esce oggi in libreria il romanzo basato sulla vita di un personaggio realmente esistito: Giovanni Succi, il digiunatore di Cesenatico che ispirò Kafka.

Nell'opulenza gastronomica della cittadina romagnola di  Cesenatico di Ponente, nel 1850 nacque Giovanni Succi, personaggio curioso, sempre in cerca di stimoli e sfide, che diventerà il più famoso digiunatore di tutti i tempi. Tanto famoso da ispirare a Kafka il racconto '' Un artista del  digiuno ''.

Sin dalla nascita, Giovanni, ha sempre vissuto in una famiglia benestante, dove il cibo non è mai mancato, anzi.

A mancargli, invece, era la tranquillità. 

Giovanni continuava a sentire lo stimolo di trovare sempre qualcosa di meglio con cui confrontarsi, mettersi in gioco. Una continua ricerca di qualcosa di grande che potesse vederlo trionfare sul podio dell'Olimpo delle grandi imprese.

Si sentiva attratto da tutto ciò che lo circondava, facendo vagare la mente a situazioni in cui si vedeva primeggiare in ogni percorso che avrebbe voluto intraprendere.

Il circo coi saltimbanco fu la sua prima grande fonte di  ispirazione: lui sapeva che avrebbe potuto benissimo riuscire ad imitarli, anzi a superarli, diventando impareggiabile.

Le manie di grandezza lo spinsero a tentare fortuna in Africa, dove avrebbe  aperto una non ben definita attività commerciale che avrebbe ricoperto di lustro e gloria la sua persona. 

Proprio in Africa, dopo vari fallimenti, la malaria lo costrinse ad arrestare la sua corsa al podio, facendogli rischiare gravemente la vita. 

In Africa, un potente stregone, lo farà guarire grazie al potere di un miracoloso elisir e di un lungo digiuno. 

Nel cuore profondo di un'Africa pagana e sciamanica,  il digiuno si rivelerà la giusta panacea per tutti i suoi problemi.

Rientrato dall'Africa, farà del digiuno la sua filosofia di vita, decidendo di  mettersi in mostra al pubblico che non lesinava denaro per vederlo digiunare.

Il digiuno divenne così la sua linfa vitale, digiunando per vivere, fu per lui come nutrirsi senza cibo, traendo nutrimento dalle sue stesse forze. 

Più si trovava al centro dell'attenzione, più il digiuno diventava cibo per corpo ed anima.

Ovviamente la cassa di risonanza della sua stravaganza risuonò talmente forte sia in Italia che nel mondo, tanto da attirare molti curiosi, soprattutto ristoratori, che lo reclamavano nel loro locale per esibirlo come fenomeno sensazionale, dove la gente pagava per mangiare, ma soprattutto per vedere digiunare Giovanni, rinchiuso in una gabbia al centro della sala.

La novità ''del digiunatore'' fu come un fuoco d'artificio, spumeggiante e brillante, ma molto effimera e per Giovanni si aprirono bel presto le porte del manicomio. Dopo lo sprint della novità, il pubblico cominciò a stancarsi ben presto di quella ingombrante presenza e cominciò ad additarlo come truffatore.

<< Il digiunatore aveva un sincero entusiasmo per il mondo, perfino per l'organizzazione del manicomio in cui era rinchiuso. >>

Entrò e uscì più volte da strutture psichiatriche, senza farsene troppo cruccio anzi, riuscendo ogni volta ad integrarsi perfettamente proprio grazie alla sua affabilità e versatilità e, molto probabilmente anche a  causa di una leggera personalità borderline narcisista.

La sua indole comunicativa, fece si che riuscisse a stabilire rapporti di auto aiuto coi pazienti, affinando il suo nuovo potere. quello di '' calmare col respiro '' le ansie di chi gli stava vicino.

Per ogni volta che venne internato per le sue follie, additato come ciarlatano, seguirono le dimissioni con l'esito di una persona sana e guarita. Ma poco dopo, come per un beffardo gioco del destino, gli si aprivano di nuovo le porte dei manicomi.

Tra un ricovero e l'altro, la sua voglia di mettersi in gioco e la sua curiosità, così difficili da arginare, lo spinsero a errare per il mondo, dove  poté confrontarsi con  personaggi come Buffalo Bill, Salgari, Verdi e Franz Kafka

<< Non erano solo le cose che diceva a cambiare le persone. Era soprattutto come respirava >>.

Personaggio manipolatore e affabulatore, Giovanni riuscì a catturare l'attenzione di Kafka che gli dedicò uno dei suoi racconti più belli.

Eterno fanciullo nel paese dei balocchi, Giovanni Succi mi ha ricordato, di primo acchito, Pinocchio di Collodi. 

Per essere più precisi, il precursore del famoso burattino di legno.

Curioso e giocoso, capace di adattarsi ad ogni circostanza per cercare di essere al centro dell'attenzione, spesso finì per bruciarsi i piedi al fuoco della smania di successo. Imprigionato, come Pinocchio da Mangiafuoco, finirà per avere la libertà a patto di rigare dritto e con qualche spicciolo in tasca. 

Ma per uno spirito libero e ribelle come Giovanni, rigare dritto significava vivere sempre sul filo del rasoio, col rischio di essere ingoiato dalla balena, il ventre avido della vita, che lo costringerà a fare chiarezza con il suo io più intimo: quello di ''burattino'' in balia di un pubblico sempre più esigente e svogliato o quello di ''bambino'', premiato dalla fatina/volontà e bisogno di attenzioni,  reso ''immortale'' grazie alle sue rocambolesche avventure.

Come finisce Pinocchio è un fiaba conosciuta, scritta e riscritta. Come finisce il percorso, concedetemi il termine, evolutivo di Giovanni Succi, è storia vera e vissuta.

Come Pinocchio, anche il  ''burattino'' Succi, grazie alla sua voglia di vincere ed alle sue forti doti persuasive, riuscì nel suo intento: quello di diventare un ''highlander'' del digiuno, famoso nel mondo e pure nella sua città dove esiste ancora una via a lui dedicata.

Se pur molte delle avventure di Succi sono state inventate dall'autore per ''esigenze di copione'', ho letto questo romanzo con la stessa curiosità che immagino avrebbe avuto Succi, al cospetto di un altro ''sé stesso'', assetata di attingere alle sue  nuove peripezie strampalate.

La lettura è filata via liscia, grazie al linguaggio fine e leggiadro dei capitoli brevi ma pieni di verve, che donano al romanzo la marcia in più per arrivare alla fine.

<< Ma Dio ti parla? Non me ne ero accorto >> chiese Filsero.

<< Dio è muto ma io sono telepatico >>.

Delicate le scene di humor irriverente.

L'umanità di Enzo Fileno Carabba traspare dalle descrizioni esilaranti, nella loro tragicità, dei ricoveri in manicomio. Mai traspare l'aria pesante e cupa, spesso di terrore, che si respirava in quelle strutture. 

Sicuramente Il digiunatore è un romanzo che fa riflettere molto su noi stessi, sull'etica e su ciò di cui abbiamo realmente bisogno non solo come persona singola, ma come società.

A cosa possiamo realmente rinunciare nella vita per arrivare ad essere veramente ''immortali'', non attaccati al materiale?

L'autore fa leva su questa domanda per aprire il contest #fareameno, invitando voi lettori a farci sapere di cosa potreste fare a meno oggi. Come già scrissi nella presentazione del romanzo, io posso  #fareamenodiquellochemistastretto

Per chi volesse approfondire la lettura, lascio il link della presentazione del romanzo 

https://valigiadeltempo.blogspot.com/2022/01/segnalazione-di-novita-il-digunatore-di.html

Sperando che la vita di Succi abbia incuriosito anche voi, vi invito  alla lettura e a partecipare al contest.


Buona lettura


Tania c.






giovedì 6 gennaio 2022

Segnalazione di novità: IL DIGUNATORE di Enzo Fileno Carabba - Ed. Ponte Alle Grazie -

 



IL DIGIUNATORE
Enzo Fileno Carabba
Ed. Ponte Alle Grazie 
Data di uscita 13 gennaio 2022
Copertina: Brossura
Pag. 254
€ 16,00


CONOSCIAMO L'AUTORE

Enzo Fileno Carabba nato a Firenze nel 1966. 

Autore di romanzi pubblicati in Italia e all’estero, di racconti, sceneggiature radiofoniche, libri per bambini, libretti d’opera e poesie, nel 1990 vinse il Premio Calvino con il romanzo Jakob Pesciolini.

Il suo ultimo libro è Vite sognate del Vasari (Bompiani, 2021). 

Vive a Impruneta.

www.enzofilenocarabba.it



 
ANTEPRIMA

Cari lettori della Valigia buon anno e buona Epifania.
Sono veramente contenta di anticiparvi l'opportunità concessami da Matteo di Ponte Alle Grazie, al quale vanno i miei ringraziamenti per la copia cartacea ricevuta circa un mesetto fa, di un un romanzo dai toni pacati ma molto intenso, basato di su una storia vera. Questa non è una recensione vera e propria, dal momento che il testo ancora non è uscito in vendita ma, ai blogger che hanno  aderito al contest #fareameno, spiegato più avanti, dopo la lettura in anteprima, è stato concesso di parlare del romanzo solo dopo i primi di gennaio. Mi sembra più corretto pubblicare la recensione il giorno dell'uscita in libreria.

Queste le parole di Ponte Alle Grazie.

<< Ecco in anteprima, esce il 13 gennaio 2022, il romanzo di Enzo Fileno Carabba '' Il digiunatore '', un'uscita alla quale teniamo moltissimo e che crediamo si distingua dalla maggior parte della narrativa attuale. >>

IL DIGIUNATORE, questo il titolo del romanzo, racconta la storia di Giovanni Succi, il digiunatore (per vocazione e per spettacolo) che ispirò un racconto di Kafka.
Con forza immaginifica e documentazione sorprendente, Carabba racconta e inventa le incredibili vicende di questo personaggio storicamente esistito, che incrociò Freud e Salgari, i viaggi di esplorazione e il circo, intercettò la nascita del cinema, del socialismo e della psicanalisi.
Carabba ci porta con maestria nel mondo delle carovane e dei prodigi, in un percorso tra spiritismo e ascetismo, abitato da saltimbanchi, freaks e profeti. 
Lo fa attraverso un personaggio che pare anticipare e illuminare molte correnti che inneveranno il Novecento. Ma il romanzo di Carabba ha moltissimo da dire anche sul nostro presente, e con il percorso unico e divertito di Succi, sorta di felice connubio fra Candide e Forrest Gump, l'autore (de)scrive, con una penna calviniana, molte delle domande che ci visitano ancora.


Dal libro

'''Ora che devo fare? '' Chiese Giovanni a fine giornata, pervaso da un sentimento di onnipotenza. Avvertiva dentro di sé lo spirito del leone. Era pronto a un esercizio difficile.    ''Io consiglio la felicità'' disse il maestro. Aveva una voce bellissima. ''

''Per questo gli piaceva digiunare: fronteggiava Oppa Oba, cercava di raggiungere l'essenziale. Per questo gli piaceva stare in gabbia, replicando condizioni di vita sempre identiche. Per sconfiggere l'ubiquità.''


Opinioni di autori, critica e stampa


''Un grande mito moderno: la vita di Giovanni Succi, il più grande digiunatore di tutti i tempi''
( Emanuele Trevi )

''Enzo Fileno Cabarra narra una storia dal fascino assoluto con la voce dell'aedo e la penna del compositore di una sinfonia fantastica. Il digiunatore è un romanzo picaresco e avventuroso, sostenuto da una scrittura raffinata e ipnotica.''
( Matteo Strukul )

'' La prosa sorprendente di Enzo Fileno Carabba intreccia sogno e realtà come fili indissolubili dell'incanto meraviglioso e pauroso dell'esistenza ''
( Elisabetta Rasy )


TRAMA

Nato a metà Ottocento a Cesenatico Ponente, terra di mangiatori, Giovanni Succi si impone sulla scena del mondo come il più grande digiunatore di tutti i tempi.

C’è qualcosa in lui di invulnerabile, che non si arrende neanche all’evidenza. Qualcosa che ha imparato ancora bambino dalle carovane dei circhi, quando scendevano dal Paradiso Terrestre verso la pianura romagnola. Alla saggezza errante dei saltimbanchi, Giovanni deve la sua gioia e la sua salvezza, l’urgenza di diventare quello che è: uno spirito sensibile, un leone indomabile, un profeta immortale-

Guidato dall’utopia del socialismo e dal battito del suo cuore, veleggia libero come un elisir attraverso deserti e savane, cespugli e radure, nuvole e gabbie, e mette il suo digiuno al servizio dell’umanità. Coltivando in sé la sorgente di una speranza illimitata – riflessa in donne dai nomi armoniosi quali Ginevra, Gigliola, Guerranda –, segue il suo respiro per il mondo, dal Canale di Suez al manicomio della Lungara, dalle strade del Cairo e di Milano alle corsie della Salpêtrière.

Incontra donne-belve e grandi esploratori, Sigmund Freud e Buffalo Bill, mentre l’Occidente sfocia nella modernità e perde per sempre l’innocenza.

In questa biografia sentimentale, Carabba parte da una storia vera per trasfigurarla in un grande romanzo, che ci svela il valore del dubbio, le acrobazie dell’entusiasmo, la fierezza della semplicità. Perché è proprio lì, sul confine tra il pieno e il vuoto, dove la nebbia personale si dissolve nell’incontro con gli altri, che si nasconde la promessa dell’eternità.


LA PROPOSTA SOCIAL

Scopo dell'autore e della Casa Editrice è quello di spronare il lettore alla riflessione su cosa o chi si possa fare a meno oggi. 
La privazione da qualcuno o qualcosa può veramente investirci di un superpotere?
Da una perdita, una sottrazione, un'astinenza, si può trarre un inaspettato vantaggio?
Usando l'hastag #fareameno, viene quasi naturale domandarsi se, in un mondo di opulenza di materialismo, sovrabbondanza di informazione, overdose di oggetti e stimoli, si possa rinunciare e a cosa, per riconquistare noi stessi e quale ''digiuno'' potrebbe essere quello giusto da iniziare a praticare oggi.

Che sia materiale o spirituale, quale sarà la vostra rinuncia per migliorare la vostra vita?
Lettori e followers, a voi le proposte.

Per quanto mi riguarda, ho iniziato a #fareameno di tutto quello che ormai mi va ''stretto'', che siano abiti, cibi o persone. Voglio stare bene con me stessa, senza essere condizionata da fattori esterni o subire imposizioni solo perché ''bisogna''.
#fareamenodiquellochemistastretto.

Ho scelto il giorno dell'Epifania per parlarvi di questa nuova uscita perché volevo farvi un piccolo dono: quello di aprire l'anno con un pizzico di magia e col proposito di una vita più leggera e serena.

Vi ricordo l'uscita in libreria, 13 gennaio 2022, in contemporanea con l'uscita della mia recensione completa.

Per il momento auguro buona lettura.

Tania C.



Recensione UN ANIMALE SELVAGGIO di Joel Dicker - Ed La Nave di Teseo -

  UN ANIMALE SELVAGGIO Autore: Joel Dicker Editore: La Nave di Teseo Traduzione: Milena Zemira Ciccimarra Pubblicazione: 25 marzo 2024 Forma...