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mercoledì 31 marzo 2021

Recensione QUASI ARZILLI di Simona Morani - Ed. GIUNTI EDITORE -

 



QUASI ARZILLI

Simona Morani

Ed. Giunti Editore

Anno di pubblicazione 2016

Formato Brossura

Pag. 176

€ 8,90

Ebook disponibile in tutti i principali store digitali


CONOSCIAMO L'AUTRICE

Simona Morani nasce nel 1982 a Firenze, ma cresce a Canossa, in provincia di Reggio Emilia.

Dopo aver conseguito la laurea in lingue, si trasferisce in Germania, lavorando come giornalista culturale, redattrice per cinema e tv e come interprete. 

È anche docente di italiano all'università di Volkshochsule di Monaco.

Quasi arzilli, il suo romanzo d'esordio per Giunti 2015, vinse nel 2016 il Premio Zocca Giovani  riscuotendo il favore di pubblico e critica.

Nel 2017, sempre per Giunti, ha pubblicato Cuore delicato, lavare a mano.


TRAMA

Nel cuore dell'Appennino Reggiano si trova lo storico bar La Rambla, dove ultimamente la briscola è più triste del solito.

Elvis, coi suoi caffè alla sambuca ce la mette tutta, ma non riesce a sollevare il morale. 

La dipartita di Ermenegildo non ha lasciato solo una sedia vacante al tavolo da gioco, ma un'immenso vuoto nei cuori degli amici e uno spettro al quale rendere conto: dopo la vecchiaia c'è la morte. E dopo la morte? 

Ognuno di loro reagisce a modo suo: ogni mattina Ettore si presenta nell'ambulatorio del dottor Minelli accusando un nuovo sintomo.

Gino, nominato ''Apecar'' a causa dell'improbabile mezzo col quale circola, nonostante il grave stato di ipovisione nel quale versa e nonostante sia un serio pericolo pubblico, non vuole abbandonare la guida.

Basilio, ex comandante della 26ª Brigata Garibaldi, combatte la sua battaglia contro il ''nemico'', un giovane bosniaco che gestisce il negozio di frutta e verdura appartenuto al compianto Ermenegildo.

Intanto, sulla brigata, incombe lo spettro di una nuova minaccia. Corrado,  giovane vigile urbano, sembra animato da un'unica missione: rinchiudere la combricola de La Rambla alla Villa dei Cipressi, la nuova casa di riposo che sta per essere inaugurata.

Commedia dal pathos inconfondibile dove si ride sino alle lacrime con un pizzico di malinconia.


IMPRESSIONI 

Qualche giorno fa, grazie alla gentilezza di Marilou di Edizioni Giunti, ho ricevuto Quasi Arizilli, il divertente romanzo di Simona Morani che ha attirato la mia curiosità non solo per la trama ma anche per l'ambientazione tra le vallate dell'Appennino reggiano, luoghi dove ho imparato a camminare e a parlare.

Ambientato in uno dei piccoli paesini bomboniera che si snodano tra i dolci pendii tra Reggio Emilia e Collagna, Quasi Arzilli è il racconto tragicomico di un gruppo di amici tra i settanta e i novant'anni che, arrivati all'età in cui ogni giorno che passa è un giorno regalato, si ritrovano nell'unico bar del paese ''La Rambla'', a giocare a briscola circondati da una coltre di fumo e bicchieri di sambuca.

Il bar è il fulcro del paese, il luogo di svago, dove si intrecciano le vite di Ettore, Gino, Basilio, Cesare e Elvis, figlio del proprietario, da tempo passato all'eterno riposo.

Negli ultimi giorni nemmeno la briscola e le sambuchine di Elvis sembrano riuscire a sollevare il morale al gruppetto di amici,  riuniti al gioco più per dovere che per piacere, ora che l'Ermenegildo aveva deciso di andarsene per sempre lasciando vuota non solo la sedia ma anche i loro animi.

Quando gli amici più cari vengono a mancare, raggiunta una certa età, è facile lasciarsi prendere dallo sconforto e cominciare ad elucubrare sul senso della vita, soprattutto quella rimasta e sul ''dopo''. Dopo il trapasso. 

<< Entrò in ambulatorio in punta di piedi per non disturbare anche se nella sala non era rimasto più nessuno. Arrivava sempre verso le nove e mezza; lo faceva apposta per trovare l'atrio pieno di gente. Era il suo modo per distrarsi e far passare la mattinata... >>

Pensieri lugubri, ogni notte, attraversavano la mente di Ettore, edentulo, ipocondriaco e insonne, che si ritrovava a rotolarsi nel letto in preda ad attacchi di panico che gli impedivano di riposare serenamente. 

Al mattino, con gli occhi cerchiati dal sonno, il pover'uomo, si ritrovava nell'ambulatorio del dottor Minelli, un giovane medico che si era dovuto adattare a diventare anche psicologo, consigliere e amico in quella piccola comunità di anziani.

Ettore, superati da tempo i settanta e in dirittura di arrivo agli ottanta, si era trovato a vivere solo nella sua casa, senza mai aver conosciuto le gioie di una compagnia femminile. L'unico conforto erano gli amici del bar, ma piano piano si stavano decimando e lui aveva paura di fare la loro fine, soprattutto aveva paura delle malattie, di soffrire per le malattie in solitudine. 

Il dottore sembrava quasi non capire il suo malessere, tal è che ormai aveva imparato a curare da solo i suoi attacchi di panico notturni, sperimentando ogni notte nuove tecniche di rilassamento inventate al momento e che sembravano dargli un po' di sollievo. 

La morte dell'Ermenegildo lo aveva scombussolato al punto che riuscire a riposare la notte era diventato impossibile, anche coi suoi trucchetti ben sperimentati. Sogni inquietanti ogni notte venivano a fargli visita, lasciandolo in uno stato di disagio e tutto sudato. 

Nemmeno don Zuseppe, con la sua ''zeppola'' incastrata tra i denti, era riuscito a dargli un po' di sollievo durante l'omelia funebre. Nulla riusciva ad allentare quel nodo stretto che sentiva comprimergli l'anima.

Solo gli amici de La Rambla riuscivano a capirlo, non proprio coetanei, ma tutti accomunati dal fatto che ultimamente sentivano gravare sulle loro vite il peso degli anni e dei giorni strappati alla vita,  in scivolata verso il riposo eterno ma, sia ben chiaro, nessuno di loro ancora pronto a mollare la presa.

Ne sapeva qualcosa Basilio, combattente in prima linea sul fronte al comando della gloriosa Brigata Garibaldi, benché un po' più giovane rispetto agli altri ma sempre combattivo e ardito, rimasto solo, viveva con la nipote Rebecca, una bellissima ragazza che, a causa della sua bellezza, si diceva in giro fosse rimasta poco istruita e scaltra. Basilio era sempre pronto a difendere i diritti di tutti, soprattutto il diritto alla vita libera.

Cesare il più giovane e il più sordo, l'unico ad essere ancora sposato, godeva dei suoi momenti di libertà al bar con gli amici, nonostante la Irma ultimamente si fosse fatta più assillante del solito. Sembrava una pentola di fagioli, sempre a brontolare: '' Cesare, prendi la pastiglia! Cesare attacca l'apparecchio acustico che poi non senti ve'! Cesare non bere, guida piano, cambiati la maglia che è stinta e ci prendono per straccioni!'' Però senza la sua Irma si sentiva perso. Come se gli mancasse l'aria o la libertà.

Che gentile questo vigile a prendersi a cuore mio padre, pensò.

<< Lo sai che tuo padre da qualche parte tiene nascosta un'Ape che guida senza patente? >> domandò dopo i convenevoli.

<< Ma se vede solo ombre! >> esclamò Nicola perplesso. Poi chinò il capo, amareggiato. 

<< No, non me lo aveva mai detto. >>

E poi c'era Gino.

Gino era il più anziano tra loro, il comandante della brigata. 

Gino, nome in codice ''Apecar''.

Gino il terrore di Corrado, il nuovo giovane e arrogante vigile urbano che si era incarognito contro di lui solo perché era un ultranovantenne quasi cieco, senza patente e continuava a guidare la sua ape arrugginita che andava in moto solo dopo che i bambini lo avevano spinto  per qualche metro nella discesa della piazza. La sua ape, che al massimo faceva i 25! Ma Corrado non lo avrebbe mai preso. Piuttosto sarebbe andato a far compagnia all'Ermenegildo!

La moglie lo aveva lasciato da tempo a causa del suo carattere brusco. Il figlio, dopo il matrimonio, si era trasferito in Piemonte e Gino si era ritrovato a vivere solo, ipovedente, con l'unica compagnia di tre galline che avevano preso dimora in casa, sul suo divano. Galline rispettose ve', lui le aveva ben educate le bestiole e loro, esserini intelligenti, avevano capito che potevano vivere in casa senza però oltrepassare la soglia della camera da letto. Quella soglia era lo stargate che proteggeva l'intimità di Gino, e la Cocca, la Linda e Genoveffa sapevano ben che non dovevano oltrepassarlo!

A movimentare la tranquillità della vallata c'era Corrado, un giovane vigile urbano, nipote del sindaco del paese ( che tanto mi ricorda Casina ), completamente impegnato nel cogliere lo sfuggente Gino con le mani nel sacco, o meglio sul manubrio della sua apetta. Per Corrado il povero Gino era diventato una missione. Doveva catturarlo e rinchiuderlo nella nuovissima Villa Cipressi, la casa di riposo dove non avrebbe più potuto nuocere a nessuno. Prima o poi le sue scorribande a tutto gas con quel ferrovecchio, sarebbero finite in tragedia.

Se Corrado fosse riuscito a rinchiudere il sovversivo Gino, sarebbe stato più facile convincere anche gli altri ''delinquenti'' che avevano occupato La Rambla facendolo diventare un fumoso luogo di perdizione col fine del gioco d'azzardo. Che poi l'azzardo consistesse in una sambuchina e in una spuma bionda, aveva poca rilevanza agli occhi attenti della legge.

Ma Gino sembrava un'anguilla, ogni volta che Corrado si avvicinava alla cattura del perfido ''Apecar'', questo come per magia gli sfuggiva di mano senza lasciare tracce. Talmente sfuggente che Corrado arrivò a dubitare dell'esistenza dell'ape.

<< Il nostro è sempre stato un paese tranquillo e pacifico ... Non vogliamo casini, ci siamo capiti? >>

Le giornate si susseguirono placide nel paese che sembrava vivere in una bolla rimasta indietro anni luce dalla globalizzazione. Le poche novità erano rappresentate dalla costruzione del ricovero Villa Cipressi e dal  giovane Goran, un bel ragazzone Jugoslavo, ancora devoto a Tito, che aveva rilevato il negozio di frutta e verdura dell'Ermenegildo e sembrava ammaliato dalla bellezza di Rebecca.

Per Basilio fu quasi un affronto vedere il negozio del loro compagno di briscola in mano allo straniero dei balcani. Cosa ne poteva sapere quel ragazzo delle loro tradizioni? Dovevano sabotarlo a tutti i costi e fargli chiudere il negozio. Lo dovevano all' Ermenegildo che di sicuro non avrebbe apprezzato quell'affronto. 

Ma c'è un vecchio adagio col quale la combricola de La Rambla, Basilio al comando, non aveva fatto i conti: '' se non puoi batterli, fatteli amici '' . 

Così, il gruppetto sotterrò l'ascia di guerra innalzata verso Goran e cercò di far integrare il nuovo fruttivendolo, che non era poi così male come ''compagno''.

Col passare dei giorni si placò il dolore per la perdita dell'Ermenegildo, grazie anche all'imminente inaugurazione di Villa Cipressi. Il sindaco aveva pensato in grande, sua intenzione era di accattivarsi la premiata ditta a delinquere e ricoverarla presso la struttura, col miraggio di una nuova vita agiata, come essere in vacanza. Una volta messi fuori combattimento, avrebbe potuto far abbattere il famigerato luogo di perdizione de La Rambla per rimodernare e lucrare sul nuovo locale.

Fu proprio durante l'inaugurazione della R.s.a., che successe il fattaccio. Una donna quasi ottantenne, l'elegante e verginale Teresa, tutta imbellettata e profumata, approfittando della confusione per la festa in corso, si era assentata da Villa Cipressi, intrufolandosi a La Rambla per un cicchetto e un giro di morra, ignara che in quel luogo così fumoso avrebbe finalmente incontrato l'amore.

Un amore sincero, puro, ingenuo, edentulo: Ettore che con la complicità di don ''Zuseppe'' e del dottor Minelli  combinò l'irreparabile provocando un'infinita reazione a catena di accadimenti che coinvolsero tutto il paese. 

Nel trambusto tragicomico, ovviamente, Gino ebbe il suo ruolo da protagonista, al grido di '' Vaffancül '' supportato dal condottiero Basilio, in nome dell'amicizia che legava la combricola, spiccò il volo verso la libertà, alla brutta faccia di Corrado...

Che dirvi ancora di questo romanzo, se non che ogni volta che ripenso a Gino, rido fino alle lacrime!  Una risata che sale dalla pancia, carica di tenerezza e comprensione. Di voglia di abbracciare uno ad uno i ''ragazzacci'' de La Rambla.

Come ho raccontato all'inizio, è stata una sorpresa ritrovarmi nell'ambiente in cui sono cresciuta,  tra quelle verdi vallate incastonate  nell'appennino reggiano, dove ho imparato a camminare, sulla Pietra di Bismantova, tanto cara a Cesare e alla Irma, dalla cui prateria si può ammirare a tutto tondo il panorama dei piccoli presepi sparsi nel verde. 

E, a guardar proprio bene, si può anche vedere l'Orvilla che va per boschi a cercar gatti selvatici, accompagnata da Ettore, e Gino che, spinto dai bambini del paese, sfreccia ai 20 all'ora con la sua apetta, facendo mangiar polvere a Corrado. 

Ho adorato la scrittura soave di Simona Morani, attenta ai particolari e ricca di sfumature, alle finezze che solo una persona che ha vissuto l'anima di quei luoghi può descrivere così bene.

Il tema affrontato, l'accettazione dell'invecchiamento, delle malattie e della morte, è stato trattato coi guanti. Con una delicatezza che è sfociata naturalmente nella comicità bonaria di gente sanguigna e verace pur nella loro semplicità. I nonnetti sbarazzini, che potrebbero essere i nostri nonni, arditi e risoluti nella loro dignitosa fragilità.

La Morani, col suo racconto solo all'apparenza leggero, mi ha regalato emozioni di gioia e di infinito amore verso gli anziani, quelli che saremo noi un giorno, coi nostri difetti accentuati ma che ci rendono unici. 

Per un giovane, raccontare gli anziani oggi non è facile, considerando la vita frenetica che ci travolge da mattina a sera. Incastrati tra lavoro, palestra, figli, scuola e spesa, arriviamo a sera senza magari aver pensato ai nostri nonni che trascorrono la loro vita nella pace di una vallata montanara dalla quale manchiamo da troppo tempo.

I loro ritmi sono ormai tutti in discesa, ogni giorno che passa viene apprezzato e vissuto in pieno, a volte anche sull'orlo della sfrontatezza, tanto non c'è più nulla da perdere e le occasioni vanno sfruttate. 

Simona Morani ha saputo rendere vivo, fuori dalle pagine, questo spaccato di vita che mi riporta all'infanzia vissuta a Cervarezza, dove c'erano il vecchio Cirillo, con la cicca in bocca e la fiaschetta in mano, la bisbetica Velia alla quale chiedevo sempre il ''momo'', il Zuseppe che non voleva farmi bere il contenuto della bottiglia dallo straccetto e il  buon Dario, con la sua ape gialla, carica di bombole dal gas, da consegnare a domicilio. 

Spaccati di vita di un tempo ormai andato, sempre più rari da rivivere, ma che ancora mi stampano un sorriso in faccia, a nascondere tanta malinconia...

Un libro consigliato a tutti, per passare qualche ora in piacevole compagnia, senza perdere interessanti spunti di riflessione.

Buona lettura,

Tania C.





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