domenica 28 luglio 2019

Recensione di LA CAMPANA D'ISLANDA di Halldòr Laxness - Ed. IPERBOREA







LA CAMPANA D'ISLANDA

Halldòr Laxness
Ed. IPERBOREA 2019
Pag. 608
Categoria Narrativa Straniera
€ 19,50


CONOSCIAMO L'AUTORE

Halldor Laxness - foto dal web -



Insignito nel 1995 del Premio Nobel <<per la sua opera epica che ha rinnovato l'arte e  la letteratura islandese>>, autore culto di scrittori del calibro di Jonathan Franzen, Susan Sontag e Alice Munro, Laxeness è considerato il grande maestro delle lettere islandesi. Amante dei viaggi, trapiantatosi per molti anni negli Stati Uniti, è venuto a contato con le principali correnti culturali del nostro tempo. Tra le sue opere Iperborea :
Gente indipendente, il romanzo più famoso insieme a La campana d'Islanda;
Il concerto dei pesci;
La base atomica;
Sotto il ghiacciaio;
L'onore della casa;
Sette maghi, raccolta di racconti.





TRAMA
Il dominio soggiogante del regno danese, complice di brutali carestie, ha fatto sprofondare l'Islanda in un periodo buio. Un giorno di fine seicento, in piena estate, il boia de re, eseguendo ordini da Copenaghen, porta via la campana di Pingvellir, che da sempre veglia sulle assemblee dell'Alpingi e sulla vita della nazione, per poi essere trovato ormai cadavere. Ha così inizio la rocambolesca avventura del contadino Jon Hreggviosson, un povero diavolo, canaglia recidiva, zotico e poeta ma sempre pronto ad affrontare mille avversità declamando forbite citazioni e rievocando eroiche gesta dei suoi avi vichinghi, finendo per essere accusato di omicidio. Col ruolo di pedina di una torbida partita di intrighi politici e ideali più grandi lui, intreccia il suo destino con quello dell'amore impossibile per l'incantevole Snaefriour <<Sole d'Islanda>> e l'erudito Arnas Anaeus. Figlia di un potente lei, ribelle  e indomabile, dall'indole femminista  ma pronta a cadere in disgrazia pur di seguire i suoi ideali. Lui votato alla missione di raccogliere tutti i manoscritti dell'età antica, proteggendo la poesia con la quale il suo popolo riscatterà l'onor perduto.
Dal genio narrativo di Laxness, il racconto dell'anima di un Paese e della sua lunga lotta per l'indipendenza, animato dalle gesta di tre coraggiosi personaggi ostinati, al contempo epici e grotteschi sino a rasentare un eroismo tragicomico. La combinazione vincente di humor e romanticismo unita ad un'accurata ricostruzione storica, a tratti popolata da leggendarie orchesse e rune magiche, La campana d'Islanda è il romanzo-monumento di una nazione, considerato tra i capolavori della letteratura nordica del novecento.

IMPRESSIONI

Grazie ad Iperborea, che ringrazio per la copia omaggio, ho potuto conoscere ed avvicinarmi alla letteratura nordica, scoprendo un caleidoscopio di emozioni che mai avrei pensato di trovare in un genere letterario che non è solo draghi, foreste incantate e folletti. E' un piacere tenere tra le mani un volume Iperborea, un piccolo gioiello dal formato discreto, vellutato. Le copertine, quasi tele ad acquerello, il profumo della carta e la rilegatura rendono accattivante la lettura invogliando il lettore ad arricchire la propria biblioteca di questi preziosi volumi.
Ancora più piacevole è stato entrare in una nuova avventura dal sapore epico come il Don Chichotte, romantica come Cyrano de Bergerac e travagliata come I Promessi Sposi. Giallo, rosa, politica e avventura, tutto racchiuso in 591 pagine, che scorrono lente ma senza mai stancare,  accompagnando il lettore attraverso indomite avventure e splendidi paesaggi sino al punto che segna la fine della storia. Dispiace quasi, quel punto finale...

A onor del vero, contro Jon Hreggviosson non c'era uno traccio di prova, e nondimeno era stato incriminato, naturalmente. Per inciso, chiunque ne aveva l'opportunità rubava dai capanni dei pescatori  dello Skagi nel corso delle dure primavere: alcuni pesce, altri filo da pesca. 

Jon Hreggviosson è un contadino con l'anima di una romantica canaglia che si arrabatta come può cercando di restare a galla in un paese che attanagliato da carestie e dalla sottomissione danese.  
La Storica Campana di Pingvellir, per ordine di Copenaghen, viene rubata dal boia del re. Ma il boia viene assassinato e la colpa dell'omicidio, per un equivoco viene imputata a Jon Hreggviosson. Una "innocente e divertente" barzelletta sul Re di Danimarca aprirà la lunga strada verso la libertà per Jon. 
Cos'altro può fare il giovane, che tanto santo in verità non lo è, per dimostrare la sua innocenza? La soluzione giusta lui ce l'ha: la fuga!

<<Sei venuto a portarmi sotto la scure, demonio?>> disse. <<Cosa vuole questa femmina?>>
<<Ssst>>, fece la fanciulla, premendosi un dito sulla bocca, e pregò il guardiano di liberare il bifolco.

Il magistrato che accuserà il povero contadino ha una figlia: Snaefriour , "Sole d'Islanda", la quale incrocerà la sua strada con quella di Jon, aiutandolo a provare la sua innocenza. La sua indole di donna tanto bella quanto ribelle, spingerà la ragazza ad architettare la fuga del bifolco, indirizzandolo a chiedere aiuto ad un uomo, un collezionista di antichi testi: Arnas Anaeus, del quale è perdutamente innamorata .
La donna spinge Jon a partire per Copenaghen, alla ricerca di Arnas, pregandolo di ''perorare la tua causa'' su sua esplicita richiesta. Non si sarebbe tirato certo indietro alla richiesta della "bionda donzella dal corpo d'elfo".
E così, ricco della ricchezza che un tallero d'argento può donare, Jon si imbarca su una nave Olandese diretta a Copenaghen...
Con alle calcagna la sentenza di morte emessa dal padre di Snaefriour, Jon arriva in Olanda per poi fuggire in Germania, sempre grazie all'aiuto della donna in preda alle angosce di un amore non ricambiato.

<<Sei ubriaco?>>
<<No>>, rispose il gentiluomo.
<<Per caso cerchi me?>> 
<<No>>
<<Chi allora?>>
<<Mia moglie>>

Nonostante l'amore di Snaefriour per Arnaus, questo matrimonio ''non s'ha da fare'' . Arnaus scopre di essere innamorato solo dei suoi libri e l'unica ambizione alla quale aspira è quella di collezionare tutta la storia letteraria d'Islanda, rifiutando il matrimonio con la bella Snaefriour e concentrandosi solo sulla smaniosa ricerca di antichi e rari volumi. Dal canto sua la povera ragazza, con l'orgoglio e il cuore feriti, deciderà di convolare a nozze con un uomo ricco ma alcolista convinto: Magnus. Un uomo senza arte ne valori, capace di giocarsi tutto quello che possiede, Snaefriour compresa, per un po' di alcol, la quale continuerà, attraverso un lungo peregrinare, la sua missione di compassionevole moglie cercando di tenere in piedi ciò che resta del suo mondo ormai sgretolato...

Vittima di una burocrazia giudiziaria lenta e disinteressata, riuscirà Jon a scagionarsi dalle accuse di omicidio e far salva la testa?
Riuscirà Arnaud a soddisfare la sua ambiziosa ricerca di possedere la più grande Biblioteca della storia d'Islanda?
L'amore del Sole d'Islanda sarà finalmente ricambiato? 

Per saperlo non vi resta che acquistare il libro e catapultarvi nelle epiche avventure di questi improbabili personaggi, spesso eterei e grotteschi, ma capaci di strappare anche dei sorrisi.

La campana d'Islanda non sarà forse il romanzo più facile e breve che avrete letto, io ci ho messo un po' lo confesso, ma sicuramente soddisferà la sete di conoscenza dei lettori più esigenti, approfondendo la storia, troppo poco conosciuta, di un Paese che si è lasciato piegare da un gigante cattivo, aiutato  soprattutto dall'indifferenza sociale dell'epoca, scrupolosamente raccontata dalla penna di Laxness.
Buona lettura,
Tania C.



martedì 23 luglio 2019

INTERVISTA A CLAUDIA RIVA - Presentazione biografia MASSIMO RIVA VIVE Ed. Baldini+Castoldi -


Claudia Riva e Massimo Poggini insieme allo staff della serata -foto personale
Sarzana, 18 luglio 2019 Massimo Riva Vive






Giovedì 18 luglio, si è tenuta a Sarzana, in Piazza De André, la presentazione della biografia Massimo Riva Vive, fortemente voluta e scritta dalla sorella Claudia Riva e dal giornalista musicale Massimo Poggini. 
Claudia con la sua dolcezza e simpatia, ha animato la serata raccontando divertenti aneddoti dell'infanzia a Zocca, cittadina tra i boschi dell'Appennino Modenese che ha dato i natali a Massimo e a Vasco Rossi.
Ho avuto il piacere di partecipare alla presentazione e, grazie alla Casa Editrice Baldini+Castoldi, anche l'onore di conoscere Claudia e Massimo Poggini e di poterli intervistare.
Claudia si è resa subito disponibile, felice di poter raccontare qualcosa in più riguardo al suo amato fratello Massimino che rivive nella profonda dolcezza dei suoi occhi e del suo sorriso contagioso.
Vi lascio questa piccola intervista, fatta dopo la presentazione, accompagnata dalla musica e voce di Massimo, spero vi piaccia e che possa essere di stimolo alla lettura della biografia: la storia di una leggenda del rock italiano che merita di essere conosciuta da tutti.


Con Massimo Poggini, Claudia Riva e la Star della serata: Gina
foto personale



Claudia Riva


Claudia Riva - foto personale -




Buonasera Claudia, grazie per avermi dedicato un po' del tuo tempo e benvenuta su La Valigia del tempo.

D.Scrivere una biografia non è semplice. Scriverla per il proprio fratello scomparso lo è ancor meno. Cosa ha significato, per te e la tua famiglia, mettere a nudo le proprie emozioni oltre che la vita stessa?

R: E' come se fosse stato un viaggio che da un lato parte un po' come se io fossi andata in analisi. Quello che volevo fare veramente era rendere omaggio a Massimo. 
Non ho mai accettato la morte di mio fratello, l'ho trovato io a venticinque anni e mi sono ritrovata in una situazione che era più grande di me. Non  non riuscivo ad accettarla perché ero troppo piccola e troppo innamorata di Massimo per provare e capire un dolore così grande. 
Ci ho messo vent'anni, non due mesi, ad elaborare ed accettarlo, era più forte di me, sapevo che volevo fare qualcosa che potesse tra virgolette "liberarmi". 
A volte pensi di fare le cose per gli altri, ma le fai soprattutto per te stessa. Grazie all'aiuto di chi mi ha aiutata in questi anni con le testimonianze e i ricordi, mi sono  e ci siamo ripresi, da sola non ce l'avrei mai fatta. Sapevo che facendo qualcosa per rendere omaggio a mio fratello sarebbe stato un aiuto anche per me e la mia famiglia.

D. Una tua frase mi ha particolarmente colpita. Vostra madre scopre che Massimo fa uso di eroina e ti chiama chiedendoti di andare subito a casa. Arrivata in casa di Massimo quasi lo aggredisci: 
"Vuoi morire? Perché se vuoi morire io lo rispetto. Ma se vuoi vivere smettila subito".
Si può, per amore del proprio sangue , rispettare ed accettare la scelta di lasciarsi morire?

R. Totalmente, non nella maturità dei miei venticinque anni, almeno io a venticinque anni non ero così matura, non so se lo eri tu però... assolutamente si, gli ho fatto quella domanda perché quando ami veramente una persona vuoi che quella persona faccia quello che vuole, quindi gli ho chiesto quello perché io ero e sono ... (la voce e lo sguardo di Claudia sono  rotti dalla commozione) io sono totalmente amante di mio fratello nel senso proprio mentale. Lo farei anche per un uomo: se ha deciso di fare una determinata scelta, io lo accompagno. 
E' un po' pesante da accettare, lo so ...

D. Zocca, piccola cittadina tra i calanchi modenesi, croce e delizia della combriccola del Blasco, oggi meta di pellegrinaggio di innumerevoli fans, come vive il quotidiano senza Massimo, l'uomo Massimo?

R. Zocca lo ricorda. E' un paese ostile, come ho detto io, in salita e con le rughe in faccia però è un paese schietto dove i cittadini amano  i propri boschi, amano e le proprie castagne, le proprie strade e i propri borghi ed amano i propri cittadini. Amano quindi Vasco da Morire e Massimo da morire. 
Da ragazzina io non mi sentivo amata, mi stava stretta Zocca, mi giudicavano in ogni cosa che facevo o facevamo con Massimo. Oggi, invece, mi sento amata. Prima no.

D. Ultima domanda, per sdrammatizzare un po'... Il Sacerdote che vi ha definito "Demonio", è poi diventato Esorcista oppure si è unito all'onda dei migliaia di fans che hanno seguito e continuano a seguire le vostre vicende?

R. - Claudia sorride- Io penso che fosse limitato dai suoi stessi limiti. Poi alla fine ci voleva bene, sai com'è alla fine era una di quelle persone che non riusciva a vedere più in la dei propri limiti. Ci ha fatto veramente uno scherzo brutto perché comunque  ha fatto una cosa un po' pesante per una bambina. Non è piacevole, infatti mia madre, l'ho detto stasera e lo dico sempre, mia madre che è una cattolica osservante, gli ha fatto un @@@ così. Gli ha detto :" Non t'azzardare mai più a dire una roba del genere a dei ragazzini, dovresti vergognarti!" 
Forse era preoccupato per me, vogliamo trovare un lato positivo? Ecco, voleva proteggermi. Il lato vero è che aveva dei limiti, di una pesantezza inaudita. Andai proprio in crisi, pensavo di essere sbagliata io... 
(Per chi se lo stesse chiedendo, il Sacerdote non è più in vita)

Massimo Poggini


Massimo Poggini - foto personale -


Buonasera Massimo, grazie per aver accettato questa veloce intervista e benvenuto su La Valigia del tempo.


D. In ambito musicale quanto pensi abbia pesato, nella vita di Massimo, essere per tutti non solo una stella che brillava di luce propria, ma anche una persona che viveva nel cono di luce proiettata dalla Star Vasco?

R. Sicuramente ha contato molto, anche se a mio avviso non è stato solo e semplicemente quello. Massimo era un grande musicista, ma la cosa pazzesca è che lui all'inizio,  in realtà quando ha fatto i primi concerti non sapeva suonare. Lui salta sul palco da una parte all'altra facendo delle grandi scene. C'era un piccolo particolare: non aveva la chitarra attaccata agli amplificatori, quindi poteva fare quello che voleva. Dopo un po' di tempo, hanno cominciato ad attaccargli la chitarra agli amplificatori, ma col volume molto basso consentendogli comunque libertà di azione. Con gli anni, a detta non mia ma dei molti musicisti che ho incontrato e intervistato, Massimo è diventato uno dei migliori chitarristi ritmici italiani, e sottolineo ritmico, tanto è vero che ancora oggi, nei concerti che fa Vasco, vengono usati per la chitarra ritmica, gli arrangiamenti di Massimo 20, 25 anni fa. Il che vuol dire che all'epoca era già molto ma molto avanti. Quindi Vasco ha contato tantissimo per lui, ma Massimo ha contato tanto per Vasco.

D. Massimo e Vasco. Dopo aver tentato la traversata in solitaria, Massimo, tornato a suonare con Vasco, trova la chiave vincente con Vivere, Stupendo, Vivere una favola. Cosa aveva Vasco che mancava a Massimo per continuare da solo? Sarebbe riuscito lo stesso, il Blasco, a diventare ciò che è oggi senza Massimo?

R. Si, Vasco sarebbe diventato Vasco comunque. - risponde sorridendo - 
Forse sarebbe diventato un Vasco leggermente diverso, forse un pochettino meno rock. 
Ecco quello che ha portato Massimo a Vasco è stata l'anima rock. 
Massimo era un musicista assolutamente rock fin da subito, da quando ha cominciato a 16 anni. Lui già aveva una concezione della musica rock che Vasco non aveva. 
Quello che aveva Vasco era "cantautorialità", se pensiamo alle sue prime canzoni: Jenny, Silvia, molto belle ed apprezzate ancora oggi a quarant'anni di distanza. Però canzoni da cantautore. Mentre l'anima rock, col tempo,  gliel'hanno data Massimo riva e i ragazzi della Steve Rogers Band.

Ringrazio Claudia e Massimo che mi hanno concesso un po' del loro tempo prezioso e fatto conoscere uno spaccato privato ed intimo di due leggende della musica italiana. Claudia e Massimo hanno in mente di comporre un'altra biografia su Massimo, per lo più fotografica. Spero portino a termine questa nuova idea, sicuramente apprezzata e imperdibile per noi fans.
Vi aspettiamo presto, magari nuovamente su La Valigia del Tempo ...
Se per caso ve la foste persa, vi lascio il link della mia recensione di Massimo Riva Vive

https://valigiadeltempo.blogspot.com/2019/07/recensione-di-massimo-riva-vive-di.html

Buona lettura, 
Tania C.

venerdì 19 luglio 2019

Recensione di MASSIMO RIVA VIVE di Claudia Riva e Massimo Poggini Ed. BALDINI+CASTOLDI





MASSIMO RIVA VIVE

Claudia Riva e Massimo Poggini
Ed. Baldini+Castoldi 
Data uscita 02 maggio 2019
Collana Le Boe
Pag. 270
Brossura illustrato
€ 17,50
Ebook disponibile

CONOSCIAMO GLI AUTORI

Claudia Riva - foto dal web -


Claudia Riva, 1974, è la sorella minore dei  fratelli fratelli Riva: Giuliano e Massimo. Lavora come produttore esecutivo per la televisione, ma è anche una scrittrice. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo un libro per bambini, La mongolfiera di nuvola (con Annalisa Serino) e due romanzi Il condominio e Lenti al contatto.


MASSIMO POGGINI

Massimo Poggini - foto dal web -

Affermato e noto giornalista del mondo musicale, Massimo Poggini, classe 1955, dalla seconda metà degli anni Settanta, ha intervistato i maggiori esponenti del panorama musicale italiano e numerose star internazionali. Tra le sue pubblicazioni annovera i best seller 
Vasco Rossi, una vita spericolata;
Liga. La biografia; 
I nostri anni senza fiato (biografia ufficiale dei  Pooh);
Questa sera rock'n'roll (con Maurizio Solieri);
Notti piene di stelle (con Fausto Leali);
Testa di basso (con Saturnino);
Lorenzo. Il cielo sopra gli stadi.
Ha fondato ed è direttore del sito https://www.spettakolo.it/

TRAMA

"Vasco aveva già sentito parlare di Massimo, non perché fosse figlio di Giovanni e della Laura, amici di sua madre, amici di suo padre, amici di sua zia, di sua cugina e di chi sa altro, ma perché in paese si vociferava che fosse un bambino strano, solitario, che non andava all'asilo, che quando era a casa amava fare soprattutto una cosa, voleva fare sempre quella: ascoltare la musica."

A vent'anni dalla sua morte, Massimo Riva continua a far par battere i cuori di chi non ha mai smesso di amarlo: da quel maledetto 31 maggio 199, Vasco Rossi non ha mai fatto un concerto senza ricordare l'amico. Durante lo Show dei record, a Modena Park il 1 luglio 2017, la sua chitarra mitica, la Gibson SG, acquistata da Massimo a rate dall'amico Maurizio  Solieri e usata in tutti i concerti, è stata suonata proprio su quel palco, come tributo fisico allo scricciolo energico e trascinatore che si era spento a soli 36 anni. Ma vissuti <<al massimo>>.
Sguardo spiritato, look sdrucito, capelli lunghi, magrissimo ma con un sorriso beffardo, sigaretta e birra sempre in mano: lui è Massimo Riva, il ragazzo che ogni tanto ne combinava una un po' più grossa del solito e Vasco lo "licenziava" per poi perdonarlo poco dopo, con fare paterno. 
Prima con la Steve Rogers Band, poi da solo, cominciò l'avventura come solista, collaborando con mostri sacri della musica italiana del calibro di Enrico Ruggeri, Elio e le Storie Tese, Sabrina Salerno, che hanno rilasciato testimonianze tra le pagine di questa biografia. 
Questa biografia è una storia senza veli, perché se fosse stato Massimo a scriverla, l'avrebbe voluta esattamente così, schietta e genuina, plasmata dalla musica rock che tanto amava.

IMPRESSIONI


Massimo Riva vive - Sarzana, 18 luglio 2019 - foto personale



Ci sono persone che empatizzano subito, senza che ci sia una spiegazione. Con Massimo è capitato così: fai una battuta e capisci che il tuo umorismo viaggia in sintonia con chi hai di fronte. Poi ti perdi di vista e ti ritrovi, la vita è fatta così.
(Enrico Ruggeri)

Con una struggente prefazione di Enrico Ruggeri si apre la biografia di Massimo Riva. Un nome che non può non suscitare emozioni forti negli animi di chi continua ad amarlo dopo venti anni dalla sua morte. Un nome, quello di "Massimino" che è leggenda nel mondo del rock italiano, un "cinno" di campagna che, insieme ad un gruppetto di compaesani molto più grandi di lui, si è costruito da solo, riversando tutte le sue energie in quella che era la sua passione più grande: la musica, il rock. 
Questa biografia, scritta a due mani da Claudia Riva, sorella di Massimo e dal giornalista Massimo Poggini, mi è arrivata a sorpresa, offerta da Baldini+Castoldi che ringrazio per la possibilità che mi ha dato. 
Una sorpresa la è stata veramente! Di solito leggo biografie che trattano la violenza sulle donne,  a parte quella di Enrico Ruggeri, che amo e stimo dai tempi dei mitici "Lozza bianchi", non mi ero mai avvicinata al mondo della musica. 
Ho sempre seguito Vasco, quasi dagli albori, passando le mie estati e miei inverni nei monti e tra i calanchi dell'Appennino Bolognese-Modenese, sfinendo i miei, ogni martedì, per portarmi da Lizzano in Belvedere, al mercato settimanale, in Via del Mercato a Zocca che non si sa mai, avrei potuto incontrare la combriccola... 
E' stata quindi una piacevole sorpresa scoprire la storia di Massimino, ritrovandomi nell'intimità dei luoghi nei quali sono cresciuta, dove sparavo la radio a palla stonando le parole a pieni polmoni insieme alla mia amica,  quando passavano "Alzati la gonna" o "Vado al massimo". 
Ho divorato la biografia con la curiosità che hanno i bambini, quella dei "perché", domandati all'infinito a chiunque gli presti attenzione. 
Le risposte ai miei perché le ho trovate tra i ricordi di Claudia e Poggini, nelle testimonianze di Vasco, di Ruggeri e di Curreri, negli aneddoti della Steve Rogers Band e tra le belle foto che Claudia ha inserito nel testo. Foto vere, direttamente dall'album di famiglia. Foto mai apparse sulla carta patinata, che suscitano un'emozione dolce, quasi una confidenza da proteggere e far tesoro.

L'equazione fu semplice: Massimo lavora per Vasco, quindi Vasco e Massimo sono il demonio. Di conseguenza, io e Giuliano eravamo i fratelli del demonio.

Giuliano, Massimo e Claudia sono i tre fratelli Riva, di Zocca, piccola e accogliente città ai piedi del Frignano, centro di snodo tra Modena, Bologna e Pistoia, incastonata tra i tornanti che si inerpicano dalla campagna alle pendici dell'Appennino Modenese. Una cittadina che vive principalmente di agricoltura e allevamento, dove sin da piccoli, i bambini sono abituati a lavorare, a cavarsela da se, in modo da diventare adulti indipendenti. 
Giuliano è il fratello maggiore, quello forse più saggio, di poche parole, ma sempre al momento giusto. 
Massimo, il fratello di mezzo, è il bambino prodigio, quello che impara a leggere a nemmeno quattro anni, definito "strano" dai compaesani, magrolino, capelli lunghi e magliette strappate. Quello che, pur essendo poco più che un bambino, frequenta un altro "strano" ragazzo dai sottili capelli biondi e splendidi occhi azzurri, amico di famiglia  e molto più grande di lui, che inizia a muovere i primi passi nel mondo della musica: Vasco Rossi.
Claudia, terzogenita, è la piccolina di casa, innamorata e ricambiata, dei fratelli, soprattutto di Massimo, il fratellone tutto nervi e energia, che frequenta i ragazzi giusti del paese e che segue come un'ombra sin da quando impara a camminare.
L'amore che li unisce è immenso, ci sono sempre l'uno per l'altra, si proteggono, litigano, ma alla fine tutto si scioglie in un abbraccio tenero e amorevole che solo i fratelli sanno darsi. 
Come in tutte le piccole cittadine di montagna, tutti conoscono tutti e tutti sanno tutto di tutti, dividendosi tra ammiratori di Vasco, il quale aveva appena fondato una piccola radio libera, la prima in Italia, "Punto Radio", dove, per "sfinimento" lavorava anche Massimo (in qualità di tuttofare e dj), e in "haters", quelli che vedevano il male nella musica rock suonata dai ragazzi. Tra gli haters, il parroco del paese, che additava Vasco e Massimo come il "demonio", di riflesso anche Claudia e Giuliano solo perché erano i fratelli. Se a Claudia questo poteva all'inizio dar fastidio, tanto da farla sentire quasi "sporca",  l'amore della famiglia e la grinta della madre, cattolica praticante che rimbrottò il sacerdote, la spinse a ragionare con la propria testa,  andando avanti per la sua strada, incurante dei giudizi altrui. Per Massimino e Vasco invece, spiriti ribelli e da sempre incuranti dei giudizi di un prete di campagna, tutto questo rumore servì solo da carburante per fare sempre di più e meglio, coinvolgendo non solo la città, ma sconfinando addirittura fuori regione. 
Massimo diventava ogni giorno più bravo col mix e con la chitarra, convincendo Vasco a dargli nuove possibilità ed iniziando ad ispirare anche alcune delle sue più belle canzoni, già forte del giro di accordi di Albachiara.

Racconta Vasco: Ricordo che una volta era da più di mezz'ora che temporeggiavo aspettando che Guido mi facesse segno di poter salire sul palco, ma quel segno non arrivava. La gente si stava innervosendo. Allora mandai fuori Massimo e gli dissi: ''Vai e fai un assolo di batteria''. Lui non aveva mai fatto un assolo di batteria, però uscì e ne fece uno della madonna. Vedi, Massimo per me era quello.

Erano quelli gli anni di Sanremo e "Vita spericolata", anni che, nonostante il flop delle performance al Festival, introdussero Vasco nel panorama musicale del rock italiano. Erano gli anni in cui Vasco, inseguendo il sogno di essere la voce solista di un gruppo, aveva fondato una band: la Steve Rogers Band, nella quale Massimo suonava e cantava. Erano gli anni in cui, come accade anche ai più grandi gruppi musicali, qualcuno tenta di camminare con le proprie gambe, staccandosi dal gruppo. Gli anni visti quasi come  un tradimento, quando la Steve Rogers Band tentò il volo in solitaria lasciando Vasco, per poi tornare, come una meteora durata il tempo di uno scintillio, a testa bassa, sotto l'ala protettrice di mamma chioccia Vasco.
Dal canto suo, il buon Vasco, li accolse di nuovo. Tutti. Accolse anche Massimo, che aveva cercato di intraprendere la carriera da solista, se pur breve,  collaborando con Curreri, Ruggeri, Elio e le Storie Tese e Sabrina Salerno,  confermando la sua crescita musicale e di talent scout. Massimo aveva visto l'anima rock di Sabrina Salerno all'epoca ragazza Yeah-yeah, e sperava di farne la nuova icona rock italiana. Ma i tempi non erano ancora maturi per Sabrina e Massimo dovette, suo malgrado, rinunciare al suo sogno. 
La prova era stata dura per Massimo, ma tornato con Vasco diede il meglio di se, aiutandolo a comporre nuovi brani, divenuti mostri sacri, nel firmamento musicale del Blasco: Vivere e Stupendo.
Vasco ha sempre creduto in Massimo, aveva visto le potenzialità di quello scricciolo allampanato e caparbio e, nonostante i dieci anni di differenza che li divideva, non ha mai smesso di volerlo accanto a se, lasciandogli tutto lo spazio di cui aveva bisogno per scaricare la sua energia e tramutarla in accordi e parole vincenti. Nonostante la giovane età, grazie al suo carisma Massimo era l'unico che poteva permettersi di criticare, promuovere o "bocciare" le scelte di Vasco, trasformandole nella carta vincente.
Tornando con Vasco la strada fu tutta in discesa, come un Re Mida musicale, ogni tappa dei concerti diventava "oro", ogni nota, ogni accordo, consacrava Vasco e Massimo tra i mostri sacri del firmamento rock. 
Con il successo arrivò per Massimo anche la conoscenza delle droghe pesanti. Già in passato aveva fatto uso di qualche sostanza, ma la volontà di andare avanti era più forte, riuscendo sempre a fugare la dipendenza. Aiutandosi anche grazie alla cura della propria salute. Si è ipotizzato che la morte di Massimo fosse avvenuta proprio perché avesse il sangue troppo pulito. 
Il 31 maggio 1999, data che nessuno dimenticherà, Massimo fu ritrovato disteso a terra, ormai cadavere, nella sua casa a Bologna, proprio da Claudia, all'epoca venticinquenne ancora acerba e spaventata. La causa era forte: morto per overdose. 
Probabilmente per overdose di una droga chiamata rock...
Si dice che "Morto il Mito comincia la Leggenda"
queste parole ben descrivono  il Mito che Massimo è riuscito a creare giorno dopo giorno quando, con la sua chitarra presa in prestito per il primo concerto a Bologna, è salito sul palco dando vita ad un rock suonato con il tempo dell'anima e gli accordi del cuore.
Il suo nome verrà ricordato da Vasco in ogni concerto, ma quello di Modena Park, datato 2017, vedrà la consacrazione della Leggenda Massimo: la sua storica chitarra GIBSON SG verrà suonata durante il concerto.  Un piccolo gesto, una grande sorpresa  ed un bellissimo regalo per i fans;
il modo più naturale ed emozionante per onorare la memoria di Massimo Riva, il ragazzo che ha consacrato l'anima al rock... 
Di Massimo ci sarebbero tante, troppe cose da raccontare. Lascio a voi, in modo particolare a chi non lo conoscesse, il piacere di scoprirlo leggendo la biografia che Claudia, con l'aiuto di Massimo Poggini, ha scritto come una delle più belle dichiarazioni d'amore che si possano fare alla persona amata...


Claudia Riva e Massimo Poggini - video personale -

Grazie a Baldini+Castoldi ho avuto l'onore di conoscere Claudia, una donna non solo bella, ma anche dolce, disponibile e di un'umiltà disarmante. 
Durante la presentazione della biografia, tenutasi ieri sera 18 luglio, ho avuto l'onore di conoscerla e parlare con lei guardandola negli occhi. 
Ne è nata una piccola intervista che posterò in questi giorni, intanto vi invito alla lettura di Massimo Riva Vive, per conoscere la storia di questo "ragazzo di campagna" con l'anima rock e la dolce Claudia che di Massimo ha gli occhi, il sorriso e la bontà d'animo.

Vi lascio qui sotto il link, pubblicato da https://www.youtube.com/channel/UCL3Wu97qEy8UVXnhrXTl78Q , di una emozionante interpretazione di Vivere , un live eseguito una sola volta in tutta la carriera musicale. Una chicca da non perdere.

https://youtu.be/2CfDAwj6BAk

W Massimo Riva!

Buona lettura, 
Tania C.

lunedì 15 luglio 2019

Recensione di NEL MIRINO I MIEI GIORNI IN DIFESA DI KOBANE di Azad Cudi Edizioni Longanesi



NEL MIRINO
Azad Cudi
Ed. Longanesi 2019
Brossura
Pag. 304
Collana Nuovo Cammeo - Saggistica -
€ 19,00
Ebook disponibile


TRAMA

Azad Cudi è un ragazzo è un ragazzo curdo-iraniano che nel 2002 ha solo diciannove anni che si ritrova costretto a servire l'Esercito Iraniano impegnato a combattere una guerra spietata contro i curdi. Non volendo combattere contro i propri fratelli curdi Azad diserta fuggendo nel Regno Unito dove, dopo aver chiesto asilo politico, imparerà l'inglese ed otterrà la cittadinanza. Tornerà in Medio Oriente come volontario, in aiuto delle Missioni Umanitarie durante l'esplosione della guerra in Siria. 
Durante l'autunno del 2014, dopo appena ventun giorni di addestramento, l'esercito curdo lo ingaggerà come tiratore scelto, nella difesa della sua città, Kobane, sita nella regione autonoma del Rojava, finita sotto il dominio dell'Isis. Ma i volontari che oppongono resistenza all'assedio dell'Isis lottano una battaglia crudele e impari. I volontari, tra i quali sono arruolate in prima linea anche molte donne, sono solo duemila, contro più di dodicimila Jahdisti. Bisogna abbatterli, uno a uno.
Con questa testimonianza toccante, Azad Cudi, racconta dalle viscere di sanguinose battaglie dietro le linee del fronte, senza censure, la storica disfatta dell'Isis su Kobane. In un alternarsi di riflessioni personali e politiche, Cudi si interroga su temi sempiterni come il prezzo per la vittoria da pagare in vite umane, gli effetti psico-fisici di chi ha combattuto una  guerra, il dolore per la perdita di soldati e volontari il cui sacrificio è oggi una speranza per il mondo, quella di scongiurare una terribile minaccia.

IMPRESSIONI

Il mondo militare mi ha sempre affascinata, vuoi perché ci sono cresciuta e lo vivo, vuoi perché, anche se ipoteticamente in tempi di pace, stiamo vivendo un periodo in cui il ''militare'' fa parte del quotidiano. Non è difficile, nelle nostre città, trovare postazioni militari con giovani armati, a tutela della sicurezza cittadina e dei beni culturali, ma in particolar modo è attuale scoprire quanti ragazzi giovanissimi, ancora oggi perdono la vita per difendere la democrazia e la pace mondiale. La mia curiosità quindi, con la pubblicazione di questo saggio, era talmente forte che chiesi a Longanesi di poterne avere una copia da poter recensire e, gentilmente, Benedetta mi inviò l'ebook. Per questo la ringrazio tantissimo. 
L'ho letto d'un fiato, immedesimata in un mondo fatto di polvere, sangue e armi, ma anche di amore verso i propri fratelli e la libertà per la propria terra. Da difendere anche con la morte. 

Gli stranieri trovano sorprendente che all'interno del movimento di resistenza curdo donne e uomini siano pari in tutto, guerra compresa.

Nel 2011, con lo scoppio della guerra civile in Siria, i Curdi, ribellandosi al dominio dell'Isis, fondarono a Kobane,  la regione autonoma del Rojava, lembo di terra del Kurdistan siriano e piccola oasi democratica di pace ed eguaglianza, dove uomini e donne vivevano in parità dei sessi. Il folle delirio dell'Isis innescò una spietata battaglia contro la democraticità e soprattutto contro l'eguaglianza dei diritti che avevano le donne, da sempre considerate oggetti senza voce e senza diritti.
Sul fronte l'Isis schierò un esercito di oltre dodicimila uomini, armati con le armi più moderne e potenti, mentre il popolo curdo attuò una linea di difesa formata da uomini e donne ardite, con la volontà di difendere i loro diritti e la loro libertà. Un esercito insignificante, agli occhi dei jiahdisti, solo duemilacinquecento, tra volontari e tiratori scelti, a contrastare un oceano di morte e distruzione, oltretutto dotati di un arsenale di mezzo secolo prima.  La sconfitta sembrava quasi un gioco veloce e senza gara. Ma non avevano fatto i conti con la forza dell'amore di un popolo pronto a difendere la propria terra.
Nelle unità di protezione curde, per arruolarsi volontariamente bisognava avere almeno diciotto anni, essere capaci, svegli e utili ai compagni: poco importava il sesso di un soldato, gli ideali democratici erano gli stessi. Uomini e donne avrebbero poi combattuto insieme ma in unità separate, combattendo, morendo e uccidendo senza distinzioni. Questa parità meravigliò l'Isis, fomentando ancor di più la voglia di potere e distruzione verso i curdi, infedeli e soprattutto col potere femminile. Di contro, apprendere quanto potessero essere meravigliati e sconvolti i nemici, diede la certezza ai curdi di essere il giusto esercito per sconfiggerli. 
Tra i cecchini scelti dell'esercito curdo, poco più che diciannovenne, si arruolò Azad Cudi, rientrato volontariamente a Kobane dopo un periodo passato nel Regno Unito per fuggire all'arruolamento obbligatorio imposto dall'Esercito Iraniano.

Nel nostro movimento , diamo per scontato che ognuno sappia qual è la cosa giusta da fare. Io sapevo che il mio compito era continuare a combattere, perché c'era bisogno della mia esperienza.

Durante i due anni di assedio, dal 2014 al 2016, Azad, diventato un cecchino esperto e preciso, continuerà a porsi,come un'ossessione, due domande: "Come li attaccheremo? Come ci attaccheranno?"
Privato del sonno, del cibo, tanto da portarlo a pesare quanto un bambino di tredici anni, Azad, dietro al suo compagno fedele e preciso, il fucile, continuerà a tenere nel mirino il nemico sino a consumarsi gli occhi. Mentre amici e compagni continuavano a perire in battaglia, il suo compito principale e indesiderato diventò quello di sopravvivere per continuare a far vivere la Memoria di chi si sacrificò per la libertà.
All'inizio del 2017 il piccolo esercito curdo, senza denaro e attrezzature di prima necessità quali radio e binocoli e con armi datate, sei mesi dopo l'avanzata a Kobane, riuscì a fermare il plotone dei dodicimila dell'Isis. Tutti i jihadisti furono cacciati dal Rojava, facendo collassare il glorioso sogno di un nuovo Califfato dell'Isis, ridotto oramai a sparute bandierine sulle cartine, con un tragico bollettino di morte di tutti i volontari stranieri arruolatisi al grido di "Allah Akbar".
Quei duemilacinquecento ragazzi riuscirono in tale impresa grazie anche alla cocciutaggine dei contadini di Kobane. Quello che li univa era l'amore per le proprie radici, per quella terra arsa dal sole ma che proprio grazie al duro lavoro dei contadini, li aveva ripagati con i suoi preziosi frutti, facendoli convivere in pace armonia coi loro fratelli nonostante il credo differente.

Nessuno voleva morire, ma ci avevano costretto alla guerra e a volte il suicidio in battaglia sembrava essere la nostra unica opzione. Tutti sapevamo che avremmo dovuto affrontare ferite, orrore e morte, ed eravamo pronti a condividere tutto questo con i nostri compagni. Citando un detto curdo, affermavamo di prepararci a quel momento con <<fiori selvatici e menta>>.

Quando si entra in guerra per la difesa dei propri diritti, bisogna essere pronti a tutto e con qualsiasi mezzo e Azad Cudi ci racconta  la guerra del suo popolo fatta anche di piccoli espedienti per salvarsi la vita o per uccidere quanti più nemici possibile. Di uomini ne sono stati uccisi, la conta era straziante e impensabile, per un cecchino sarebbe stato come descrivere l'odio provato da un uomo debole. Ma sapeva  che spesso le azioni estreme erano l'unica via di salvezza. Qualsiasi soldato capace sarebbe stato in grado di imparare, nel giro di un'ora, i primi rudimenti per diventare un tiratore scelto. Ogni fucile in dotazione possiede una sorta di carattere e potenza propri e un bravo tiratore, deve imparare a conoscere il ''temperamento'' di ogni arma tra le sue mani. Ma forse, più importante che saper sparare, era il saper osservare il comportamento del nemico, valutandolo con uno sguardo.  Il modo di camminare, il maneggio di un'arma, la troppa sicurezza o la paura, avrebbero potuto essere indici di un eventuale errore e avrebbero permesso alla squadra di Azad di attaccare la postazione del nemico uscendone vincitori e col minor danno possibile.
Attraverso i suoi racconti, con un linguaggio spesso crudo e denso di emozioni, Cudi ci fa vivere non solo i suoi cento giorni in prima linea dietro ad un fucile, ma spiega anche cosa significa combattere contro il regime distruttivo  e dittatoriale del fanatismo islamico che, in nome dello sterminio degli "infedeli" opprime, violenta e schiavizza intere popolazioni mirando al monopolizzare la terra intera.
Una cronaca di guerra e un messaggio profondo di pace, da chi quella guerra l'ha vissuta e combattuta. Le trecento pagine di questo saggio scorrono veloci, nonostante la crudezza delle immagini e la passionalità di un popolo, quello curdo, che come il piccolo Davide  ha saputo lottare democraticamente e con ogni mezzo contro Golia, il gigante despota  il quale, in preda al delirio di onnipotenza, voleva schiacciarlo e distruggerlo.
Mi permetto di consigliare questo saggio non solo agli appassionati di storia militare, ma anche e soprattutto ai più giovani, il futuro della nostra Nazione e della Terra, per capire cosa c'è al di la delle immagini di morte e odio che ci propongono i media. Perché dietro ad ogni guerra, per quanto ingiusta possa essere, ci sono uomini veri, con un forte amore per la vita e per le proprie radici, pronti a tutto pur di lasciare un mondo nuovo e pulito alle generazioni future.
Buona lettura,
Tania C.

domenica 7 luglio 2019

Recensione de PRIMA CHE TE LO DICANO ALTRI di Marino Magliani Ed. Chiarelettere






PRIMA CHE TE LO DICANO ALTRI

Marino Magliani
Ed. Chiarelettere 2018
Pag. 330
Copertina flessibile
€ 17,50
Ebook disponibile


CONOSCIAMO L'AUTORE

Marino Magliani -foto dal web-



Marino Magliano è un autore italiano, ligure. Nato nel 1960 a Dolcedo, provincia di Imperia, vive sulla costa Olandese.
Tra le sue prime pubblicazioni, pubblicate anche in altre lingue:
per Philobiblon 2003,  L'estate dopo Marengo;
per Sironi 2006, Quattro giorni per non morire;
per Sironi 2007, Il collezionista di tempo;
per Longanesi  2008, Quella notte a Dolcedo;
per Longanesi  2009, La tana degli alberibelli, col quale vince il Premio Frontiere-Biamonti, Pagine sulla Liguria;
per Amos editore 2014, Soggiorno a Zeewijk;
per Exorma 2017, L'esilio dei moscerini danzanti giapponesi.
Nel 2018, per Chiarelettere pubblica Prima che te lo dicano altri, classificandosi tra i finalisti  dell'edizione 2019 del  Premio Bancarella di Pontremoli.


TRAMA

Nell'entroterra della frontiera ligure, tra terrazze rocciose arse dal sole e dal sale di un mare che non si vede nemmeno per sbaglio ma c'è, Leo Vialetti, un bambino  abitante nella Val di Prino, figlio di un padre sconosciuto, nel periodo in cui il boom economico era arrivato ovunque dimenticandosi della sua terra, si ritrova a crescere troppo in fretta. Durante quella che si potrebbe definire "l'ultima estate", il periodo di passaggio dall'infanzia all'adolescenza, Livio stringe amicizia con l'unica persona che sembra voler prendersi cura di lui. Un "foresto", per dirla alla ligure, un Argentino: Raul Porti, l'uomo che, prima di sparire all'improvviso, gli darà ripetizioni scolastiche, insegnandogli il rispetto, l'amore e la cura per quella terra così difficile da rendere fertile.
Leo comprerà all'asta la Villa di Raoul, ma ciò che scoprirà lo porterà a soffocare un amore che stava per sbocciare per mettersi alla ricerca di Raoul Porti.
Lasciata l'Italia inizierà  il suo salto nel buio in Argentina, alla ricerca di dove e come sia finito l'uomo più importante della sua vita, la figura più vicina ad un padre che abbia mai conosciuto. Nel bel mezzo del periodo più turbolento del Sudamerica del Novecento, quello dei desaparecidos, grazie alla lingua affilata e lirica di Magliani, conosceremo una storia di formazione dura, senza sconti riguardo alla nostra storia recente, ma ricca di un affetto che svalica sentenze e confini spaziotemporali per restituirci quella che è l'epicità per eccellenza dell'avventura: la ricerca delle proprie origini.


IMPRESSIONI

Non conoscevo Marino Magliani, non avevo ancora sentito parlare di questo testo ma, non appena ho saputo che era arrivato in finale al Bancarella, ho deciso che avrei dovuto leggerlo. In parte perché, come ogni anno, sarò a Pontremoli a fare il tifo per il mio finalista preferito, in parte perché, da ligure, volevo conoscere questo autore e questa storia crudamente passionale e travagliata. Ho chiesto a Chiarelettere di poterlo recensire e, come sempre attenti e disponibili, grazie a Tommaso Gobbi, ne ho ricevuto una copia omaggio.
Leggere un autore nuovo è sempre emozionante, come tentare la sorte ad una lotteria dove si vince sempre. Un salto nel buio, il mio, avventurarmi in una nuova storia raccontata dalla penna di un autore che non conosco. Ma ogni storia porta con se un premio speciale: farci entrare in mondi nuovi o vedere con gli occhi della meraviglia mondi che ogni giorno stanno sotto i nostri occhi. Con la speranza di vincere anche questa volta, in fronte al Mar Ligure, ho letto con curiosità questo romanzo, per me e per voi.



Val Prino - foto dal web -


"Non che a uno come Leo dispiacesse individuare nuove aree di espansione, in fin dei conti quelli all'ambiente erano i danni minori, cose che lo lasciavano indifferente, ma se ci pensava era perché la trasformazione della valle era iniziata proprio ai tempi di villa Porti, quell'estate, esattamente cinquant'anni prima."

Anni settanta, Val Prino,  Liguria di confine. Leo Vialetti è un bambino introverso. Cresciuto dalla madre in povertà, non è orfano di padre, solo non si sa chi sia. E questo lo rende un bambino  diverso, vittima della derisione e pregiudizi degli abitanti del suo paese. Si chiude in se stesso, va a scuola senza risultati, è bocciato all'esame elementare. Una vita "vuota" quella di Leo. Ma tutto sta per cambiare, l'estate in cui Leo cresce, sta per diventare un adolescente, un uomo, l'argentino Raul Porti, che durante l'estate del '1974  si prenderà cura di lui aiutandolo con la scuola ma, soprattutto gli insegnerà l'amore per la sua Liguria, terra selvaggia e aspra. L'uomo, se pur per un breve periodo, aiuterà il piccolo Leo a studiare l'italiano, così difficile per lui distinguerlo dal dialetto, prendendo quasi volto e figura di quel padre che non ha mai conosciuto.  

<<Che differenza c'è tra frutta e verdura?>>
Leo vorrebbe sbuffare. Pensa: cominciamo bene... poi basterebbe dire che c'entra quella cosa della sete: la frutta toglie la sete, la verdura la fame.
<<Te lo dico io? Si chiama frutta tutto quello che viene dagli alberi e verdura quel che nasce in terra>>

Il tempo passa veloce quell'estate, tra una lezione di italiano e qualche nozione di agricoltura, Leo è orgoglioso di avere al suo fianco Raul e il suo legame si rafforza sempre di più. Nessuno mai, prima di allora, aveva aiutato o considerato quel bambino povero e di padre ignoto, "sensa paie" come lo etichettavano gli abitanti del suo paese, che parlava in dialetto e non aveva superato la seconda elementare . L'autunno arriva presto e con lui anche la partenza per l'Argentina di Raul. L'uomo deve tornare in Patria per seguire alcune vendite di terreni. In Liguria lascia "orfano" il piccolo Leo e ''Villa Porti'', quella che era stata la sua casa.
Con flashback che spaziano dal 1974 ad un futuro prossimo datato nel 2024, mezzo secolo dopo quell'estate, Villa Porti viene messa in vendita. 
La Villa, che versa oramai in condizioni deleterie, è stata costruita su un terreno cedevole e sta scivolando verso la valle: dal momento che il padrone risulta scomparso  da cinquanta anni, viene messa all'asta dal Comune. 

<<Dimmi almeno perché me lo hai detto.>> le aveva chiesto.
<<Prima che te lo dicano altri.>>
Già, era così, non poteva permetterlo.

Leo, oramai sulla soglia dei sessanta, professione bracconiere burbero e taciturno, innestatore seriale e produttore di olive, vende tutto quello che possiede per comprarla. Ci riesce Leo, Villa Porti, la casa che in quella lontana estate è stata un po' anche la sua casa, finalmente gli appartiene. Può ristrutturarla e finalmente, scrutando nel cuore delle sue stanze alla ricerca di indizi che serviranno a chiarire un dubbio che lo sta logorando da troppi anni, potrà mettersi sulle tracce di Raul,  dato per morto già nel 1980. 



Pampa Argentina - foto personale -

Si diceva: <<Sarà così quando sarai laggiù, il paese continuerà a esserci anche senza di te. Sarai scomparso>>

Inizia così la seconda parte del romanzo, quella più forte e struggente. Dopo uno scalo in Spagna, Leo è pronto a sorvolare l'Oceano per sbarcare a Buenos Aires, in Argentina, alla ricerca di Raul, scomparso misteriosamente nel nulla nel periodo più buio e infervorato del Novecento Argentino. Atterrato a Buenos Aires, Leo si mette alla ricerca di Raul, attraversando la città e spingendosi sino alla pampa sterminata dove si confronterà drammatici colpi di scena che danno al romanzo una tinta "noir". 

"Don Raul Porti era un buen hombre de negocios, che laburava por una empresa italiana, ma la dittatura e i milicos si erano rubati tutto e, assieme ai sovversivi, se n'era andata anche la brava gente. Anche i diplomatici italiani - e certi preti - avevano protetto torturatori e impedito ai cittadini italiani di chiedere rifugio in ambasciata."

Le ricerche di Leo proseguono a tratti lente come il cadenzare della vita argentina e a tratti animate come le notti estive della costa. Tra lunghe attese, apparenti buchi nell'acqua, personaggi loschi o inesistenti, l'unica certezza che ha Leo è che Raoul è stato catalogato tra i desaparecidos. Tutto parte da li, tra giochi di specchi, carte che si mescolano continuamente, il detto e il lasciato intendere, un groviglio di situazioni che incitano il lettore ad arrivale alla fine del romanzo senza sosta, con la voglia di verità e giustizia che animano Leo durante il suo peregrinare per la pampa o nei vicoli di una Buenos Aires omertosa e ingannevole. Alla fine del suo viaggio introspettivo, troverà Leo le risposte al dubbio che da cinquant'anni lo consuma? Riuscirà a fare giustizia sulla scomparsa di Raul? 
Non vi resta che sorvolare la "pozzanghera", così definiscono familiarmente l'Oceano Atlantico gli argentini, e mettervi in viaggio con Leo alla ricerca di un po' di pace per la sua anima in tempesta. 
Non vi racconto altro, lascio a voi dubbi o certezze su un finale che potrebbe non essere scontato.
Ho letto questo romanzo, immersa in due terre che ben conosco: la mia Liguria, terra d'origine nella quale vivo e l'Argentina, terra testimone del mio primo vero e lungo viaggio, appena diciottenne, scoprendo nuovi colori e profumi, nuove emozioni che Magliani ha saputo trasmettermi con una scrittura forte e colorita. Posso permettermi di definirlo il "Camilleri ligure", per il modo in cui ha saputo descrivere i luoghi spaccati da un sole accecante, incontaminati e selvaggi dell'entroterra ligure. Ha saputo trasmettere l'amore che ogni ligure ha per questa terra difficile, in cui ogni raccolto è una piccola conquista, carpita alle terrazze rocciose o al mare. Un romanzo che è anche spaccato di storia, la storia di molti italiani dei primi del '900,  emigrati in Argentina con la speranza di una diversa e migliore. Un romanzo che è prosa e poesia, un romanzo dell'anima.
Vi invito alla lettura non solo per conoscere o riscoprire nuove terre ed emozioni ma anche per conoscere Marino Magliani, uno dei migliori  scrittori-traduttori dei giorni nostri. 
Per i liguri, emiliani e toscani di confine, se possibile per tutti voi, vi aspetto il 21 luglio a Pontremoli per la finale del Premio Bancarella: tanti bei romanzi in finale, ma io tifo per Magliani.

Buona lettura, Tania C.






Recensione UN ANIMALE SELVAGGIO di Joel Dicker - Ed La Nave di Teseo -

  UN ANIMALE SELVAGGIO Autore: Joel Dicker Editore: La Nave di Teseo Traduzione: Milena Zemira Ciccimarra Pubblicazione: 25 marzo 2024 Forma...