lunedì 15 luglio 2019

Recensione di NEL MIRINO I MIEI GIORNI IN DIFESA DI KOBANE di Azad Cudi Edizioni Longanesi



NEL MIRINO
Azad Cudi
Ed. Longanesi 2019
Brossura
Pag. 304
Collana Nuovo Cammeo - Saggistica -
€ 19,00
Ebook disponibile


TRAMA

Azad Cudi è un ragazzo è un ragazzo curdo-iraniano che nel 2002 ha solo diciannove anni che si ritrova costretto a servire l'Esercito Iraniano impegnato a combattere una guerra spietata contro i curdi. Non volendo combattere contro i propri fratelli curdi Azad diserta fuggendo nel Regno Unito dove, dopo aver chiesto asilo politico, imparerà l'inglese ed otterrà la cittadinanza. Tornerà in Medio Oriente come volontario, in aiuto delle Missioni Umanitarie durante l'esplosione della guerra in Siria. 
Durante l'autunno del 2014, dopo appena ventun giorni di addestramento, l'esercito curdo lo ingaggerà come tiratore scelto, nella difesa della sua città, Kobane, sita nella regione autonoma del Rojava, finita sotto il dominio dell'Isis. Ma i volontari che oppongono resistenza all'assedio dell'Isis lottano una battaglia crudele e impari. I volontari, tra i quali sono arruolate in prima linea anche molte donne, sono solo duemila, contro più di dodicimila Jahdisti. Bisogna abbatterli, uno a uno.
Con questa testimonianza toccante, Azad Cudi, racconta dalle viscere di sanguinose battaglie dietro le linee del fronte, senza censure, la storica disfatta dell'Isis su Kobane. In un alternarsi di riflessioni personali e politiche, Cudi si interroga su temi sempiterni come il prezzo per la vittoria da pagare in vite umane, gli effetti psico-fisici di chi ha combattuto una  guerra, il dolore per la perdita di soldati e volontari il cui sacrificio è oggi una speranza per il mondo, quella di scongiurare una terribile minaccia.

IMPRESSIONI

Il mondo militare mi ha sempre affascinata, vuoi perché ci sono cresciuta e lo vivo, vuoi perché, anche se ipoteticamente in tempi di pace, stiamo vivendo un periodo in cui il ''militare'' fa parte del quotidiano. Non è difficile, nelle nostre città, trovare postazioni militari con giovani armati, a tutela della sicurezza cittadina e dei beni culturali, ma in particolar modo è attuale scoprire quanti ragazzi giovanissimi, ancora oggi perdono la vita per difendere la democrazia e la pace mondiale. La mia curiosità quindi, con la pubblicazione di questo saggio, era talmente forte che chiesi a Longanesi di poterne avere una copia da poter recensire e, gentilmente, Benedetta mi inviò l'ebook. Per questo la ringrazio tantissimo. 
L'ho letto d'un fiato, immedesimata in un mondo fatto di polvere, sangue e armi, ma anche di amore verso i propri fratelli e la libertà per la propria terra. Da difendere anche con la morte. 

Gli stranieri trovano sorprendente che all'interno del movimento di resistenza curdo donne e uomini siano pari in tutto, guerra compresa.

Nel 2011, con lo scoppio della guerra civile in Siria, i Curdi, ribellandosi al dominio dell'Isis, fondarono a Kobane,  la regione autonoma del Rojava, lembo di terra del Kurdistan siriano e piccola oasi democratica di pace ed eguaglianza, dove uomini e donne vivevano in parità dei sessi. Il folle delirio dell'Isis innescò una spietata battaglia contro la democraticità e soprattutto contro l'eguaglianza dei diritti che avevano le donne, da sempre considerate oggetti senza voce e senza diritti.
Sul fronte l'Isis schierò un esercito di oltre dodicimila uomini, armati con le armi più moderne e potenti, mentre il popolo curdo attuò una linea di difesa formata da uomini e donne ardite, con la volontà di difendere i loro diritti e la loro libertà. Un esercito insignificante, agli occhi dei jiahdisti, solo duemilacinquecento, tra volontari e tiratori scelti, a contrastare un oceano di morte e distruzione, oltretutto dotati di un arsenale di mezzo secolo prima.  La sconfitta sembrava quasi un gioco veloce e senza gara. Ma non avevano fatto i conti con la forza dell'amore di un popolo pronto a difendere la propria terra.
Nelle unità di protezione curde, per arruolarsi volontariamente bisognava avere almeno diciotto anni, essere capaci, svegli e utili ai compagni: poco importava il sesso di un soldato, gli ideali democratici erano gli stessi. Uomini e donne avrebbero poi combattuto insieme ma in unità separate, combattendo, morendo e uccidendo senza distinzioni. Questa parità meravigliò l'Isis, fomentando ancor di più la voglia di potere e distruzione verso i curdi, infedeli e soprattutto col potere femminile. Di contro, apprendere quanto potessero essere meravigliati e sconvolti i nemici, diede la certezza ai curdi di essere il giusto esercito per sconfiggerli. 
Tra i cecchini scelti dell'esercito curdo, poco più che diciannovenne, si arruolò Azad Cudi, rientrato volontariamente a Kobane dopo un periodo passato nel Regno Unito per fuggire all'arruolamento obbligatorio imposto dall'Esercito Iraniano.

Nel nostro movimento , diamo per scontato che ognuno sappia qual è la cosa giusta da fare. Io sapevo che il mio compito era continuare a combattere, perché c'era bisogno della mia esperienza.

Durante i due anni di assedio, dal 2014 al 2016, Azad, diventato un cecchino esperto e preciso, continuerà a porsi,come un'ossessione, due domande: "Come li attaccheremo? Come ci attaccheranno?"
Privato del sonno, del cibo, tanto da portarlo a pesare quanto un bambino di tredici anni, Azad, dietro al suo compagno fedele e preciso, il fucile, continuerà a tenere nel mirino il nemico sino a consumarsi gli occhi. Mentre amici e compagni continuavano a perire in battaglia, il suo compito principale e indesiderato diventò quello di sopravvivere per continuare a far vivere la Memoria di chi si sacrificò per la libertà.
All'inizio del 2017 il piccolo esercito curdo, senza denaro e attrezzature di prima necessità quali radio e binocoli e con armi datate, sei mesi dopo l'avanzata a Kobane, riuscì a fermare il plotone dei dodicimila dell'Isis. Tutti i jihadisti furono cacciati dal Rojava, facendo collassare il glorioso sogno di un nuovo Califfato dell'Isis, ridotto oramai a sparute bandierine sulle cartine, con un tragico bollettino di morte di tutti i volontari stranieri arruolatisi al grido di "Allah Akbar".
Quei duemilacinquecento ragazzi riuscirono in tale impresa grazie anche alla cocciutaggine dei contadini di Kobane. Quello che li univa era l'amore per le proprie radici, per quella terra arsa dal sole ma che proprio grazie al duro lavoro dei contadini, li aveva ripagati con i suoi preziosi frutti, facendoli convivere in pace armonia coi loro fratelli nonostante il credo differente.

Nessuno voleva morire, ma ci avevano costretto alla guerra e a volte il suicidio in battaglia sembrava essere la nostra unica opzione. Tutti sapevamo che avremmo dovuto affrontare ferite, orrore e morte, ed eravamo pronti a condividere tutto questo con i nostri compagni. Citando un detto curdo, affermavamo di prepararci a quel momento con <<fiori selvatici e menta>>.

Quando si entra in guerra per la difesa dei propri diritti, bisogna essere pronti a tutto e con qualsiasi mezzo e Azad Cudi ci racconta  la guerra del suo popolo fatta anche di piccoli espedienti per salvarsi la vita o per uccidere quanti più nemici possibile. Di uomini ne sono stati uccisi, la conta era straziante e impensabile, per un cecchino sarebbe stato come descrivere l'odio provato da un uomo debole. Ma sapeva  che spesso le azioni estreme erano l'unica via di salvezza. Qualsiasi soldato capace sarebbe stato in grado di imparare, nel giro di un'ora, i primi rudimenti per diventare un tiratore scelto. Ogni fucile in dotazione possiede una sorta di carattere e potenza propri e un bravo tiratore, deve imparare a conoscere il ''temperamento'' di ogni arma tra le sue mani. Ma forse, più importante che saper sparare, era il saper osservare il comportamento del nemico, valutandolo con uno sguardo.  Il modo di camminare, il maneggio di un'arma, la troppa sicurezza o la paura, avrebbero potuto essere indici di un eventuale errore e avrebbero permesso alla squadra di Azad di attaccare la postazione del nemico uscendone vincitori e col minor danno possibile.
Attraverso i suoi racconti, con un linguaggio spesso crudo e denso di emozioni, Cudi ci fa vivere non solo i suoi cento giorni in prima linea dietro ad un fucile, ma spiega anche cosa significa combattere contro il regime distruttivo  e dittatoriale del fanatismo islamico che, in nome dello sterminio degli "infedeli" opprime, violenta e schiavizza intere popolazioni mirando al monopolizzare la terra intera.
Una cronaca di guerra e un messaggio profondo di pace, da chi quella guerra l'ha vissuta e combattuta. Le trecento pagine di questo saggio scorrono veloci, nonostante la crudezza delle immagini e la passionalità di un popolo, quello curdo, che come il piccolo Davide  ha saputo lottare democraticamente e con ogni mezzo contro Golia, il gigante despota  il quale, in preda al delirio di onnipotenza, voleva schiacciarlo e distruggerlo.
Mi permetto di consigliare questo saggio non solo agli appassionati di storia militare, ma anche e soprattutto ai più giovani, il futuro della nostra Nazione e della Terra, per capire cosa c'è al di la delle immagini di morte e odio che ci propongono i media. Perché dietro ad ogni guerra, per quanto ingiusta possa essere, ci sono uomini veri, con un forte amore per la vita e per le proprie radici, pronti a tutto pur di lasciare un mondo nuovo e pulito alle generazioni future.
Buona lettura,
Tania C.

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