venerdì 29 marzo 2019

Recensione de IL CASO MOBY PRINCE - LA STRAGE IMPUNITA di Francesco Sanna e Gabriele Bardazza




MOBY PRINCE - LA STRAGE IMPUNITA

Francesco Sanna 
Gabriele Bardazza
Ed. Chiarelettere Marzo 2019
Pag. 192 Brossura
Collana Misteri Italiani
€16,00
Ebook disponibile


CONOSCIAMO GLI AUTORI


Francesco Sanna - foto dal web -

Francesco Sanna projet-manager e comunicatore, ha al suo attivo esperienze lavorative che spaziano dal campo aziendale , istituzionale e politico. Un passato come collaboratore di ilfattoquotidiano.it , lo ha portato a curare un'approfondita indagine sulla tragedia Moby Prince. Della triste vicenda ne ha scritto un libro: Verità privata del Moby Prince (edito da Gruppo Albatros Il Filo 2013) e il documentario Ventanni ( Mediaxon 2012).
Sanna è ideatore della campagna #iosonoqui141 .



Gabriele Bardazza, è un libero professionista all'attivo dello Studio di Ingegneria forsense  Bardazza-Adinolfi. Da venticinque anni indaga per ricostruire eventi catastrofici apportando consulenze tecniche in ambito penale e civile. Tra le sue indagini l'incidente della camera iperbarica Galeazzi del 1997, l'incidente aereo di Linate del 2001 e l'incendio a bordo della Norman Atlantic nel 2014. Il caso Moby Prince lo vede impegnato nelle indagini dal 2010, su mandato dell'Associazione "10 Aprile".



TRAMA

Sono passati ventisette anni dalle 22.25 del 10 aprile 1991. Anni che raccontano una strage impunita , archiviata come tragico incidente avvenuto nelle acque di Livorno.
Il traghetto passeggeri Moby Prince sperona la petroliera Agip Abruzzo, della compagnia Statale Snam, alla fonda, ancorata in rada. La collisione col traghetto apre uno squarcio sulla fiancata della petroliera, facendone uscire il combustibile contenuto il quale, prendendo fuoco, scatenò un rovinoso incendio. Ci furono delle vittime, centoquranta, che decretarono la tragedia come il più grande disastro della marineria civile del dopoguerra.
La ricostruzione ufficiale, a seguito di due sentenze assolutorie e altrettante richieste di archiviazione, stabilì che la causa dello scontro sarebbe stata "una nebbia fittissima". I soccorsi non servirono perchè le vittime perirono in pochi minuti. Così fu chiuso il caso.
Questo libro inchiesta, ricco di documenti, testimonianze indedite  e ricostruzioni, nasce come storia clamorosa di un riscatto.
E' l'emozionante storia di una battaglia durata quasi trent'anni e arrivata ad una svolta solo nel gennaio 2018, con la pubblicazione del documento finale della Commissione d'inchiesta sulle cause del disastro.
Finalmente è venuta a galla la verità storica, che fa tanta paura, è vero, ma può e deve essere raccontata.


IMPRESSIONI

Non avevo ancora diciassette anni all'epoca della tragedia Moby Prince e, da adolescente, il tutto passò quasi in sordina per me. La scuola, gli amici e le prime belle giornate da dedicare al mare, non diedi molta importanza alla tragedia. Col passare del tempo nessuno ci pensò più, sino alla strage della Concordia, che prese comunque il sopravvento rispetto ad un fatto (scomodo) accaduto e ormai archiviato dalla memoria gia anni prima. 
Giorni fa, la newsletter di Chiarelettere pubblicizzava l'imminente uscita di questo libro inchiesta e mi ritornarono alla mente, come una foto sbiadita, i tristi fatti del 1991. 
Acquistato il libro, interessata a conoscere meglio la triste vicenda, cominciai la lettura. 
Non è stato facile, per me, arrivare alla fine: le pagine sono poche, si legge in breve tempo, ma metabolizzare l'orrore contenuto negli atti e nelle testimonianze, non svaniva nemmeno col gaviscon. 

"Se vogliamo trovare la verità forse dobbiamo allontanarci dai tribunali"

Questa è una delle tante testimonianze di uno dei familiari delle vittime.

E' il 10 aprile 1991, sono le 22.25, quando il traghetto Moby Prince, diretto in Sardegna, sperona la petroliera Agip Abruzzo. 
Lo speronamento causò la fuoriuscita di carburante che incendiandosi causò la morte al rogo di 140 persone, brutto dirlo ma è realtà dei fatti,  avvenuta  in circostanze misteriose, ancor oggi da chiarire.
Nella memoria collettiva, la tragedia si riconduce alla partita di Coppa delle Coppe Barcellona-Juventus, durante la quale, in filo diffusione fu trasmessa la notizia della collisione a causa della presunta distrazione del personale di bordo intento a guardare la partita. Se, a prima vista, poteva sembrare una causa veritiera, questa è da considerarsi una delle tante fake sulla tragedia, in quanto non fu mai messa agli atti. Nelle ricostruzioni della magistratura infatti, viene riportata come causa o concausa della collisione una fitta nebbia calata sulla rada di Livorno. Ribadito perentoriamente anche nel 2010, durante l'ultimo atto  di richiesta d'archiviazione dell'inchiesta bis: 

"Il Moby Prince entrò improvvisamente in un banco di nebbia, il comando nave rimase sorpreso e impreparato, accese i fari <<cercanaufraghi>> e si autoaccecò, centrando la petroliera".

La ricostruzione, ritenuta "banale" anche dalla magistratura, era pur sempre fondata su una logica: l'errore umano per mano di chi stava governando il traghetto è da rifarsi a ''fattori casuali concomitanti'', scatenatisi in quel preciso e sfortunato  momento e, fra tutti, il responsabile principale è la nebbia "densissima".
A sostenere la causa nebbia fu il Comandante della Capitaneria Sergio Albanese, la notte stessa dello sfortunato impatto. A bordo di una motovedetta, che lo riportò in banchina dopo aver preso visione da vicino della tragedia, riferì alle telecamere una scena apocalittica: il buio assoluto, immerso in una densissima nebbia e circondato da una cortina di fiamme. La nebbia c'era, l'aveva vista: questo doveva sapere l'Italia, e doveva esserne messa al corrente subito!
Durante le manovre di entrata in porto, qualsiasi nave era all'epoca, come ancora oggi, coadiuvata da una pilotina, una piccola imbarcazione manovrata da un pilota che conosce bene il porto ed è in grado di far attraccare la nave in sicurezza. All'epoca il Pilota della pilotina che avrebbe dovuto aiutare l'entrata in porto del traghetto, Federico Sgherri,  testimone oculare dell'impatto, dopo aver parlato col Comandante della Moby Prince, Ugo Chessa, dichiarò che se ci fosse stata nebbia prima della collisione, di certo lo avrebbe rilevato. 
Durante l'interrogatorio, ai microfoni dei giudici le sue testuali parole :

"Durante la manovra di uscita e prima di abbandonare il ponte di comando, la visibilità era normale e potevo scorgere tutte le navi che si trovavano in quel momento alla fonda compresa la Agip Abruzzo."

Sembra quindi evidente, per Sgherri niente nebbia! 
Purtroppo indagini e processi non porteranno mai luce in questa ''inverosimile'' situazione meteorologica: nebbia si, nebbia no, a banchi, causata da agenti atmosferici verificatisi al momento, insorta gia da tempo o solo pochi minuti prima dell'impatto...
Ci furono molte altre testimonianze, mai messe agli atti o ascoltate dai giudici che dichiararono la totale assenza della nebbia, ma ancora nel 2017, si continua a parlare di nebbia. Perché? Molto probabilmente perché chi l'aveva vista godeva di un credito maggiore rispetto a chi fu testimone di una notte  buia ma limpida.
Col passare del tempo, delle indagini, del vedo/non vedo,  la dinamica che ha scatenato la collisione tra Moby Prince e Agip Abruzzo non è mai stata chiarita. 
Tutto avvolto in un turbine di supposizione e pressapochismo, dovuto anche al fatto che nessun giudice abbia mai rilevato testimonianze concrete sulla sequenza dell' incidente. Solo frammenti, spesso infondati, messi insieme come tessere non combacianti di un macabro puzzle.
Lo stesso Ufficiale di guardia sulla petroliera, Valentino Rolla, resterà sul vago dichiarando:

"Due fari che illuminano la fiancata dell'Agip Abruzzo e poi l'impatto."

Nessuna dinamica concreta quindi e nessun rilevamento radar, in quanto, al momento della collisione, lui ancora era in stand-by. Tutto ciò che evince è che a poche ore dalla tragedia il Comandante della Capitaneria dichiarerà alle telecamere che ''il buio potrebbe essere la concausa dell'impatto''. 
Poco dopo il Ministro della Marina Mercantile Vizzini  dichiarerà un errore umano dovuto alla negligenza del personale distratto dalla partita Barcellona-Juventus , smentito poi dal fatto che non erano presenti televisori in  nessuna plancia di comando. Siccome la gente doveva avere un capro espiatorio verosimile, si arrivò alla tesi che si, ci fu l'errore umano, causato però da un banco di nebbia densissima calata sulla rada di Livorno. 
Ma il responsabile più diretto, forse l'unico in grado di far luce sul disastro, non poteva più raccontare ne difendersi in quando perito nel rogo. Si tratta del Comandante del Moby Prince, Ugo Chessa.
E' il 13 aprile del 1991 quando, durante la messa in onda del TG1, passerà per una sola volta , parte di un video amatoriale sullo scontro tra il traghetto e la petroliera.
Il video, girato da una casa sita sul lungomare livornese, mostrava la sagoma di una massa scusa, molto simile ad una nave a fari spenti, rischiarata dai bagliori delle fiamme. Paolo Fraiese, all'epoca conduttore del TG1, dichiarò:

"Una cosa è chiara, non c'era nebbia al momento dell'incidente."

Alla luce delle prove importanti del video, chiaro e lampante e delle parole di Fraiese, avrebbe dovuto scattare d'ufficio il sequestro della copia a disposizione della Rai e dell'originale. Ma nessuno si preoccupò di farlo. Fu solamente il 3 dicembre 1992 che Nello D'Alesio, il proprietario del video, nonchè armatore di bettoline, lo consegnò spontaneamente alla Polizia Scientifica, dichiarando che a filmare la tragedia fu il figlio, mentre lui era impegnato a seguire e capire bene via radio vhf, sintonizzato sul canale 16, la dinamica dei fatti.
Tutto sembra rimettersi in gioco, il video completo, nonostante un  "taglio di montaggio" di 92 secondi per la Rai, riporta delle conversazioni, confermate anche dalle registrazioni dove è chiara la voce del marconista dell'Agip Abruzzo che , rispondendo alla domanda diretta della Capitaneria dichiara:

"Se mi può dire cosa vede ..."
"Sembra una bettolina quella che c'è venuta addosso."

La Commissione d'Inchiesta, concentratasi sul video, lo fece rielaborare dal Raggruppamento Carabinieri investigazioni scientifiche, il Racis. 
Dalla rielaborazione ne emerse che era ben chiaro l'incastro tra Agip Abruzzo e Moby Prince e la petroliera, al contrario di quanto sempre asserito, si trovava nella posizione sud - ovest.
Con la perizia del Racis vengono vanificate le false interpretazioni del video che, durante la sentenza di primo grado fu fatto passare come prova schiacciante della presenza di un banco di nebbia. Nessuno, però, riuscì a far luce sul taglio e montaggio fatto per la tv. 
La Relazione finale dell'inchiesta, 492 ricche pagine, non riporta mai il termine reato di strage per definire la morte delle 140 persone coinvolte nel rogo che avvolse Moby Prince. Una stranezza, da rimandarsi a dettagli giuridici, che omisero la definizione di strage. 
Il Codice Penale Italiano definisce "strage il delitto compiuto da chi al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità".
Perciò se questi atti causano la morte di una o più persone scatta l'ergastolo e la strage non andrà mai in prescrizione.
Fatto sta che 140 persone sono morte, senza ricevere soccorso alcuno, arse tra le fiamme scaturite dallo scontro tra un traghetto e una petroliera in cause a tutt'oggi non ancora chiare. E ancora oggi, nessuno si è mai preoccupato di definire strage quello che dal 10 aprile 1991 è sempre stato definito come tragedia, disastro o drammatico incidente.
A tutt'oggi, dopo ventotto anni, la tragedia Moby Prince si può definire:

"Se non una strage di diritto, quanto di più simile a una strage di fatto. Impunita, finora, per il principale buco delle inchieste sul Moby Prince: quello relativo ai tempi di sopravvivenza dei centoquaranta."

Come ho gia scritto all'inizio, è stata dura metabolizzare i fatti raccontati nel corso di questa inchiesta, che comunque non verrà ''archiviata'' ma continuerà sino a che non si sarà fatta chiarezza. 
Non servirà a riportare in vita le vittime, ma sicuramente a dare un senso e dignità alla loro morte, avvenuta in circostanze e per mano di un enorme buco nero di soccorsi mancati,  fatti taciuti o insabbiati.

Leggendo, tentando di capire il perchè di tutto il mistero su quello che realmente è successo la notte di quel 10 aprile '91,  mi ritrovavo, col senno del poi, nel refrain di una famosissima canzone di Elio e le Storie Tese:

''Italia si, Italia no, Italia bum, la strage impunita'' 

(La Terra dei Cachi - Elio e le storie Tese, 1996 )

Consigliandovi la lettura di questa approfondita e curata inchiesta, lascio a voi le conclusioni, che, per quanto mi riguarda, si racchiudono tutte in quel ritornello...

Buona lettura Tania C.


Nessun commento:

Posta un commento

Intervista a FRANÇOIS MORLUPI, autore della saga de I CINQUE DI MONTEVERDE

  Immagine di François Morlupi  su gentile concessione dell'autore DUE CHIACCHIERE CON L'AUTORE François Morlupi,  classe 1983, ital...