martedì 5 marzo 2019

Recensione de L'ULTIMO MELOGRANO di Bachtyar Ali















L'ULTIMO MELOGRANO
di Bachtyar Ali
Ed. Chiarelettere 2018
Pag.261
Copertina flessibile
Euro 16,90
Ebook disponibile



CONOSCIAMO L'AUTORE



Foto dal web

Bachtyar Ali è un autore curdo molto amato ed uno dei maggiori autori del Medio Oriente. Nasce a Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno, nel 1966. Ad appena 20 anni prende parte alle proteste studentesche contro il regime dittatoriale di Saddam Hussein, riportando delle ferite. Col tempo abbandona gli studi di geologia per dedicarsi  a tempo pieno alla scrittura. 
Nel suo paese gli sono riconosciuti numerosi premi letterari: Hardi nel 2009 e Sherko Bekas nel 2014. Le sue opere arrivano anche in Europa, dove gli viene assegnato, nel 2015, l'English Pen award e, nel 2017, il premio Nelly Sachs.
Scrittore poliedrico, pubblica romanzi, poesie e saggi e firma il primo romanzo curdo tradotto  in inglese, un passo importante nella storia.
Le sue opere sono pubblicate in numerosi paesi in tutto il mondo, Germania, Regno Unito, Francia e Usa. 
Vive a Colonia, in Germania dal 1998.

TRAMA

L'amore di un padre verso il figlio, quasi come una fiaba moderna, è diventata parabola per un'intera popolazione.
Dopo ventun anni di prigionia in un castello in mezzo al deserto iracheno, un ex rivoluzionario curdo, si ritrova di colpo libero. L'unico scopo che spinge Muzafari Subhdam a lasciare la sua prigione dorata, protetta dalla sabbia del deserto e lontana da un mondo a lui sconosciuto, è il pensiero di ritrovare suo figlio, costretto ad abbandonare ancora in fasce.
A bordo di una barca, insieme ad altri profoughi, inizia l'avventura che porterà Muzafari in Europa e, su quella barca, racconterà ai suoi compagni di traversata, tutta la sua storia, simile a tutte le altre storie di chi si è ritrovato in mezzo agli orrori della  guerra che ha devastato un'intera generazione.
Una fiaba moderna e attuale, avvolta da un velo di magia, quasi da Mille e una notte. Una favola poetica che racconta di angeliche creature, di un ragazzo dal cuore di vetro e di un melograno, l'ultimo, che sarà il sottile fil rouge che collega le vite dei personaggi.


IMPRESSIONI


Ho scoperto Bachtyar Ali e L'ultimo melograno grazie al gentile invio di una copia omaggio da parte di  Chiarelettere. Li ringrazio tantissimo per questa opportunità. Interessata sin da sempre agli autori mediorientali e alla loro cultura, mi ha incuriosito la storia di Muzafari, in modo particolare anche la copertina con una bella melagrana  rossa e succosa raffigurata. Immaginate la mia felicità quando ho aperto il piego libri...

<<Fino al settimo anno di prigionia avevo contato con cura le ore di ogni singolo giorno, secondo per secondo. Poi un mattino ti svegli ed è tutto confuso, non sai più se sei li da un anno o un da secolo, non ricordi che aspetto abbia il mondo fuori. Ma il pensiero più atroce è che di la ci sia qualcuno che sta aspettando. Solo quando sei certo che non ti aspetta più nessuno, che ti hanno dimenticato, puoi concentrarti su te stesso.>>

Muzafari era appena ventenne quando venne arrestato e fatto prigioniero in un castello in mezzo al deserto iracheno. Passeranno ventuno anni in completo isolamento, lontano dal mondo civile, prima che per Muzafari si aprano le porte della libertà. Costretto alla prigionia, con la sola compagnia di qualche guardia e del suo ''guardiano'', divenuto ''amico, confidente e protettore'' nel tempo. A Muzafari, superati i primi dolorosi anni in solitudine nel suo carcere ''dorato'' , viene naturale sentirsi quasi a casa, protetto dalla  sabbia del deserto e dalle stelle che ogni notte diventano custodi dei suoi pensieri più profondi e dei suoi racconti. Non gli resta che arrendersi al fatto che quella sarà la sua nuova vita, al sicuro dal mondo flagellato da una nuova e contagiosa pestilenza. Passano gli anni e per l'uomo arriva il momento della libertà. Si spalancano le porte della gabbia dorata e, quel mondo tanto sognato ma tanto brutto, gli si para davanti come una pagina bianca da riempire. Dopo le prime insicurezze verso la vita da uomo libero, torna a martellargli in testa il pensiero di quel figlio, Seriasi, costretto ad abbandonare appena nato nel momento in cui fu arrestato. Il desiderio più grande è quello di ritrovarlo, di riunirsi di nuovo al suo sangue.

<< E quel sielnzio... Non c'era traccia di vita. Quel luogo rievocava il mio esilio nel deserto accecante. E non pensiate che è perchè non riesca a staccarmi dai miei anni oscuri, ne che stia vaneggiando: la sua tomba, piccola come quella di un uccello, era circondata da uno spiazzo deserto così sconfinato che l'ombra della lapide si estendeva in lontananza. Forse anche a lui l'orizzonte infinito aveva fatto un grande dono: quello di risvegliare i pensieri dell'universo.>>

Inizia un lungo peregrinare che lo porterà a ritrovare al'inizio un Seriasi, col tempo altri due. Il percorso di Muzafari arriverà davanti alla tomba del primo dei tre Seriasi, ancora ignaro dell'esistenza degli altri due. Sarà accompagnato dalle "bianche sorelle", due sorelle che per amore l'una dell'altra, avevano rinunciato all'amore di Seriasi.


Col tempo e con la scoperta dei tre Seriasi, sarà difficile riuscire a capire quale sia il suo vero figlio, soprattutto perchè a legare i ragazzi è una piccola riproduzione in vetro del  frutto di melograno. Una melagrana di vetro fragile come la vita di ognuno di loro, figli del Kurdistan devastato dagli artigli di una spietata guerra crudele contro un regime dittatoriale che li ha piegati per anni.
Muzafari si troverà costretto a "scegliere" uno dei tre figli del popolo curdo come suo figlio, il suo Seriasi. Una scelta dolorosa e difficile, che sarà il tassello che si incastrerà perfettamente all'intreccio fine e delicato della trama ordita da Bachtyar Ali. 

<<Ventun anni fa io accolsi i Seriasi, e da allora li porto nel cuore. Tre neonati mezzi morti, ciascuno con la sua melagrana di vetro, tu che ci hai dato il vino e le taverne ... Ricordo come se fosse ieri che Jakubi Snawbar portò da me quei tre lattanti, senza darmi spiegazioni. Erano tre angeli tristi nati dal divino. Erano così deboli che riuscii solo a dire: "Hanno bisogno di linfa vitale. Di linfa vitale.">>

Per chi si approcciasse per la prima volta agli autori e alla cultura mediorientale, questo romanzo potrebbe sembrare difficile, quasi privo di una logica e di un filo temporale. Avvolto dal mantello della magia e del mistero che riporta alle fiabe de Le Mille e una notte , l'autore ha intrecciato una trama sottile e fragile che solo nel finale svela il suo delicato disegno. La scrittura mediorientale, come quella di Bachtyar Ali,  è intrisa di metafore e allegorie, tipiche della cultura Islamica. Ed è attraverso di loro che prende vita la storia di un albero melograno dai frutti di vetro. Il melograno, simbolo di rinascita, fratellanza, fertilità e unione, in rappresentanza di un Paese e del suo popolo , quello curdo, alla ricerca del suo posto nel mondo e dei suoi frutti, in questo caso di vetro, fragili come le vite dei suoi figli, tutti i Seriasi, fratelli nella vita fatta di guerra, dolore e orrore. Un giorno si ritroveranno tutti sotto i rami protettori di quell'ultimo melograno per ricominciare, insieme una nuova vita.
Con uno stile poetico e crudo allo stesso tempo, Bachtyar Ali ha saputo incantare il pubblico incollandolo sino all'ultima pagina per assaporare appieno il sapore di ogni chicco di melagrana che ha magicamente incastonato nel corso della storia.
No, L'ultimo melograno non è un romanzo facile, richiede impegno e concentrazione durante la lettura, ma alla fine, proprio come il frutto, rilascia tutta la dolcezza del succo rosso e brillante. 
Del romanzo ho amato tantissimo la forza di Muzafari, il quale, nonostante tutti gli anni di prigionia e l'aver trovato una sua dimensione quasi ''divina'' in mezzo al deserto, trova il coraggio di riprendere la sua vita dove l'aveva lasciata al momento dell'arresto. Non si perde d'animo e, se pur in un mondo nuovo e a lui sconosciuto, devastato, ferito dalla guerra, si arma di coraggio per cercare il figlio abbandonato e mai dimenticato. L'amore di un padre verso il figlio , come quello del popolo verso la sua terra. Il valore di un amore che ad oggi,  purtroppo, sembra quasi perso... 

<<Amici miei non so cosa vi racconterò domani notte. La mia storia su quei giovani di vetro che vivevano in un Paese di vetro e in un'epoca di vetro non ha fine. Forse domani ricomincerò dall'inizio, ma cambierò prospettiva, e vi condurrò su questa barca seguendo un altro tragitto. A restare invariata sarà solo la figura dell'uomo che arriva dal deserto e si perde in mezzo al mare, su una barca piena di profughi. Quell'uomo sono io.>>

Un romanzo delicato e magico come questo non è facile da abbinare ad una pietanza. La trama fitta e labirintica, lo stile soave e poetico, rendono il romanzo dolce e fresco, con un leggero retrogusto agrodolce. Lo vedrei abbinato, per rispettare la cultura mediorientale, ad un bicchiere di latte alle mandorle e fiori d'arancio, seguito da una torta molto speziata di carne di piccione, la pstilla.




Buona lettura Tania C.

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