venerdì 4 ottobre 2019

Recensione di GASPARE MUTOLO - La mafia non lascia tempo - di Anna Vinci, Ed. Chiarelettere






GASPARE MUTOLO
La mafia non lascia tempo


Anna Vinci
Ed. Chiarelettere settembre 2019
Pag. 238
Collana Reverse
Copertina flessibile
€ 16,00



CONOSCIAMO L'AUTRICE

Anna Vinci - foto dal web -




Nata a Roma, dove vive e lavora dopo una lunga parentesi a Parigi, è stata autrice, documentarista e conduttrice per la Rai. Tra i diversi saggi pubblicati ricordiamo: 
Tina Anselmi. Storia di una passione politica, edito da Sperling & Kupfer;
La politica con il cuore con Stefania Pezzopane edito da Castelvecchi;
Le notti della democrazia, Tina Anselmi e Aung San Suu Kyi, due donne per la libertà edito da Ediesse.
Tra i romanzi:
Calcutta, abbinato al racconto di Vasco Pratolini Lungo viaggio di Natale, edito da Guida;
Il Signore del sorriso edito da Iacobelli.
Amica e biografa di Tina Anselmi e curatrice del suo archivio, per Chiarelettere ha pubblicato La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi, un saggio fortunato riedito nel 2018 con una nuova prefazione dove sono raccolti gli appunti della presidente della commissione parlamentare sulla loggia massonica, ex partigiana, cattolica e coraggiosa di sinistra.


TRAMA

"Insomma ti sei pentito dei tuoi ventidue omicidi?" 
Una domanda che Gaspare Mutolo non può più eludere. Uomo d'onore di Cosa nostra, guardaspalle del boss palermitano Rosario Riccobono e killer-autista al soldo del pericoloso e sanguinario Totò Riina. Per diciannove anni è stato un soldato "operativo" della mafia, autore di una  importante collezione di estorsioni, minacce e assassini cruenti. In parallelo, la sicurezza e il calore della moglie e dei quattro figli che pur al corrente dei fatti, scelgono di non fare domande.
Nel giugno 1992 la scelta di dissociarsi "perché non pesa ammazzare gente del proprio ambiente", ma uccidere magistrati, cittadini e guardie sì.
Quasi come se esistesse "una mafia buona", rispettosa del codice d'onore, e "una mafia spavalda", assassina e vendicativa verso uno Stato non più connivente.
Dopo anni di silenzio, Mutolo alza bandiera bianca all'urgenza di parlare. Spinto dalla coscienza e braccato dalle domande senza via d'uscita se non la verità che l'autrice gli pone, racconta la cronaca vissuta in prima linea, di uno dei periodi più bui della recente storia italiana, quello delle stragi e delle trattative tra Stato e mafia. 
"Oggi sono un uomo libero".
Un'ammissione estrema e autoassolutoria, quella di un soldato di mafia rimasto solo, dopo la scomparsa della moglie.
Un uomo solo per il quale è arrivato il momento di confrontarsi col suo passato.


IMPRESSIONI

Questo libro confessione edito da Chiarelettere l'ho fortemente voluto, in parte per completare il quadro generale dopo avere letto Fermate Capitano Ultimo (Chiarelettere), in parte perché mi piace il genere. Fa parte della nostra storia attuale  che tutti dovrebbero conoscere. L'ho chiesto a Chiarelettere e Tommaso Gobbi e Valeria Frigau hanno accolto subito la mia richiesta, sempre attenti e disponibili offrendomi una copia cartacea.  Li ringrazio tantissimo per tutte le possibilità e la fiducia che mi concedono.
Credo sia inutile dire che l'ho divorato in due giorni, completamente rapita dalla storia di uno dei più importanti killer della mafia del secolo scorso, Gaspare Mutolo, assoldato dal pericoloso "Mangiamorte", del quale era fedele soldato, Totò Riina.

"Mi dissocio formalmente dall'organizzazione  Cosa nostra, alla quale io sono appartenuto, facendo parte della famiglia di Partana-Mondello, famiglia famiglia che aveva come capomandamento Saro Riccobono."

Così inizia l'accorato racconto di Gaspare Mutolo, dalla fine di un viaggio durato vent'anni. Il 26 giugno 1992 quelle parole pronunciate davanti al giudice Pier Luigi Vigna e alla dottoressa Silvia Della Monica, hanno segnato la rinascita di Mutolo. Un anno importante, non scelto a caso, l'Italia travolta dagli attentati a stampo mafioso di Falcone e Borsellino, la mafia che perdeva colpi,  torchiata dallo storico processo dell'attacco  allo Stato e gli attentati dinamitardi nelle città chiave d'Italia. 
Era da tempo che ci stava riflettendo. Era stanco di fare una vita da pendolare tra carcere e Cosa nostra, costretto a ritagliare poco tempo per la moglie e i figli, ma soprattutto di nascosto, per la paura di ritorsioni da parte di chi oramai lo considerava un traditore. Una vita in fuga forse più da se stesso che dalla legge, una vita al margine con la spada di Damocle del carcere pronta a trafiggerlo in ogni momento, ma soprattutto con la consapevolezza che dopo vent'anni i tempi erano cambiati anche per la Mafia, nella quale, considerate le nuove vesti assunte negli ultimi anni, non si riconosceva più. 

Quel che non è morto è il mio vecchio modo d'agire. Quando mi arrabbio si sente chiaramente che sto trattenendo la violenza: chiunque mi si trovi davanti in quel momento coglie quel piccolo dettaglio che fa la differenza tra un uomo <<normale>> e uno che ha ammazzato, uno che è andato oltre. Qualcosa ti resta addosso: un po' del sangue versato.

Parole forti, dure, che fanno accapponare la pelle. Quando Mutolo, nel 1973, coi pregressi di vari furti, decide di entrare nella grande famiglia di Cosa nostra, vede la sua vita di ragazzaccio di strada, cambiare dall'oggi al domani. Conosce e si mette al seguito di un giovane Riina che ancora non aveva scalato la gerarchia del potere.  Comincia a maneggiare denaro  facile proveniente dal narcotraffico, denaro macchiato di sangue ma utile per  tirare avanti, viene indottrinato all'obbedienza e alla fedeltà verso i capi e alle regole ''etiche'' dei potenti. Viene plasmato e istigato alla violenza. La sete di sangue è forte, gli sgarri  tra clan vengono ripagati con le ammazzatine e le sparatine, d'altronde uccidere gente di quell'ambiente non gli è mai pesato più di tanto. Tutto pur di obbedire e dimostrare di essere un buon soldato. Come un albero che affonda le sue radici in un terreno friabile, la mafia comincia a scorrere come linfa vitale nelle sue vene.
All'epoca anche le forze dell'ordine, in un modo tutto loro, avevano rispetto di Cosa nostra, non era quindi un fatto strano se molte famiglie meno abbienti, affidavano l'educazione  dei loro figli al clan. Era quasi una fortuna, per quei ragazzi, essere proiettati in un destino di furti e contrabbando. Se poi la famiglia d'origine aveva le conoscenze che contano, i figli avrebbero anche potuto  finire per essere accolti sotto l'ala protettrice dei mafiosi di quartiere. E Gaspare Mutolo comincia proprio così la sua scalata a soldato di mafia.

Un tempo si era orgogliosi di avere un amico mafioso, ma all'epoca il mafioso era una tomba, zitto stava. Perché? Se tu favorisci il mafioso e poi questo parla, sei finito.

Le regole all'interno della cosca erano semplici e rigorose: vieni accolto in famiglia, vieni ricompensato a dovere ma devi obbedire e tacere. Rispetta e sarai rispettato. La crescita di Mutolo in Cosa nostra avviene in parallelo a quella di Riina, solo che la marcia in più di Riina lo portò a diventare il capo, l'uomo al vertice: il capo dei capi.
Con l'ascesa al potere di Riina, per Mutolo non è difficile diventarne uomo di fiducia. È fedele, instancabile lavoratore e affidabile. Certo, non infallibile e ogni tanto, quando una missione falliva, un soggiorno nelle carceri più famosi d'Italia ci scappava. Ma nonostante tutto rimaneva sempre e comunque l'uomo d'onore, quello al quale puoi affidare qualsiasi compito e puoi contare sulla sua cieca obbedienza.
Dal canto suo Mutolo cominciava a intravvedere i primi segnali di squilibrio del capo dei capi. I mandati dei crimini diventavano sempre più feroci e vendicativi, se si fosse potuto, oltre la follia. Riina, si trasforma in un vampiro  sempre più avido di potere e assetato di sangue di chiunque potesse essere un ostacolo al suo delirio di onnipotenza, dalla comune gente in strada, arrivando ai bambini. Vittime innocenti del delirio di un pazzo despota.
A Gaspare tutto questo spargimento di sangue innocente comincia a dare fastidio: un conto sono gli omicidi tra clan, un conto i bambini e gli estranei. Comincia così per lui un lungo periodo di riflessione sul suo ruolo di mafioso e quanto ancora gli potesse calzare. Era arrivato il momento di defilarsi, di tagliare il cordone ombelicale marcio per collaborare con la giustizia. La decisione di Riina di fare guerra allo Stato si stava rivelando una missione suicida, non volendo far parte di questa nuova guerra al massacro, Mutolo decide di "tradire" la mafia che lo aveva tradito. 

Il fatto è che io, per Falcone, mi sarei fatto uccidere. E non esagero, perché io sono un soldato. Soldato di Mafia, certo, ma so riconoscere il generale a cui affidare la mia vita. Falcone era un Napoleone. E quanti militari sono morti per Napoleone!

Forte dell'amore verso la propria famiglia, che pur essendo a conoscenza della sua vita lo ha sempre sostenuto accettando silenziosamente e senza domande, e forte della stima che aveva iniziato a provare per Falcone e Borsellino prima della tragedia, decide di "tradire" quella che per anni era stata l'altra sua famiglia. Sarà proprio Falcone a portarlo sulla retta via, a farlo decidere di affidarsi a Borsellino, molto più qualificato di lui per seguire le procedure di collaborazione con la giustizia. Ma i fatti sono andati diversamente. Erano i tempi in cui iniziavano le prime collaborazioni di giustizia, nomi di pentiti più o meno di spicco saltavano fuori da ogni dove. Per quanto Mutolo avesse cercato di tener nascosta la sua decisione, un'indiscrezione trapelò al telegiornale: "Forse Mutolo ha deciso di collaborare."
La fuga di notizie fu una sorta di salvezza per Gaspare, la sua amata famiglia, quella vera formata dalla moglie e i quattro figli venne messa in sicurezza e si aprirono le porte verso un nuovo futuro,  pulito e mai più da latitante: la libertà...

Sto cercando la proporzione giusta, non solo pittorica, ma interiore, tra un passato di morte e questo presente che voglio sia vita.

opera di Mutolo - foto dal web -

Ad oggi Mutolo e famiglia vivono sotto copertura, si sente rinato, senza però rinnegare tutto ciò che è stato in passato. È un artista, fa il pittore e i suoi quadri sono luminosi e colorati e, a differenza delle sue prime opere in cui venivano raffigurati solo paesaggi, oggi appaiono anche piccole figure umane, appena abbozzate e vestite di scuro.
Recensire la biografia di chi per anni è stato al soldo del Capo dei capi e artefice di delitti efferati e morti innocenti, per il gusto di uccidere, non è facile. Entrano in gioco sentimenti contrastanti e, purtroppo, l'indice accusatorio sul tema scottante "è giusto o no dare una possibilità ad un pentito di mafia?" fa fatica a restare al suo posto. 
No, non vi parlerò delle mie opinioni personali al riguardo, lascio a voi la possibilità di farvene una tutta vostra leggendo non solo questa recensione, ma anche la confessione completa dettata alla penna di Anna Vinci. 
La Vinci ha saputo trattare un argomento scabroso con empatia e  delicatezza, senza andare oltrepassare il sottile fil rouge che lega il protagonista all'autore. Le confessioni di un uomo alle soglie dell'ottantesima primavera, raccontate in maniera cruda e semplice, quasi fosse una fiction, vi aspettano in libreria. 
Buona lettura,

Tania C.








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