martedì 19 gennaio 2021

Recensione AFRA Cento batoste e un amore di Fatiha Mor a cura di Iginio Carvelli - Ed. AltroMondo -

 




AFRA

Cento batoste e un amore

Fatiha Mor

Curatore Iginio Carvelli

Ed. AltroMondo Editore

Collana Mondo di Sopra

Genere Biografia

Copertina flessibile

Pag. 234

€ 17,00

Link per l'acquisto https://www.cinquantuno.it/shop/altromondo-editore/afra/


CONOSCIAMO GLI AUTORI


Fatiha Mor è una giovane ragazza di origine marocchina. Vivein Italia ed è alla sua prima esperienza letteraria. Scrive sotto pseudonimo.


Iginio Carvelli è un pubblicista e giornalista. 

In Calabria è impegnato nel campo socio-culturale ed è autore di numerose opere.

Tra le sue pubblicazioni: Danuta (Edizioni Lavoro), Donna d’onore (Stango), Diario di un cane randagio (Falco edizioni), La spina di rovo, donne nel buio della mala (Europa edizioni), ha pubblicato con Rubbettino editore: Rughe di pietra, Scende la sera, Uguali ma diversi, Una straordinaria esperienza, Gino Scalise (biografia).


TRAMA


Fatiha è una bambina marocchina e già da piccola, viene usata dal padre, dalle zie e da chi la circonda come merce di scambio. 

Solamente al raggiungimento della maggiore età e grazie all'arrivo di un lavoro come badante, riuscirà a prendere in mano la sua vita e a raccontarla. 

Questa è la sua storia.


IMPRESSIONI


Apro questa recensione con un ringraziamento di vero cuore ad Alice di AltroMondo Editore che mi ha inviato questo diario biografico intitolato 

Afra Cento batoste e un solo amore 

di Fatiha Mor e curato da Iginio Carvelli, facendomi un grandissimo regalo.

Come molti di voi ormai sapranno, ho un amore sconfinato per il Marocco, talmente grande da averlo visitato tutto per ben dieci volte, riscoprendolo ogni volta con gli occhi pieni di meraviglia. Sempre uguale e così diverso ogni volta, con le sue tradizioni ataviche fuse nella modernità che sta prendendo sempre più campo. Amo i suoi paesaggi, i profumi accattivanti provenienti dai negozi degli speziali  e quelli acri delle concerie, amo il cibo ricco di sapori e sfumature e amo la calorosa ospitalità del suo popolo. 

Seguo con interesse anche la letteratura marocchina e sono sempre contenta di conoscere nuovi autori e nuove persone, come nel caso di Fatiha Mor.

<< Sì sono marocchina e sono orgogliosa di esserlo. >>

Fathia Mor, pseudonimo di una delle tante Aicha, Fatima, Meryem e di tutte le donne marocchine e non, dall'infanzia rubata dagli adulti ma che, grazie alla volontà e all'innato orgoglio della propria forza d'animo, sono riuscite a trovare la loro strada nel mondo.

È questo un lungo racconto di uno spaccato di vita che va dai sei anni circa ai venti di Fatiha, un racconto denuncia sulla difficoltà di integrazione di una bambina marocchina, strappata alla sua terra e ai suoi affetti con l'inganno. È un racconto che parla di vita, d'amore, di volontà ma anche di miseria, razzismo e violenza psicologica, accompagnando il lettore a riflettere sul significato di razzismo, emarginazione  e indifferenza. 

Alla fine, vi assicuro, vedrete il mondo con occhi diversi, scavando oltre l'apparenza di un ''vu cumprà" o del mendicante davanti al supermercato.

<< I troppi soldi induriscono il cuore e i cuori induriti non sentono il lamento del povero. >>

Fatiha era ancora una bambina quando arrivò, insieme alla zia, alla stazione Termini a Roma, nella capitale d'Italia.

Trovandosi in una nuova realtà, così diversa dalla sua, rimase perplessa nel vedere tanti senza tetto lungo i bordi delle strade, abbandonati alla loro miseria, constatando che  in Italia, considerata una terra di ricchi, ci fosse forse più povertà che in Marocco e tanta indifferenza verso i disagiati.

Quello che più le fece stupore fu il fatto che i ''ricchi'' non si fermassero a donare qualcosa a quella povera gente, come accadeva ogni giorno nella sua terra, dove chi possiede anche poco più di niente, lo condivide col mendicante.

In questa cartolina così ben descritta da Fatiha ho rivissuto un pomeriggio di tre anni fa, durante una passeggiata a Jamaa El Fna, la famosa piazza di Marrakech: un pover'uomo di età indefinita, vestito di stracci e seduto su una carrozzella di fortuna, se ne stava in disparte aspettando che una buon'anima gli donasse qualche dirham. Ogni persona che si trovava a passare davanti a quel pover'uomo lasciava sempre uno spicciolo, ringraziato dalla riconoscenza di un paio di occhi scuri e stanchi. Anche noi donammo qualcosa, veramente pochi spiccioli, per noi europei. Un amico locale di vecchia data mi spiegò che le persone in difficoltà non passavano mai inosservate agli occhi di un marocchino, c'era sempre qualche monetina da donare, perché ''il povero di oggi potrei essere io domani e, aiutandolo oggi, verrò aiutato io domani''.

Una lezione di vita che arrivò al cuore come una pugnalata, costringendomi a riflettere sulla troppa indifferenza che regna ancora in certe zone del mondo.

<< Si nasce poveri e si potrà diventare ricchi. >>

Fatiha venne al mondo da una madre bambina, appena quindicenne, ma consapevole della sua scelta e dei sentimenti verso il padre della piccola. I suoi genitori ebbero altri figli, a pochi mesi di differenza tra loro, tutti nati sul letto della nonna paterna e tutti donati al mondo con la speranza che il destino riservasse loro una vita di agi. Quelli che mancavano in quel mondo fatto di amore e povertà. 

Il  destino della piccola  nel 2002, finì nelle mani della zia Rania, quella zia ''ricca'' di Marrakech, della quale aveva, sino ad allora, ignorato l'esistenza. 

Zia Rania doveva recarsi in Italia e desiderava portare con sé la piccola  per compagnia. Avrebbe imparato l'italiano e visto tante cose belle. Poi avrebbero fatto ritorno in Marocco. Il padre cedette ben volentieri alla ''richiesta'' di zia Rania e la bambina fu contenta di affrontare quel viaggio in aereo, ma la mamma le mancava così tanto.

Soprattutto ora che da Roma, la zia l'aveva lasciata a Torino, a casa di una famiglia sconosciuta con la promessa di tornare presto a prenderla per riportarla in Marocco, nella sua terra.

Certo, in quella famiglia composta dal signor Massimiliano e dalla signora Rosaria erano gentili con lei, le avevano regalato una Barbie e delle costruzioni e le avevano preparato i calamaretti fritti. Il signore poi le aveva pure insegnato i nomi delle stoviglie e lei li aveva imparati subito, ma quella notte, nella sua nuova cameretta, con la luce accesa per paura che il buio la inghiottisse, la sua mamma le mancava ancora di più. 

E quanto ci rimase male, il giorno dopo, scoprendo da Akida, la sua insegnante di italiano, che la zia ''per il momento'' era partita e non sarebbe tornata!

Triste realtà di molti bambini poveri, così fu anche quella di Fatiha, ancora troppo piccola per decidere del suo futuro. Ma i bambini si abituano presto e la piccola, tra una lezione di italiano e la curiosità di conoscere Torino, passò le sue giornate giocando e facendo lunghe passeggiate per il centro, trasformando i giorni in settimane e poi in mesi, vivendo la nuova vita in Italia e paragonando spesso le eleganti vie di Torino alle viuzze polverose del suo paese. 

Sempre più spesso ripensava al suo primo amichetto Simone, conosciuto nel lungo viaggio in treno da Roma a Torino, col quale aveva giocato ad un gioco simile alle costruzioni. Chissà dov'era e se ci giocava ancora col fratello Mario. Ogni tanto parlava con lui, proprio come se fosse presente al suo fianco. Ma le piaceva anche parlare con Adika, soprattutto in arabo. Quando parlava con lei, in arabo, le sembrava che un pezzo del suo Marocco fosse li, nella sua cameretta. 

Certo ''mami'' Rosaria avrebbe preferito che parlasse con lei, ma lei non era la sua mamma e soprattutto era molto più grande della sua mamma. 

Chissà perché mami non aveva fatto una bambina, tutte le mamme ne fanno una e chissà chi era Angela, la bella bambina bionda che abitava molto lontano, raffigurata nel ritratto fatto dal signor Massimiliano, che lei aveva voluto appendere nella sua cameretta per sentirla vicina e poterle parlare.

I giorni passarono ed arrivò il Natale, una festa del tutto nuova per la piccola, che a malapena era a conoscenza dell'esistenza di Allah e del Profeta Maometto.

Il Natale rappresentava la nascita del Profeta Gesù, era una festa luminosa, la gente accendeva tante lucine colorate e rivestiva enormi alberi con tante palline colorate. Lei, per abbellire il suo primo albero, d'istinto scelse una stella da mettere sulla cima. Una stella, come quella raffigurata sulla bandiera del suo Marocco.

<< Qui sono trattata bene, ricevo tutte le attenzioni possibili, sono considerata come una figlia, posso vivere da principessa, perché non dovrei essere contenta. Manca la mamma. Come farò a rassegnarmi? >>

Un giorno, parlando con Akida che le fece promettere di mantenere il segreto, la piccola  venne a sapere che Angela era venuta a mancare tempo prima, e lei aveva preso il suo posto per il signor Massimiliano e la signora Rosaria. Doveva ritenersi fortunata ad essere capitata in una ricca  famiglia come quella. 

Ma Fatiha, con gli occhi pieni di pianto, continuava a ripetere che desiderava tornare dalla sua mamma.

Vi confesso che non ho potuto fare a meno di provare pietà per la piccola, ingannata dal suo stesso sangue e  commiserando  quei poveri genitori disposti a tutto pur di ''rimpiazzare'' l'amore per la figlia deceduta. 

È vero che bisogna provare sulla propria pelle una tale disgrazia, ma l'amore non si compra, non si vende e non si sceglie  al mercato contrattando facendo l'offerta più alta. Molto probabilmente, anche se ancora piccola,  aveva già capito tutto. Una bambina sveglia e orgogliosa, che ha fatto subito breccia nel mio cuore.

Un giorno la signora Rosaria portò la piccola a conoscere la nuova ''zia'' e i ''cuginetti'' che le regalarono un piccolo bassotto da coccolare.

La nuova vita cominciava a piacere alla piccola, aveva nuovi amici, un cane, due quasi genitori che l'amavano come una figlia e adesso aveva anche cominciato ad andare a scuola. Ma quando tutto sembrava andare per il meglio, arrivò la nuvola nera a minacciare tempesta.

Nella quiete di una giornata in famiglia, ecco piombare un'accigliata zia Rania con le assistenti sociali. Impose alla bambina di raccogliere le sue cose: presto sarebbero ripartite. 

Ma Fatiha non voleva partire, stava bene nella sua nuova casa e il signor Massimiliano le promise che nessuno le avrebbe fatto nulla.

Purtroppo però la legge sull'immigrazione non poteva fare finta di nulla, nemmeno sulle buone intenzioni di Rosaria e Massimiliano.

La coppia, a tre anni dalla scomparsa della figlia Angela, si recò a Marrakech per una vacanza. Presso l'Hotel Ibis conobbe la ''strega'', zia Rania, la quale, venuta a conoscenza della tragica storia di Angela, chiese ai coniugi se avessero potuto ospitare per qualche giorno sua nipote, con la possibilità di adozione una volta espletata la burocrazia sull'immigrazione. Felici di questa buona notizia, rientrarono in Italia, pronti a prendersi cura di una nuova figlia, riversando su di lei tutto l'amore che non avevano potuto dare ad Angela.

Rientrati in Italia, aspettarono che tutto fosse a posto, ma Rania piombò all'improvviso con la piccola Fatiha, promettendo di tornare a prenderla quanto prima per sistemare i documenti, loro avrebbero dovuto, al momento prendersi cura della piccola solo per alcuni giorni, poi avrebbero iniziato le pratiche per l'adozione. 

Così non fu, i giorni diventarono settimane e poi mesi e i signori ritennero giusto prendersi cura della piccola, fino a quel momento parcheggiata come un pacco ingombrante. Adesso, però la ''strega'' era tornata per riprendersela, intenzionata a fargli passare guai se avessero fatto storie a lasciarla partire.

Nonostante anche gli assistenti sociali avessero capito il gioco sporco di zia Rania, non si poteva fare nulla, e il giorno dopo si presentò al cospetto di Fatiha il padre Farid, dicendole che anche la madre e i fratelli erano in Italia. Erano tornati a prenderla per riportarla in Marocco: desiderava ancora tornare nella sua terra natia dalla sua mamma?

Così, col suo zainetto colmo di regali da parte di mami Rosaria, la bambina partì insieme al padre verso la Calabria, dove ad attenderla c'era mamma Amina coi fratelli. 

Arrivata clandestinamente a bordo di un gommone in Spagna, la famiglia di Fatiha si era spinta in Italia sperando di trovare il paradiso, ma così non fu e Farid si ritrovò a vivere in uno scantinato buio, umido e piccolo per 150 euro al mese, vivendo di miseri proventi ricavati dalla vendita di ombrelli e cianfrusaglie che spesso non erano abbastanza  nemmeno per mettere insieme pranzo e cena.

Per Fatiha, ormai abituata agli agi della sua ''famiglia'' torinese, fu uno shock ritrovarsi in quel buco troppo freddo e troppo stretto. Mamma Amina era così cambiata, sembrava più interessata al denaro che a lei. 

Avrebbe tanto voluto salire su un treno e tornare a Torino, ma come? Non aveva soldi con se e anche se viaggiare era un suo diritto, non avrebbe potuto farlo gratis. 

Ogni volta che le sembrava di adattarsi, di avere la speranza di trovare nuove amicizie, il destino faceva tabula rasa riportandola alla realtà dura della fame e del disagio.

Un giorno mentre girava per le vie della città, la padrona di un negozio le chiese se le avesse fatto piacere pulire le vetrine in cambio di qualche euro. La piccola accettò volentieri e guadagnò i suoi primi 10 euro. 

Li portò subito a casa e li consegnò alla madre, sicura che li avrebbe protetti e non li avrebbe consegnati al padre che sicuramente li avrebbe persi giocando alle slot machine.

La felicità di quel momento durò poco, il padre decise che dal giorno dopo la piccola sarebbe andata a lavorare con lui. 

Dopo aver discusso con Amina che desiderava far studiare la piccola, venne deciso, senza possibilità di replica, che la bambina dopo la scuola sarebbe andata con lui ai semafori a vendere quella misera paccottiglia agli automobilisti.

Così, indottrinata da Farid, la piccola cominciò una vita fatta di freddo, pioggia, screzi con la zingara che l'accusava di aver rubato la postazione di lavoro migliore e fame. 

I pochi spiccioli guadagnati lei avrebbe tanto voluto usarli per comprare un paio di jeans, ma dovevano mangiare, pagare l'affitto in arretrato di tre mensilità e Farid spendeva il resto in sigarette e al gioco.

I giorni passati a mendicare ai semafori volarono via uno dopo l'altro senza riuscire a portare un po' di serenità in famiglia, lo spettro dell'affitto e dello sfratto sempre dietro l'angolo  e la minestra arrangiata alla meno peggio ormai non sfamava più. 

Fatiha aveva già dodici anni, era diventata donna e cominciava ad attirare le attenzioni di uomini senza scrupoli che cercavano di approfittare della sua innocenza. 

Più volte Fatiha pregò la madre di chiedere al padre di farla mendicare in luoghi più sicuri, e alla fine, sfiniti dall'insistenza della ragazzina, cedettero.

I giorni passarono mendicando tra supermercati e chiese, dove certi ricchi la domenica andavano a Messa 

<< per farsi perdonare gli abusi e l'avarizia verso la gente povera. >> 

Ormai stanca di vivere di accattonaggio, una mattina, sui gradini di un supermercato, per la piccola si presentò l'occasione per cambiare vita. La Polizia Municipale, avvisando i servizi sociali la fece portare in una casa famiglia gestita da suore.

Nonostante avesse pasti caldi, un letto e un tetto sicuro sopra la testa, la nostalgia della madre la spinse a scappare più volte per tornare a casa. Per quanto Amina cercasse di farle capire che era meglio per lei restare in quella casa famiglia, Fatiha continuava a scappare.

Ma ogni volta finiva per essere riportata dalle suore, finché il tribunale minorile decise di trasferirla in un'altra casa famiglia più distante, dove fu bullizzata da una ''capetta'' intrigante ed emarginata dalle altre ragazze. 

In quella casa passò quattro lunghi anni di  bullismo, cattiveria e pazienza, ma anche di una nuova amicizia con Davide e la sua famiglia, che l'accolse come una figlia. 

La pazienza e l'orgoglio l'aiutarono a superare quegli anni che le regalarono anche qualche piccola soddisfazione, come quella di vedere la sua aguzzina confinata in una casa famiglia lontana e l'affetto di un assistente della casa famiglia, il signor Serti . 

<< Gira e rigira, la povertà è sempre barriera invalicabile per soddisfare legittimi desideri. >>

Il signor Serti l'aveva presa a benvolere, e lei, forte degli anni di  accattonaggio, aveva imparato come far leva sulla pietà pur di ottenere ciò che le stava a cuore, anche se alla fine restava comunque nella sua povertà e molto grata a quel buon uomo.

Un giorno, Serti l'accompagnò a trovare la madre dalla quale apprese che il padre era in libertà provvisoria. Decise di scappare di nuovo dalla casa famiglia. per tornare dai suoi affetti più cari, ma venne bloccata e fatta tornare nella sua stanza. 

Anche davanti al giudice del Tribunale dei minori la giovane continuò a sostenere che il suo posto era quello vicino alla madre, nella sua casa, ma anche stavolta fu spedita in uno sperduto paese della Sila, freddo e umido, a casa degli zii paterni.

Nel suo zainetto, a sorpresa trovò un I-Phone con un biglietto, ennesimo dono dell'unico uomo che le avesse mai voluto bene senza secondi fini, il signor Serti. L'orgoglio però, le impedì, i primi tempi, di usare quel telefono. 

Zia Amina aveva cinquantasei anni e due figlie che studiavano fuori ed erano l'orgoglio di famiglia, lei avrebbe potuto dormire nella loro camera e, in cambio di vitto e alloggio, avrebbe dovuto aiutarla visto che temporaneamente immobilizzata sulla sedia a rotelle a causa della frattura del femore.

La serenità sembrava sempre sfuggirle di mano. Ancora una volta la povera ragazza venne venduta al miglior offerente dal suo stesso sangue. Obbligata ad indossare il velo e a piegare la testa nel nome del Corano,  venne continuamente vessata dalla zia che continuava a farle domande tendenziose sulla sua verginità. 

<< Il farmacista è bruttino. Però è straricco. I soldi a volte sono come i cerotti che coprono le ferite. Se si accoppia con una bella, lui si gode un corpo e lei la ricchezza. Tu che ne pensi? >>

Ma negli anni aveva imparato a difendersi e rispondere a tono anche alle domande insinuanti della perfida zia Amina. 

La corda si strappò il giorno in cui zia Amina cercò di obbligare la  nipote a cedere alla "corte" del Dottor De Mico, il ricco farmacista sgorbio, per un beffardo scherzo della natura.

Per Fatiha era troppo, al gioco del pollo da spennare poteva anche abbassarsi per un po', giusto per sfidare la zia e per guadagnare qualcosa che mai aveva avuto in tutta la sua vita, ma la sua giovinezza non avrebbe mai permesso a nessuno di venderla e comprarla. Così un giorno,  alle soglie del diciottesimo compleanno, smesso il velo e indossati i suoi amati jeans simbolo di ribellione,  scappò di nuovo dalla casa di un'altra ''strega'' vestita da zia.

A porgerle una mano, come sempre, Pierpaolo Serti...

Quanto amo e stimo Fatiha, una bambina cresciuta troppo in fretta, ma con un cuore grande e puro, che nonostante le difficoltà che la vita le ha messo sulla strada, è stata in grado di andare sempre avanti, modellandosi alla cruda realtà della strada, senza farne mai parte. Conservando dei valori e dei principi nati insieme a lei.

Quanta tenerezza ho provato mentre, dopo essersi ricongiunta con l'amata madre dopo i mesi passati a Torino,  le chiedeva con l'innocenza e la purezza di un bambino che vede il buono ovunque, il perché erano venuti in Italia a vivere di stenti nell'indifferenza dei cuori di pietra di tante persone. Avrebbero potuto rimanere in Marocco, sarebbero stati poveri anche laggiù, ma un pasto e qualche monetina per loro ci sarebbero sempre stati. La gente, anche se povera, li avrebbe sempre aiutati. Lo dice anche il Corano, ma soprattutto lo dice il cuore dei suoi conterranei.

Tipica fattoria della Valle dell'Ourika, ai piedi dell'Alto Atlante ( Marrakech ). 
Sacro rito della condivisione del tè alla menta - foto personale -

Una qualità che ho sempre ammirato, ogni volta che tornavo in Marocco, è quella della porta di casa sempre aperta all'accoglienza. Offrono quello che hanno, condividendo un tè alla menta con pane appena sfornato, miele olio e burro fatto in casa o un tajine di verdura coltivata con fatica nei campi aridi, arroccati sulle irte viuzze di montagna. 

Offrono un sorriso, un racconto o un giaciglio su cui riposare, offrono vita.

Non importa essere ricchi o poveri, si condivide e si dona col cuore quello che si ha a disposizione in quel momento e, se non si ha, amici e vicini sono sempre pronti e felici di aiutare. 

Dio, un giorno li ripagherà se dovessero trovarsi nel bisogno. 

Fatiha ci pensa spesso, faticando a capire l'indifferenza degli italiani verso ''gli invisibili''. Pensieri che una bambina, di qualsiasi nazionalità sia, non dovrebbe mai fare o avere. 

La storia di Fatiha, Afra dalla faccia di cioccolata, come ho già detto, potrebbe essere la storia di migliaia di bambine figlie del mondo, usate come merce di scambio. Non tutte, purtroppo, hanno la forza e la caparbietà di Fathia che non si è mai arresa, nemmeno quando tutto sembrava perduto, anche il suo più grande amore.

Mentre mi avvicinavo alla fine del racconto di Fatiha narrato in prima persona dalla sua stessa voce, ho provato più volte il desiderio di abbracciarla forte e offrirle la mia amicizia, come simbolo di tutte le amicizie negate perché povera e straniera o additata come poco di buono solo perché povera e indipendente.

La lettura di questa biografia mi ha insegnato molto, molto di più di quanto non avessi imparato durante i miei viaggi o dai racconti di amici immigrati in Italia dal Marocco  e comunque ben integrati. 

Non tutti gli immigrati poveri sono disgraziati, anzi arrivano in Italia sognando un futuro migliore, ma la realtà è diversa dai sogni e spesso la fame li costringe a scendere a patti con la dura legge della vita al margine, ma chi ha il cuore puro e tanta forza di volontà non si spezza, riuscendo a mantenere saldi quei principi che riempiono il loro bagaglio di vita.

La piccola è cresciuta col valore dell'onestà, la vita è stata ingrata con lei, ma il suo coraggio l'ha aiutata a riscattarsi.

In che modo, vi chiederete?  Lo lascio scoprire a voi, seguendo il lungo viaggio di Fatiha da Marrakech alla Calabria, spingendosi fino in Sicilia dove incontrerà Giorgio Marino, ma non vi dico di più...

Il racconto è scorrevole, crudo nella sua semplicità, ma è vero. Coinvolge fino ai suoi vent'anni che segnano la fine di questo lungo e travagliato percorso di vita. Ma non sarà la fine, ci sono ancora tante strade da percorrere e da scoprire e spero con tutto il cuore che Fatiha riesca a trovare quella della felicità.

Personalmente mi farebbe piacere incontrarla e stringerla in un forte abbraccio, chissà...

Per il momento ho condiviso con lei una parte della sua vita e, mi auguro lo facciate pure voi, proprio per capire cosa significa essere un immigrato in Italia.

Auguri Fatiha, Tbarkelah 3lik .

Sperando che questa storia vi abbia incuriositi vi lascio nella scheda del libro il link per l'acquisto e vi auguro una buona lettura.


Tania C.

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